Stampa

 

Cassandra's Legacy, 29 ottobre 2015 (trad.ossin)
 
Un’operazione sotto falsa bandiera, l’invasione italiana della Grecia nel 1940
Ugo Bardi
 
L’attacco italiano contro la Grecia, lanciato nell’ottobre 1940, è stato uno dei più grossolani errori militari della storia, e si potrebbe sostenere che ha fatto perdere la Seconda Guerra mondiale alle potenze dell’Asse. Qui tratto solo l’aspetto relativo al fatto che esso è uno dei rari casi documentati di un’operazione strategia sotto falsa bandiera, con l’obiettivo di creare un pretesto per un attacco militare
 
Fante italiano della guerra italo-greca, dalla copertina del libro: Storia della Guerra di Grecia, di Mario Cervi
 
Gli attacchi sotto falsa bandiera sono ai nostri giorni un tema popolare: sono operazioni segrete realizzate dai governi per attribuirne poi la colpa ai loro nemici politici o militari. Tuttavia, quando si cerchi di andare a fondo della questione, ci si trova immediatamente di fronte ad un’incredibile guazzabuglio di argomenti pro e contro. Da un lato ci sono quelli che semplicemente irridono ai teorici del complotto e alle loro buffonate, dall’altro coloro che, caso dopo caso, elencano tutti gli ipotetici attacchi sotto falsa bandiera, dal naufragio del Titanic fino all’esplosione di uno pneumatico del camion di zio Joe. Dunque resta da stabilire se gli attacchi strategici sotto falsa bandiera esistono, e quanto siano frequenti.
 
Vi sono diversi casi di attacchi strategici sotto falsa bandiera che sono quasi certi o, almeno, assai probabili. Forse il migliore esempio documentato di un attacco di questo tipo è quello dell’incidente di Gleiwitz, il 31 agosto 1939, quando le forze naziste camuffate da Polacchi attaccarono una postazione radio tedesca, per giustificare l’invasione della Polonia da parte dell’esercito tedesco. Un caso più recente è quello dell’Operazione Northwood, che però è stato solo pianificato contro Cuba nel 1962 e mai realizzato. Vi sono molti altri casi in cui gli attacchi sotto falsa bandiera sono affermati, ma non possono essere provati. L’esempio migliore di questo tipo è l’incendio del Reichstag, a Berlino nel 1933, in relazione al quale molti dettagli restano a tutt’oggi per niente chiariti.
 
Tenuto conto della rarità degli esempi storici verificati, penso sia utile aggiungere qui il caso di un attacco sotto falsa bandiera che è verificabile al di là di ogni ragionevole dubbio ed è sconosciuto nel mondo anglosassone. E’ l’operazione sotto falsa bandiera che ha preceduto l’attacco italiano contro la Grecia, effettuato nel 1940 per ordine di Mussolini.
 
La storia della guerra italo-greca è dettagliatamente descritta da Mario Cervi nel suo libro pubblicato nel 1969, “Storia della Guerra di Grecia” (tradotto in inglese col titolo  The Hollow Legions). Io non intendo soffermarmi sul modo in cui il governo italiano decise di impegnarsi in questa campagna assolutamente insensata. Mi limito a ricordare che è opinione comune che la campagna di Grecia sia costata all’Asse la guerra, avendo costretto i Tedeschi a intervenire per salvare gli Italiani e a rinviare di qualche mese l’attacco contro la Russia, dando modo al “generale Inverno” di fare il suo lavoro. La cosa è certamente discutibile e potrebbe essere solo una scusa usata dai Tedeschi per giustificare il fallimento della loro campagna di Russia. Ma è vero che con la campagna greca il governo italiano ha messo in campo un vero catalogo di esempi di stupidità strategica. Ha inoltre ignorato le più elementari regole del diritto internazionale, e anche quelle della decenza umana. Ma qui mi concentrerò sull’episodio della « falsa bandiera ».
 
Disponiamo di un’ampia documentazione su questa guerra sul versante italiano. I verbali delle riunioni dell’alto comando del governo italiano vennero approvati dallo stesso Mussolini e in seguito collocati in archivio. Essi sono giunti intatti fino a noi, e ci forniscono numerosi dettagli sull’insieme della campagna e su come si svolse questa operazione sotto falsa bandiera che precedette l’attacco.
 
La storia cominciò con l’occupazione dell’Albania da parte dell’Italia nel 1939, che fu un’operazione militare relativamente facile. A quel punto il governo italiano esaminò la possibilità di un attacco contro la vicina Grecia, nell’ambito di un tentativo di controllare l’insieme della regione balcanica. Questo richiese un certo sforzo di propaganda e, nel 1940, la stampa italiana cominciò a raccontare che gli abitanti albanesi della regione di Chamuria, in territorio greco, volevano la secessione dalla Grecia per unirsi all’Albania ed erano oggetto di una dura repressione da parte del governo greco. Il viceré italiano di Albania, Francesco Jacomoni, forniva dei rapporti, quasi del tutto inventati, che alimentavano questa operazione di propaganda.
 
Cervi racconta come, il 17 agosto 1940, fu proprio Jacomoni a proporre al Duce [Mussolini] di creare un pretesto per attaccare la Grecia, organizzando una attacco con falsa bandiera da parte di «personale fidato contro uno dei nostri posti di frontiera». L’idea non venne immediatamente approvata, ma in ottobre, quando già l’attacco contro la Grecia era stato deciso per il 26 di quel mese (poi rinviato al 28), Mussolini stesso chiese «un incidente di frontiera che potrebbe dare alla nostra azione la parvenza di risposta ad una provocazione, per giustificare il nostro intervento ». La risposta fu immediata da parte di Galeazzo Ciano, ministro degli esteri e genero del Duce, «l’azione avrà luogo il 24 ottobre ».
 
L’azione venne poi rinviata al 26 ottobre, ma seguì il canovaccio previsto. Mario Cervi racconta come la stampa italiana scrisse che «una banda greca aveva attaccato con armi automatiche e granate un posto di frontiera albanese nei pressi di Corizia ma che l’attacco era stato respinto; che sei degli attaccanti greci erano stati catturati, e che tra le truppe albanesi si contavano due morti e tre feriti ».
 
Cervi dice a questo punto che le vittime albanesi sarebbero state «immolate, se davvero siano poi esistite, sull’altare delle spietate esigenze di Stato». In realtà non si può escludere che l’attacco sia stato gonfiato, o che addirittura sia una pura invenzione creata dal niente da parte del viceré d’Albania e dai suoi funzionari. Tuttavia, anche se non possiamo essere certi che vi siano state vittime, è chiaro che qualche tipo di attacco vi fu: le autorità greche istituirono una commissione di inchiesta che concluse i suoi lavori negando ogni responsabilità dello Stato greco; ma non ha mai negato che un attacco vi fosse stato. Che abbia o meno prodotto vittime, l’operazione sotto falsa bandiera raggiunse il suo scopo. In Albania suscitò manifestazioni contro l’aggressione greca e, in Italia, una campagna di insulti e proteste contro la stampa greca. Seguì un ultimatum italiano contro la Grecia, poi l’attacco sfortunato. Qui sotto, ecco come l’incidente è stato trattato dalla stampa italiana (La Stampa) il 28 ottobre 1940. Il titolo recita : Torbido gioco greco per provocare l’Albania.
 
 
Cervi racconta anche che Mussolini commentò gli attacchi sotto falsa bandiera dicendo che «nessuno crederà a questa fatalità ma, per ragioni di carattere metafisico, si potrà dire che era necessario giungere ad una conclusione ». Ciò dimostra, en passant, come venti anni di governo senza opposizione avessero trasformato l’abile politico Mussolini in un maldestro imbecille.
 
Da notare che nessuno criticherà Mussolini sulla necessità di realizzare una simile operazione. Sembrava tutto scontato per le persone coinvolte e questo conferma che, nel periodo che ha preceduto la Seconda Guerra mondiale, e nel corso di essa, le operazioni segrete sotto falsa bandiera facevano parte dell’arsenale strategico almeno di certi governi, ed erano correntemente utilizzate.
 
Da notare ancora che Mussolini non si preoccupò granché delle conseguenze della firma e della conservazione in archivio dei documenti che dimostravano che aveva comandato e approvato un’azione che può tranquillamente essere considerata un crimine di guerra. Ancora una volta, sembra che tutto questo sia stato considerato del tutto normale, e non certo come un crimine di guerra. Incidentalmente, quanto meno Mussolini venne fucilato dai partigiani a fine guerra, ma nessuna delle altre persone che avrebbero approvato e realizzato l’operazione sotto falsa bandiera ha subito alcuna punizione, ivi compreso Francesco Jacomoni.
 
Ovviamente, questa vecchia operazione sotto falsa bandiera non ci dice niente di preciso su tutte quelle che vi sono state in tempi più moderni. Bisogna comunque aggiungere questo caso al numero di quelli che risultano già verificati. Le cospirazioni dei governi sono esistite nel passato e bisognerebbe certamente fare professione di un ottimismo eccessivo per pensare che non se ne verifichino più. In futuro potremo sapere di più sugli avvenimenti che hanno tanto influenzato la percezione dei conflitti del nostro tempo.
 
 
Come considerazione finale, io penso che questa storia può anche dirci qualcosa sui pericoli dell’approccio “story telling” alle decisioni strategiche, come ho segnalato già in un precedente post. Questo si traduce in una sorta di rappresentazione basata sull’assegnazione di ruoli ai vari attori coinvolti, per poi far loro recitare la rispettiva parte in un teatro virtuale mondiale. Nel caso in esame, Mussolini e i suoi collaboratori avevano deciso che il ruolo dell’Italia era quello di una grande potenza e, di conseguenza, l’Italia si poneva in concorrenza con le altre grandi potenze dell’epoca. Da questo punto di vista, era logico per l’Italia estendere la propria zona di influenza nei Balcani per  contrastare la politica espansionistica di Germania e Gran Bretagna. E, sempre dallo stesso punto di vista, aveva pure un senso l’altro monumentale errore del governo italiano dell’epoca, di dichiarare guerra agli Stati Uniti nel 1941. L’Italia era infatti una grande potenza nel Mediterraneo, che poteva essere considerato come un lago italiano e nel quale gli Stati Uniti non avevano interessi strategici, non più di quanto l’Italia avesse interessi strategici nel Golfo del Messico. Il problema era che la visione in sé dell’Italia come grande potenza era completamente falsa in termini quantitativi; cosa che gli avvenimenti successivi hanno ampiamente dimostrato. Tutto questo è oramai passato e sepolto, ma purtroppo lo story telling resta ancora oggi il percorso tipico attraverso cui si prendono le decisioni strategiche.