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 Analisi, marzo 2011 - La minaccia iraniana viene considerata come il problema politico più importante per la stabilità del Medio Oriente. Ma che cosa significa "stabilità" per gli Stati Uniti? Niente altro che il mantenimento del suo ferreo controllo (nella foto, Noam Chomsky) 









Le Grand Soir – 1° marzo 2011

La minaccia iraniana
di Noam Chomsky

(luglio 2010) La terribile minaccia iraniana è generalmente considerata come il principale problema di politica internazionale del governo Obama. Il generale Petraeus ha informato il Comitato del Senato per le forze armate, nel marzo 2020, che “il regime iraniano è la principale minaccia statale per la stabilità” nella sfera di influenza dello US Central Command (Lo US Central Command è uno dei dieci comandi interforze di combattimento – “Unified Combattant Command” – del Dipartimento della Difesa USA. Sei di essi, tra cui lo US Central Command, hanno una zona geografica specifica di azione – “area of responsibility”-), il Medio oriente e l’Asia centrale, la principale regione del mondo di interesse per gli Stati Uniti. Il termine “stabilità” ha qui il suo usuale significato tecnico: strettamente sotto controllo USA. Nel giugno 2010 il Congresso degli Stati Uniti ha rafforzato le sanzioni contro l’Iran, prevedendo sanzioni ancora più severe nei confronti delle imprese straniere (Comprehensive Iran Sanctions, Accountability, and Divestment Act of 2010).

Il governo Obama accresce rapidamente la sua capacità di attacco, insediato sull’isola africana di Diego Garcia, rivendicata dall’Inghilterra, che aveva espulso la popolazione per permettere agli USA di costruirvi una base militare per gli attacchi nella zona di azione del Central Command. L’US Navy ha reso noto di aver inviato una nave per il rifornimento di sottomarini verso l’isola, per dei sottomarini a propulsione nucleare equipaggiati di missili guidati Tomahawk, capaci di portare testate nucleari. Ogni sottomarino ha la forza d’urto di un gruppo da combattimento aeronavale tipico. Secondo una nota di carico della US Navy ottenuta da Sunday Herald di Glasgow, l’equipaggiamento militare spedito da Obama comprende 387 “bunker busters” (si tratta di bombe anti-bunker di 13.600 kg, molto più grande delle più potenti bombe anti-bunker attuali, che pesano “solo “ 2270 kg), destinate a distruggere strutture sotterranee rinforzate. Il progetto di sviluppo di queste bombe, le più potenti dopo quelle nucleari, è stato iniziato sotto l’amministrazione Bush ma era restato inattuato. Appena nominato presidente, Obama ha immediatamente ripreso il progetto, e queste bombe sono sul punto di essere utilizzate diversi anni prima di quanto previsto, soprattutto contro l’Iran.

“Si preparano a distruggere l’Iran”, secondo Dan Plesch, direttore del Centro Studi internazionali e di diplomazia dell’Università di Londra. “I bombardieri e i missili a lunga gittata statunitensi sono pronti a distruggere 10.000 obiettivi in Iran in qualche ora”, dice. “La forza d’urto degli Stati Uniti si è quadruplicata dopo il 2003”, con un’accelerazione sotto Obama.

La stampa araba riferisce che una flotta USA (con una nave israeliana) è passata lungo il canale di Suez in rotta verso il Golfo Persico, dove la sua missione è di “dare esecuzione alle sanzioni contro l’Iran e controllare le navi da o verso l’Iran”. Alcuni media inglesi e israeliani riferiscono che l’Arabia Saudita ha garantito a Israele un corridoio di passaggio per bombardare l’Iran (notizia smentita dall’Arabia Saudita).
Tornando dall’Afghanistan per rassicurare i paesi della NATO che gli USA mantengono il loro impegno dopo
la sostituzione del generale McChrystal da parte del suo superiore, il generale Petraeus, il presidente dei capi di Stato Maggiore interforze Michael Mullen è andato in Israele per incontrare il capo delle forze armate israeliane, Gabi Ashkenazi, gli alti responsabili militari nonché i servizi di intelligence, proseguendo la cooperazione strategica tra Israele e gli Stati Uniti. L’incontro ha riguardato “la preparazione, da parte di Israele e degli Stati Uniti, ad un Iran nuclearizzato”, secondo Haaretz, e Mullen ha insistito sul fatto che egli “cerca sempre di esaminare i problemi dal punto di vista israeliano”. Mullen e Ashkenazi sono in continuo contatto attraverso una linea telefonica protetta.

Le crescenti minacce di un’azione militare contro l’Iran sono naturalmente in violazione della Carta delle Nazioni Unite, e in violazione specifica della risoluzione 1887 del Consiglio di sicurezza del settembre 2009, che riafferma l’invito rivolto a tutti gli Stati a risolvere pacificamente i contrasti sul nucleare, in sintonia con la Carta, che bandisce ogni uso o minaccia della forza.

Alcuni analisti che sembra siano presi sul serio descrivono la minaccia iraniana in termini apocalittici. Amitai Etzioni avverte che “gli USA devono affrontare l’Iran o abbandonare il Medio oriente”, niente di meno. Se il programma nucleare iraniano dovesse andare avanti, afferma, la Turchia, l’Arabia Saudita e altri Stati si “alleerebbero con la nuova superpotenza iraniana”. Fuori da simili febbricitanti retoriche, è vero che potrebbe prendere forma un’alleanza regionale indipendente dagli Stati Uniti. Nel giornale militare USA “Military review”, Etzioni invita ad una attacco statunitense che dovrebbe avere come obiettivo, non solo gli impianti nucleari iraniani, ma anche quelli militari non nucleari, ivi comprese le infrastrutture – vale a dire la società civile. “Questo tipo di azione militare è simile alle sanzioni: fare male per modificare i comportamenti, ma con mezzi molto più potenti”.

Mettendo da parte questi discorsi infiammati, in che cosa consiste esattamente la minaccia iraniana? Una risposta autorevole è fornita dal rapporto dell’esercito e dei servizi di informazione inviato al Congresso nell’aprile 2010.

Il brutale regime clericale iraniano costituisce certamente una minaccia per il suo popolo, per quanto non sia molto peggio degli alleati degli Stati Uniti nella regione. Ma non è questo che preoccupate l’esercito e l’intelligence. Essi si preoccupano piuttosto per la minaccia che l’Iran rappresenta pe la regione e il mondo.

Il rapporto chiarisce che la minaccia iraniana non è di ordine militare. Le spese militari iraniane sono “relativamente modeste se paragonate al resto della regione”, e assolutamente minuscole se confrontate con quelle degli USA. La dottrina militare iraniana è strettamente “difensiva, concepita per rallentare un’invasione e costringere ad una soluzione diplomatica delle ostilità”. L’Iran ha una “limitata capacità di proiezione della forza fuori dai suoi confini”. Per ciò che concerne l’opzione militare, “il programma nucleare dell’Iran, e la sua volontà di mantenersi libera di sviluppare delle armi nucleari, sono un elemento centrale della strategia di dissuasione”.

Anche se la minaccia iraniana non costituisce un’aggressione militare, ciò non vuol dire che possa essere considerata tollerabile da Washington. La capacità di dissuasione iraniana viene considerato come un esercizio illegittimo di sovranità, che interferisce coi grandi disegni USA. In particolare, essa minaccia il controllo delle risorse energetiche del Medio oriente da parte degli Stati Uniti, una priorità alta dopo la seconda guerra mondiale. Come ha sottolineato una personalità influente, esprimendo un punto di vista corrente, il controllo di queste risorse attribuisce “un considerevole controllo sul mondo” (A.A.Berle).

Ma la minaccia dell’Iran va al di là della dissuasione. L’Iran cerca di estendere la sua influenza. Il suo “piano quinquennale attuale cerca di estendere le relazioni bilaterali, regionali e internazionali, di rafforzare i legami tra Iran e gli Stati amici, e accrescere la sua capacità di difesa e dissuasione. Nelle linee di questo piano, l’Iran cerca di accrescere la sua importanza, contrastando l’influenza USA e sviluppando rapporti con gli attori regionali, difendendo fortemente la solidarietà islamica. “In poche parole l’Iran cerca di destabilizzare la regione, nel senso tecnico del termine usato dal generale Petraeus. L’invasione e l’occupazione militare dei paesi vicini all’Iran da parte degli Stati Uniti è invece la stabilizzazione. I tentativi dell’Iran di estendere la propria influenza sui paesi vicini è invece la destabilizzazione, e dunque è illegittima. Bisogna sottolineare che un uso delle espressioni così rivelatore è banale. Così il noto esperto in relazioni estere James Chace, ex editore del giornale “Foreign Affairs”, usava allo stesso modo l’espressione “stabilità” nel suo senso tecnico quando spiegava che, per riportare la “stabilità” in Cile, occorreva “destabilizzare” il paese (rovesciando il governo democratico di Allende per istallarvi la dittatura di Pinochet).

Oltre a questi crimini – secondo questo rapporto – l’Iran partecipa e sostiene il terrorismo. I Guardiani della Rivoluzione “sono dietro alcuni degli attacchi terroristici più sanguinosi degli ultimi tre decenni”, soprattutto gli attacchi contro le istallazioni militari USA, e “molti degli attacchi degli insorti contro le forze di sicurezza irachene e della Colazione in Iraq dal 2003”. Inoltre l’Iran sostiene Hezbollah e Hamas, le principali forze politiche in Libano e Palestina – se le elezioni contano qualcosa. La coalizione formatasi attorno a Hezbollah ha raccolto il voto popolare in occasione delle ultime elezioni libanesi del 2009. Hamas ha vinto le elezioni palestinesi nel 2006, costringendo gli Stati Uniti e Israele a realizzare il brutale blocco della striscia di Gaza, per punire i miscredenti per il fatto di avere votato male nel corso di libere elezioni. E si è trattato delle sole elezioni relativamente libere del mondo arabo. E’ naturale che i gruppi dominanti cerchino di ridurre la minaccia democratica e agiscano per contenerla, ma qui il caso è evidente, soprattutto se si paragoni al forte sostegno USA alle dittature della regione assicurato da Obama e agli elogi riservati al brutale dittatore egiziano Mubarak, quando è andato al Cairo per pronunciare il suo celebre discorso rivolto al mondo mussulmano.

Gli atti terroristici di Hamas e Hebbollah impallidiscono di fronte al terrorismo israelo-statunitense nella regione, ma meritano comunque la nostra attenzione.
Il 25 maggio il Libano ha festeggiato il giorno della liberazione, commemorando il ritiro delle truppe israeliane dal sud, dopo 22 anni di occupazione, per merito della resistenza di Hezbollah – descritta dalle autorità israeliane come una “aggressione iraniana” contro Israele nel Libano sotto occupazione israeliana (Ephraim Sneh). Ecco un altro esempio di retorica imperiale corrente. Allo stesso modo il presidente John F. Kennedy condannò “l’attacco dall’interno” in Sud Vietnam “organizzato dal Nord”. Questo criminale attacco della resistenza sud-vietnamita contro i bombardieri, le armi chimiche, i programmi di trasferimento dei contadini in qualcosa che assomigliava molto a campi di concentramento, ed altre misure altrettanto insignificanti furono denunciate come “aggressioni interne” dall’ambasciatore USA alle Nazioni Unite, l’eroe liberale Adlai Stevenson. L’appoggio nord-vietnamita ai compatrioti del Sud occupato dagli USA è una aggressione, una interferenza intollerabile con la virtuosa missione di Washington. I consiglieri di Kennedy, Arthur Schlesinger e Theodore Sorenson, considerati come contrari alla guerra, tessevano l’elogio dell’intervento USA diretto a contrastare l’aggressione al Sud Vietnam – da parte della locale resistenza, come sapevano, se avessero almeno letto i rapporti dei servizi di informazione. Nel 1955 il Comitato dei capi si Stato Maggiore interforze degli Stati Uniti aveva definito diversi tipi di “aggressione”, ivi compresa “l’aggressione non armata, vale a dire guerra politica o sovversione”. Per esempio una sollevazione interna contro uno Stato di polizia imposto dagli Stati Uniti, o elezioni che diano un risultato non gradito. Un simile uso dei termini è molto diffuso tra i commentatori politici o accademici ed ha un significato preciso nell’ambito dell’ipotesi dominante che “il mondo ci appartiene”.

Hamas resiste all’occupazione militare israeliana e alle sue azioni violente e illegali nei territori occupati. Viene accusata di rifiutare di riconoscere Israele (i partiti politici non riconoscono gli Stati). Peraltro gli Stati Uniti e Israele non solo non riconoscono la Palestina, ma hanno sempre fatto di tutto perché la Palestina non possa mai esistere in una forma significativa. Il partito al potere in Israele, nel suo programma elettorale del 1999, si dice favorevole al divieto di esistenza di qualsiasi stato palestinese – un passo supplementare verso il compromesso dopo la posizione ufficiale degli Stati Uniti e di Israele di un decennio fa, quando sostenevano che non avrebbe potuto esservi “uno Stato Palestinese supplementare” tra Israele e la Giordania, quest’ultimo essendo stato decretato “stato Palestinese”, qualunque cosa ne pensassero gli ignoranti abitanti e governanti di questo paese.

Hamas è accusato di lanciare dei razzi sugli insediamenti israeliani, fatto considerato un atto criminale in assoluto, ma che è veramente cosa da poco se si paragoni alla violenza di Israele a Gaza, per non parlare d’altro. Su questo punto bisogna ricordare che gli Stati uniti e Israele sanno esattamente come si potrebbe porre fine al terrore che deplorano con tanta passione. Israele ha riconosciuto ufficialmente che non aveva subito tiri di razzi da parte di Hamas finché essa stessa aveva rispettato parzialmente la tregua con Hamas del 2008. Israele ha respinto l’offerta di Hamas di rinnovare la tregua, preferendo lanciare l’operazione “piombo fuso” contro Gaza nel dicembre 2008, col sostegno totale degli USA, un’eccezionale aggressione criminale senza il minimo pretesto morale o legale credibile.

Il modello di democrazia nel mondo mussulmano, nonostante certi seri problemi, è la Turchia, che ha elezioni relativamente libere, ed è stata oggetto di severe critiche da parte degli Stati Uniti. Il caso estremo è stato quando il governo ha seguito l’opinione del 95% della popolazione, rifiutandosi di partecipare all’invasione dell’Iraq, provocando così la severa condanna di Washington per la sua incapacità di comprendere come deve comportarsi un governo democratico: secondo la nostra idea di democrazia, la voce del Padrone determina le scelte politiche, non l’opinione quasi unanime della popolazione.

Il governo Obama si è allo stesso modo infuriato quando la Turchia si è unita al Brasile per trovare un accordo con l’Iran diretto a limitare la sua capacità di arricchimento dell’uranio. Obama aveva lodato l’iniziativa in una lettera indirizzata al presidente brasiliano Lula da Silva, prevedendo che sarebbe fallita e gli avrebbe dato un’arma di propaganda contro l’Iran. ( vedi:
http://www.ossin.org/iran/obama-lula-ahamadinejad-nucleare-iraniano.html). Quando l’iniziativa è riuscita, gli Stati Uniti erano furiosi e si sono affrettati a varare una risoluzione del Consiglio di sicurezza che prevedevano nuove sanzioni contro l’Iran, sanzioni così prive di senso che la Cina ha volentieri sostenuto la risoluzione – riconoscendo che le sanzioni avrebbero solo potuto impedire agli interessi occidentali di porsi in competizione con la Cina per le risorse iraniane. Un’ennesima volta Washington ha agito chiaramente per fare in modo che nessuno potesse intralciare il controllo della regione da parte degli USA. 

Come prevedibile, la Turchia (e il Brasile) hanno votato contro la mozione USA al Consiglio di sicurezza. L’altro paese membro della regione, il Libano, si è astenuto. Questi comportamenti hanno provocato ancora più costernazione a Washington. Philip Gordon, responsabile per l’amministrazione Obama delle relazioni diplomatiche con l’Europa, ha avvertito la Turchia che gli Stati Uniti non comprendevano questo atteggiamento, e che la Turchia “doveva dimostrare il suo coinvolgimento nel partenariato con l’Occidente”, riferisce Associated Press, “un richiamo all’ordine raro per un alleato cruciale della Nato”.

La classe politica capisce benissimo. Steven A. Cook, un universitario del Consiglio per le relazioni estere, ha osservato che la questione centrale è “come mantenere i Turchi al posto loro”? Un titolo a tutta pagina del New York Times ha espresso il sentimento generale: “L’accordo iraniano, punto nero dell’eredità del leader brasiliano”. Riassumendo: fate quello che vi si dice, altrimenti…

Niente autorizza a ritenere che altri paesi della regione sostengano le sanzioni statunitensi più della Turchia. Per esempio, il Pakistan e l’Iran si sono incontrati in Turchia per firmare un accordo relativo ad un nuovo gasdotto. Cosa ancora più preoccupante per gli USA, il gasdotto potrebbe essere prolungato fino all’India. L’accordo degli USA con l’India, di sostegno al suo programma nucleare – e indirettamente il suo programma di armi nucleari – aveva come obiettivo di evitare che l’India si collegasse a questo gasdotto, secondo Moeed Yusuf, un consigliere per l’Asia del Sud presso l’Istituto degli Stati Uniti per la pace. L’india e il Pakistan sono due delle tre potenze nucleari che hanno rifiutato di firmare il Trattato per la non proliferazione delle armi nucleari (TNP), la terza è Israele. Tutti e tre hanno sviluppato armi nucleari col sostegno degli USA, e continuano a farlo.

Nessuna persona sana di mente si augura che l’Iran sviluppi armi nucleari, o qualsiasi altra arma. Un modo semplice di attenuare o eliminare questa minaccia è quella di realizzare una zona libera da armi nucleari (ZEAN) in Medio Oriente. La questione è stata sollevata (un’altra volta) nel corso della conferenza del TNP, alle Nazioni Unite nel maggio 2010. L’Egitto, che guidava il 118 paesi del Movimento dei non allineati, propose che la conferenza appoggiasse un appello a negoziare nel 2011 una ZEAN in Medio oriente, come convenuto dall’Occidente, ivi compresi gli Stati Uniti, durante la conferenza di revisione del TNP nel 1995.

Formalmente, Washington continua a essere d’accordo, ma pretende che Israele ne sia esentata. Non è ancora arrivato il momento di creare la zona, ha dichiarato la segretaria di Stato Hillary Clinton durante la conferenza del TNP, mentre Washington sostiene che nessuna proposta può essere accettata se essa pretenda di collocare il programma nucleare israeliano sotto il controllo dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica (AIEA) o se imponesse ai firmatari del TNP, in particolare Washington, di divulgare le informazioni concernenti “le attività e le attrezzature israeliane, ivi comprese le informazioni relative ai precedenti trasferimenti nucleari verso Israele”. Il metodo di Obama per evitare i problemi è di adottare la posizione di Israele secondo cui ogni proposta deve essere inserita in un ampio accordo di pace, che gli USA possono rinviare indefinitamente, come hanno fatto in questi ultimi 35 anni sempre, salvo qualche rara e passeggera eccezione.

Nello stesso momento Yukiya Amano, direttore generale dell’AIEA, chiedeva ai ministri degli esteri dei 151 paesi membri di far conoscere il loro punto di vista su come mettere in esecuzione una risoluzione che chiedesse a Israele di aderire al TNP e di consentire l’ispezione delle sue istallazioni nucleari da parte dell’AIEA, secondo Associated Press.

Si sottolinea raramente che gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno una particolare responsabilità nella realizzazione di una ZEAN in Medio oriente. Alla ricerca di una magra copertura legale per l’invasione dell’Iraq del 2003, essi fecero appello alla risoluzione 687 del Consiglio di sicurezza (1991), che chiedeva all’Iraq di cessare la realizzazione di armi di distruzione di massa. Gli USA e il Regno Unito pretesero che l’Iraq non avesse rispettato tale risoluzione. Non è il caso di affrontare il tema di questa scusa, qui ci basta ricordare che questa risoluzione impegna i firmatari alla realizzazione di una ZEAN in Medio Oriente.
Tra parentesi, aggiungiamo che la pretesa degli Stati Uniti di mantenere le sua istallazioni nucleari a Diego Garcia indebolisce la ZEAN realizzata dall’Unione Africana, e nello stesso tempo gli USA bloccano una ZEAN del Pacifico, escludendo da essa i propri territori.

La retorica impegnata da Obama nei confronti della non proliferazione ha ricevuto molti elogi, ivi compreso un premio Nobel. Un passo concreto in questa direzione sarebbe la realizzazione di ZEAN. Un altro, quello di non sostenere più i programmi nucleari dei tre paesi non firmatari del TNP. Come accade spesso, la retorica e la pratica non coincidono.

Invece di prendere misure concrete dirette a ridurre la davvero terribile minaccia di proliferazione delle armi nucleari, gli Stati Uniti si preoccupano solo di rafforzare il controllo USA sul Medio oriente, regione vitale di produzione petrolifera, anche con la violenza se altri mezzi non bastano. Ecco una nuova dimostrazione della “selvaggia ingiustizia degli Europei” che Adam Smith deplorava nel 1776, anche se oggi il centro ci comando ha attraversato l’oceano verso le loro ex colonie.
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