Stampa
 Analisi, febbraio 2011 - Fidel Castro interviene con una sua riflessione sulla rivoluzione egiziana (nella foto: Fidel Castro)










Granma - 14 febbraio 2011



La ribellione rivoluzionaria in Egitto
di Fidel Castro

Alcuni giorni fa ho detto che la sorte di Mubarak era segnata e che nemmeno Obama lo poteva salvare.

Il mondo conosce quello che sta accadendo in  Medio Oriente. Le notizie circolano a velocità spaventosa. Ai politici basta appena il tempo per leggere i dispacci che giungo un’ora dopo l’altra. Tutti sono coscienti dell’importanza di quello che sta succedendo là.

Dopo 18 giorni di duro battagliare il popolo egiziano ha realizzato un importante obiettivo: far cadere il principale alleato degli Stati Uniti nel seno dei paesi arabi. Mubarak opprimeva e saccheggiava il suo stesso popolo, era nemico dei  palestinesi e complice d’Israele, la sesta potenza nucleare del pianeta, associata al gruppo bellicoso della NATO.

Le Forze Armate dell’Egitto, con la direzione di Gamal Abdel Nasser, avevano deposto, gettandolo da parte, un Re sottomesso e avevano creato la Repubblica che, con l’appoggio della URSS difese la patria dall’invasione franco-britannica e israelita nel 1956 e preservò il possesso del Canale di Suez e l’indipendenza della sua millenaria nazione.

L’Egitto godeva per quello un elevato prestigio nel Terzo Mondo. Nasser era conosciuto come uno dei leaders più  capaci del Movimento dei Paesi Non Allineati, alla cui creazione aveva partecipato con altri noti  dirigenti di Asia, Africa e Oceania, che lottavano  per la liberazione nazionale e l’indipendenza politica ed economica delle antiche colonie.

L’Egitto ha sempre avuto l’appoggio e il rispetto di questa organizzazione internazionale che raggruppa più di cento paesi. In questo momento, precisamente, questo fraterno  paese presiede il Movimento per il periodo di tre anni che le corrisponde;  l’appoggio di molti dei suoi membri alla lotta che oggi sferra il suo popolo  non si farà aspettare.

Che cosa hanno significato gli Accordi di Camp David, e perchè il popolo eroico della Palestina difende tanto arduamente i suoi diritti più vitali?

A Camp David, con la mediazione dell’allora presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter, il presidente dell’Egitto, Anwar el-Sadat, e il Primo Ministro israeliano Menahem Begin, firmarono i famosi accordi tra Egitto e Israele.

Si racconta che ci furono  conversazioni segrete durante 12 giorni e che il 17 settembre del 1978 firmarono due accordi importanti: uno riferito alla pace tra Egitto e Israele, e l’altro relazionato con la creazione di un territorio autonomo nella Striscia di Gaza e Cisjordania, dove el-Sadat pensava - e Israele conosceva e condivideva l’idea -  che sarebbe stata la sede dello Stato palestinese, la cui esistenza, così  come quella dello Stato d’Israele, che l’Organizzazione delle Nacioni Unite aveva accordato il  29 novembre del 1947, nel mandato britannico della Palestina.

Dopo conversazioni ardue e complesse, Israele accettò di ritirare le sue truppe dal territorio egiziano del Sinai, anche se rifiutò categoricamente la partecipazione a quei negoziati di pace della rappresentazione della Palestina.

Come prodotto del primo accordo, nel periodo di un anno, Israele reintegrò  all’Egitto il territorio del Sinaí occupato in una delle guerre arabo-israeliane.

In virtù del secondo, le due parti s’impegnavano  a negoziare la creazione  del regime autonomo in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. La prima, comprendeva un territorio di  5.640 chilometri quadrati e 2,1 milioni di h¡abitanti; e la seconda, 360 chilometri quadrati  e 1,5 milioni di abitanti.

I paesi arabi s’indignarono per quel accordo in cui, secondo loro, l’Egitto non difendeva  con sufficiente energia e fermezza uno Stato Palestinese, il cui diritto d’esistere era stato al centro delle lotte sferrate durante decenni dagli Stati arabi.

A un tale estremo d’indignazione giunse la reazione di questi che  molti ruppero le relazioni  con l’Egitto. Cosi, la Risoluzione delle Nazioni Unite del novembre del 1947, fu cancellata dalla mappa. L’ente  autonomo non si creò mai, privando i palestinesi  del diritto d’esistere  come stato indipendente, e da questo deriva l’interminabile tragedia che si vive e che si doveva risolvere già almeno trent’anni fa.

La popolazione araba della Palestina è vittima di azioni di genocidio; le terre sono state strappate e private dell’acqua in quelle aree semidesertiche e le case distrutte con enormi martelli. Nella Striscia  di Gaza, un milione e mezzo de persone sono sistematicamente attaccate  con proiettili esplosivi, fosforo vivo e con le note  granate “cacciatoti”. Il territorio della Striscia è bloccato  via mare e via terra. Perchè si parla tanto degli accordi  di Camp David e non si cita la Palestina?

Gli Stati Uniti somministrano le più moderne e sofisticate armi a Israele per un  valore di migliaia di  milioni di dollari l’anno. L’Egitto, un paese arabo, è stato trasformato nel secondo ricevente di armi nordamericane. Per lottare contro chi?  Contro un altro paese arabo? Contro lo stesso popolo egiziano?

Quando la popolazione domandava rispetto per i suoi diritti più elementari e la rinuncia di un presidente la cui politica consisteva nello sfruttare  e saccheggiare il suo proprio popolo, le forze repressive addestrate dagli Stati Uniti non hanno esitato a  spararle contro, ammazzando centinaia di persone e ferendone migliaia.

Quando il popolo egiziano  aspettava spiegazioni  dal Governo del suo stesso paese, le risposte venivano da alti funzionari degli organi d’intelligenza o del governo degli Stati Uniti, senza alcun rispetto per i funzionari egiziani.

Forse i dirigenti degli Stati Uniti  e i loro organi d’intelligenza non conoscevano una sola parola sii furti colossali del governo di Mubarak?

Prima che il popolo protestasse in massa da Piazza  Tahrir, nemmeno i funzionari del governo, nè gli organi d’intelligenza degli Stati Uniti dicevano  una sola parola dei  privilegi  dei furti vergognosi di migliaia di milioni di dollari.

Sarebbe un errore immaginare che il movimento popolare rivoluzionario in Egitto obbedisce teoricamente ad una reazione contro le violazioni dei suoi diritti più elementari. I popoli non sfidano la repressione e la morte, nè rimangono per notti intere a protestare con energia per questioni semplicemente formali. Lo fanno  quando i loro diritti  legali e materiali sono sacrificati senza pietà alle  esigenze  insaziabili dei politici corrotti e dei circoli nazionali e internazionali che saccheggiano il paese.

L’indice di povertà colpiva già la stragrande maggioranza di un popolo combattivo, giovane e patriottico, aggredito nella sua dignità, la sua cultura e le sue convinzioni.

Come  si potrà  conciliare la crescita incontenibile dei prezzi degli alimenti con le decine di migliaia di milioni di dollari che si  attribuiscono al presidente Mubarak, ed ai settori privilegiati del governo e della società?

Non basta adesso che si conosca a quanto ascendono: si deve esigere che siano restituiti al paese.

Obama è preoccupato per gli avvenimenti in Egitto, e agisce  o sembra agire come il padrone del pianeta. Quello dell’Egitto sembra una cosa sua. Non smette di parlare per telefono  con i leaders di altri paesi.

L’agenzia EFE, per esempio, informa:

" Ha parlato con il primo ministro britannico, David Cameron; con il re Abdalá II di Giordania, e con il primo ministro turco, l’islamista moderato Recep Tayyip Erdogan."

“Il governante degli USA  ha valutato il cambio storico spinto dagli egiziani ed ha riaffermato la sua ammirazione  per i suoi sforzi. "

La principale agenzia d’informazione nordamericana AP, trasmette ragionamenti degni d’attenzione:

"Gli Stati Uniti  sollecitano i governanti nel Medio Oriente, d’inclinazione occidentale, amichevoli con Israele e disposti a cooperare nella lotta contro l’estremismo islamico, al tempo in cui proteggono i diritti umani."

"Barack Obama ha redatto una lista di requisiti ideali impossibili da soddisfare dopo la caduta dei due alleati di Washington in Egitto e a  Tunisi per le rivolte popolari che, secondo gli esperti, si propagheranno nella regione."

"Non esiste prospetto con questo curriculum d’illusioni ed è molto difficile che ne appaia uno rapidamente. In parte si deve al fatto che negli ultimi 40 anni, gli Stati Uniti hanno  sacrificato i nobili ideali dei diritti umani che tanto propugna, in cambio della stabilità, la continuità  e il petrolio in una delle regioni più volatili del mondo."

"L’Egitto non sarà più lo stesso, ha detto Obama venerdì 11, dopo i festeggiamenti per la partenza di Hosni Mubarak."

"Mediante le loro proteste pacifiche, ha detto  Obama, gli egiziani hanno  trasformato illoro paese e il mondo”.

"Anche quando persiste il nervosismo tra vari governi arabi, le cupole di fiducia in Egitto e a  Tunisi, non hanno dato segnali d’essere disposte a cedere potere nè la vasta influenza economica che hanno avuto."

"Il governo di Obama ha insistito  che il cambio non dovrebbe essere di

personalità. Il governo statunitense ha fissato  questa posizione da quando il presidente Zine El Abidine Ben Ali è fuggito, in gennaio, da Tunisi, il giorno dopo che la segretaria di Stato, Hillary Rodham Clinton, aveva avvisato i governanti arabi in un discorso in Qatar che senza una riforma della fondamenta  dei loro paesi, sarebbero affondati nella sabbia."

La gente non si mostra molto docile in Piazza Tahrir.

Europa Press narra:

"Migliaia di manifestanti sono giunti in piazza  Tahrir, l’epicentro delle  mobilitazioni che hanno provocato la rinuncia del presidente del paese, Hosni Mubarak, per rafforzare coloro che continuano che continuano ad occupare qusto luogo, nonostante il tentativo della Polizia  militare di allontanarli, ha informato la catena britannica BBC.

"Il corrispondente della BBC presente nella centrale piazza di El Cairo ha assicurato che l’Esercito si st mostrando indeciso di fronte all’arrivo di nuovi manifestanti"

"Il nucleo duro […] è situato in uno degli angoli  della piazza.

[…] hanno deciso di rimanere in Tahrir […] per assicurarsi che si compiano tutti i loro reclami ."

Indipendentemente da quello che accade in Egitto, uno dei problemi più gravi che  affronta l’imperialismo in questo momento è il deficit di cereali che ho analizzato  nella Riflessione del 19 gennaio.

Gli Stati Uniti usano una parte importante del mais che coltivano e un alto indice del loro raccolto di soya per la produzione di biocombustibili.

L’Europa da parte  sua,  utilizza milioni di ettari di terra con questo proposito.

Come conseguenza del cambio climatico originato fondamentalmente dai paesi sviluppati  e ricchi,  si sta creando un deficit di acqua dolce e di alimenti incompatibile con la crescita  della popolazione, a un ritmo che la condurrà  a 9.000 milioni di abitanti in appena 30 anni, senza che l’Organizzazione delle Nazioni Unite e i governi più influenti del pianeta, dopo le  defraudanti riunioni di Copenaghen e  Cancún, abbino avvisato e informato il mondo di questa situazione.

Appoggiamo  il popolo egiziano e la  sua coraggiosa  lotta per  i suoi diritti  politici e  la giustizia sociale.

Non stiamo contro il popolo d’Israele, stiamo contro il genocidio del popolo palestinese e a favore del suo diritto ad uno Stato indipendente.

Non stiamo a favore della guerra, ma a favore della pace tra tutti i popoli.