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Analisi, novembre 2010 - Nessun luogo del mondo può adattarsi alla più trascurabile dimenticanza di un crimine, alla più trascurabile ombra. Noi chiediamo che i non-detto della nostra storia siano banditi perché diventi possibile entrare tutti insieme, e liberi, nel Tuttomondo. Ancora insieme, chiamiamo la tratta e la schiavitù nelle Americhe: crimine contro l’umanità” (Wole Soyinka (Premio Nobel)




L’Expression, 4 novembre 2010

Simbolico del 1 novembre. E’ vietato chiedere giustizia?
di Chems Eddine Chitour (Ecole nationale polytecnique)

Nessun luogo del mondo può adattarsi alla più trascurabile dimenticanza di un crimine, alla più trascurabile ombra. Noi chiediamo che i non-detto della nostra storia siano banditi perché diventi possibile entrare tutti insieme, e liberi, nel Tuttomondo. Ancora insieme, chiamiamo la tratta e la schiavitù nelle Americhe: crimine contro l’umanità” (Wole Soyinka (Premio Nobel)


L’anniversario dello scoppio della rivoluzione del 1° novembre ci fornisce l’occasione per tornare sul razzismo, il fenomeno coloniale e la ineluttabilità del pentimento. Se alcuni, per ragioni loro proprie, pensano che la Francia non abbia un debito di pentimento, sarà bene rinfrescare un po’ le idee a quelli che pensano che sia demodé parlare di pentimento, magari perfino dannoso per la carriera. Noi non siamo storici, al contrario, ma abbiamo sempre tentato di militare per la Verità. Montesquieu, uomo di lettere francese, proclamava che “occorre essere fedeli alla verità anche quando è in questione la nostra parte, che ogni cittadino ha il dovere di morire per la patria, ma nessuno è tenuto a mentire per lei”. E’ vero che la storia continua ad essere una interpretazione del passato, interpretazione suscettibile di mutare col mutare delle generazioni in funzione degli interrogativi e delle preoccupazioni del momento. Per questo essa è una riscrittura permanente del passato.
Parlando per l’appunto dei misfatti del colonialismo, vogliamo prendere un esempio tra i tanti che ci sono venuti in mente in occasione dell’uscita del film del franco-tunisino Abdelatif Kechiche, “La Venere Nera”. Senza voler parlare di tutti gli orrori della colonizzazione, vogliamo soffermarci su uno degli aspetti più abietti del mito delle razze superiori, quello del razzismo. Come si sa, in Europa, nel XIX secolo le idee di maitres à penser come Ernest Renan, Arthur de Gobineau e quelli che si rifacevano alle teorie pseudo-scientifiche, come quelle del premio Nobel per la medicina Charles Richet, sull’inferiorità dei neri, hanno consentito a personaggi come Jules Ferry e Joseph Chamberlain, addirittura a Cécil Rhodes, di mettere in pratica le fumose teorie delle razze superiori.
La “Venere ottentotta”, dal suo vero nome Sawtche, è nata nel 1789 (1). Segnata dalle sue caratteristiche morfologiche, Sawtche è diventata rapidamente un oggetto di curiosità, ma anche di cupidigia. Intorno al 1810, ella si reca a Londra insieme al suo ex padrone per esibirsi in un freak show delle celebri fiere di mostri dell’epoca. La drammaturgia dello spettacolo trasforma lei in curiosità né femmina né animale e lui in domatore di bestie selvagge. Saartjie emette dei grugniti per spaventare il pubblico che ha pagato 2 shilling per farsi terrorizzare. La dominazione dell’alcol che le consente di far fronte alle umiliazioni di un corpo dato in pasto al pubblico. La dominazione degli uomini e del loro denaro. Infine la dominazione degli scienziati sul suo cadavere. Alla morte di Saartjie, il celebre zoologo e chirurgo Georges Cuvier recupera il suo cadavere e lo disseziona, il suo corpo nudo modellato nel gesso per essere esposto al pubblico. E vi resterà fino al 1974 prima di raggiungere il magazzino del museo. Parigi, 1817, recinto dell’Accademia reale di medicina. “Non ho mai visto testa umana più simile a quella delle scimmie”. Di fronte al calco del corpo di Saartjie Baartman, l’anatomista Georges Cuvier è categorico. Saartjie Baartman muore a Parigi in miseria nel 1815. (2)

Il razzismo coloniale
Nel 1994, all’indomani della fine dell’apartheid in Africa del Sud, l’etnia dei Khoisan chiede ufficialmente a Nelson Mandela che siano loro restituite le spoglie di Saartjie Baartman. Mentre la Francia opponeva il principio di inalienabilità, secondo la legge, delle collezioni nazionali e l’interesse scientifico delle spoglie. Lo scheletro di Saartjie ha continuato a riempirsi di polvere nelle cantine del Museo dell’Uomo. Dopo molte peripezie, il 9 agosto 2002, ha avuto luogo una cerimonia ecumenica celebrata secondo i riti khoisani, alla presenza del presidente Mbeki. Ci sono voluti secoli perché Saartjie potesse finalmente riposare.
Ovviamente ciò che viene esposto per divertimento rientra nel concetto di “zoo umano”. Questo termine è apparso negli anni 2000 per descrivere l’ atteggiamento culturale prevalso negli Imperi coloniali fino alla seconda Guerra mondiale. Si sa che, durante il Rinascimento, i Medici, uno dei quali diventerà papa, acquisirono dei grandi serragli in Vaticano. E’ un fatto che per più di un secolo gli Europei hanno esibito degli esseri umani come animali, come “esseri strani”. Questi “Zoo umani” hanno consolidato un razzismo che si è diffuso fino ai giorni nostri. Scoprire questa pagina vergognosa e immorale della storia dell’umanità permette di conoscere le origini dell’immagine dell’uomo Nero nel mondo occidentale da molti secoli.
“Durante tutto il XIX secolo, l’idea di una supremazia naturale dei Bianchi, considerati una razza superiore, si è diffusa in Europa per giustificare l’espansione coloniale, sostenuta dall’esibizione di selvaggi sempre messi in scena, ma funzionali alla dimostrazione vivente di questa evidenza”.
“Tutto questo ha prodotto degli stereotipi che circolano ancora oggi”. Questi stereotipi tardano a morire. Così il 12 novembre 2009 la prima donna degli Stati uniti, Michelle Obama, è stata rappresentata come una scimmia vestita del suo tailleur rosa. Questa immagine umiliante e avvilente è stata diffusa in internet. Come sempre, la donna nera è ridotta al rango di animale in occidente. Già nel XIX secolo l’affinità tra uomo nero e gli animali era considerata come una verità scientifica indiscutibile. Oggi, nel 2009, il paragone sistematico tra l’uomo Nero e il primate continua ad essere di attualità (3) Nicolas Bancel, Pascal Blanchard e Sandrine Lemaire si interrogano su questa deriva: “Come è possibile? Gli Europei sono capaci di comprendere il significato di ciò che gli zoo umani rivelano della loro cultura, della loro mentalità , del loro inconscio collettivo? Di fatto questi zoo, dove individui “esotici” mischiati a bestie selvagge erano mostrati in spettacoli dietro le sbarre o in recinti  ad un pubblico avido di divertimento, costituiscono la prova più evidente della discrepanza tra discorso e pratica al tempo dell’edificazione degli imperi coloniali. Numerosi altri luoghi hanno poi ospitato simili “spettacoli” per adattarli a fini più “politici”, un “villaggio negro” e 400 comparse “indigene” hanno costituito una delle principali attrazioni – e quella del 1900, con 50 milioni di visitatori e il celebre Diorama “vivente” del Madagascar, o più tardi le Esposizioni coloniali, a Marsiglia nel 1906 e 1922, ma anche a Parigi nel 1907 e 1931. Sono stati a milioni i Francesi che, dal 1877 ai primi anni 1930, si sono incontrati in questo modo con l’Altro. Un “altro” messo in scena e in gabbia. Si mette in moto il meccanismo coloniale di inferiorizzazione dell’indigeno attraverso l’immagine, e in questo processo di formazione dell’immaginario europeo, gli zoo umani rappresentano la parte peggiore della costruzione dei pregiudizi sulle popolazioni colonizzate.
“In parallelo, si diffonde un razzismo popolare nella grande stampa e nell’opinione pubblica, come sfondo della conquista coloniale (…) Si assiste, attraverso gli zoo umani, alla rappresentazione della costruzione di una classificazione in “razze” umane. Così, il conte Joseph Arthur de Gobineau, con il suo “Essai sur l’inégalité des races humaines” aveva individuato l’ineguaglianza originaria delle razze creando una classificazione fondata su criteri di gerarchizzazione largamente soggettivi (…). In una tale percezione lineare dell’evoluzione socio-culturale e una simile rappresentazione di prossimità col mondo animale, le civiltà extra-europee vengono considerate come ritardate, ma pur sempre civilizzabili, dunque colonizzabili (…) Alla conquista segua la “missione civilizzatrice”, discorso del quale le esposizioni coloniali si faranno ardenti sostenitrici. Il militare cede il passo all’amministratore. Sotto la benefica influenza della Francia dei Lumi, della Repubblica colonizzatrice, gli indigeni sono degradati all’ultimo gradino delle civiltà. L’indigeno resta un inferiore, certamente, ma può essere reso “docile”, addomesticato, e si scoprono in lui delle potenzialità di evoluzione che giustificano le gesta imperiali”. (4)
In effetti, attraverso gli zoo umani, è possibile seguire tutto il processo di formazione di un razzismo popolare (e coloniale) nelle società occidentali (…) Gli zoo umani, incredibile simbolo dell’epoca coloniale e del passaggio dal XIX al XX secolo, costituiscono tuttavia un fenomeno sociale ancora più complesso, perché è lo strumento attraverso il quale milioni di Francesi, Europei, Americani hanno scoperto, per la prima volta, il “selvaggio”… Eccetto le Jardin d’acclimatation di Parigi, molti altri luoghi diventano teatro di simili spettacoli per adattarli a fini più politici, (…) più che il “selvaggio” era allora l’artigiano, il lavoratore che, grazie ad una buona guida, metteva le sue capacità al servizio della Più grande Francia. Il “selvaggio” viene allora addomesticato dalla potenza coloniale francese. In un certo senso, la frontiera tracciata tra visitatori e visitati negli zoo umani funziona ancora oggi. Ci sono Loro e Noi. Ci saremo sempre Noi (l’Occidente) e loro (gli altri), la “civiltà” da una parte e la “barbarie” dall’altra. Le frontiere sociali sono da allora rafforzate da un manicheismo che evidenzia l’alterità”. (4)

L’ostinazione della Francia
Gli zoo umani che abbiamo descritto sono venuti successivamente, dopo l’invasione e tutti i popoli colonizzati ne hanno avuto diritto. Per tornare specificamente agli orrori della colonizzazione che noi abbiamo il dovere di ricordare, la storia della colonizzazione è segnata da conquiste violente. Tuttavia le violenze e le atrocità commesse sui civili, i combattenti e i militari nemici fanno parte integrante della storia coloniale francese. “In Africa, ha dichiarato Bugeaud, l’unica economia è agricola… si semina e poi si fa la raccolta (…) Io non sono riuscito a trovare altro mezzo per sottomettere il paese che di colpire questa economia (…) Ho detto a ogni comandante di queste colonie: generale, la vostra missione non è di correre dietro agli Arabi, cosa che è del tutto inutile; la vostra missione è di impedire, nella  vostra zona, che gli Arabi possano seminare, fare la raccolta, pascolare gli animali”. Diventato maresciallo di Francia, Bugeaud tornò cinque anni dopo, dalla Camera del Deputati, a minacciare gli Algerini che non volevano sottomettersi alla dominazione francese: “Entrerò nelle vostre case, brucerò i vostri villaggi e i vostri raccolti; sradicherà i vostri alberi da frutto e allora dovrete prendervela solo con voi stessi”. La conquista militare dell’Algeria sarà sanguinosa perché il maresciallo saprà far seguire alle parole i fatti. “Chi accetta il fine accetta i mezzi, martella il ministro Montagnac nel 1843. Secondo me, tutti le popolazioni (d’Algeria) che non accettano le nostre condizioni devono essere rasi al suolo, tutto deve essere preso, saccheggiato, senza distinzione di età e di sesso; dove l’esercito francese ha messo piede non deve più crescere un filo d’erba”. Questa politica di occupazione militare fatta di violenze e di atrocità nei confronti delle popolazioni civili è stata difesa da alcuni intellettuali. Alexis de Tocqueville, l’autore dell’opera cult in occidente “Della democrazia in America”, così scriveva durante la conquista militare dell’Algeria: “Sento spesso in Francia uomini che considerano cosa malvagia che si brucino i raccolti, che si svuotino i granai e infine che si catturino uomini disarmati, donne e bambini. Si tratta di sgradevoli necessità, cui tuttavia qualsiasi popolo vorrà fare la guerra agli Arabi dovrà accettare di ricorrere”. Molto tempo dopo, in nome degli stessi principi, sarà giustificata la tortura in Algeria.
A che punto siamo? I paesi colonizzatori hanno, in un modo o nell’altro, fatto i conti coi popoli che hanno soggiogato. Due esempi recenti: il Canada, “Nel corso di più di un secolo i collegi indiani hanno tenuto separati più di 150.000 bambini autoctoni dalle loro famiglie e dalle loro comunità )…) A nome del governo del Canada e di tutti i Canadesi e le Canadesi, mi alzo davanti a voi per presentare le nostre scuse al popolo autoctono per ciò che il Canada ha fatto nei pensionati per indiani”, ha dichiarato solennemente Stephen Harper (5). E anche l’Australia: “Noi chiediamo scusa per le leggi e le decisioni dei diversi governi e Parlamenti che hanno provocato grandi pene, sofferenze e perdite ai nostri compatrioti australiani”. Il 13 febbraio 2008, davanti alla nazione australiana, il Primo Ministro australiano, Kevin Budd, pronunciava queste parole storiche che miravano a riconciliare l’Australia con la sua storia, ma soprattutto a fare pace con la sua memoria. D’altra parte anche l’Italia ha saldato il debito per la sua colonizzazione della Libia.
Che cosa abbiamo avuto noi su questo piano? Il discorso del presidente Sarkozy: “Il colonizzatore è venuto, ha preso si è impossessato, ha saccheggiato le risorse, le ricchezze che non gli appartenevamo. Ha spogliato le colonie della loro identità, della loro libertà, della loro terra, dei frutti del loro lavoro. Ha preso sì, ma io voglio dire con rispetto che ha anche dato. Ha costruito ponti, strade, ospedali, dispensari, scuole. Ha reso feconde le terre vergini, ha dato la sua pena, il suo lavoro, il suo sapere. Voglio dirlo qui, tutti i coloni non erano dei ladri, tutti i coloni non erano degli sfruttatori” (6) Aimé Cesaire scriveva: “Il colonialismo porta in sé il terrore. E’ vero. Ma porta in lui anche qualcosa forse di ancora più nefasto della “chicote” (frusta per le punizioni corporali usata nell’Africa francofona, ndt) degli sfruttatori, il disprezzo verso gli uomini, l’odio per gli uomini, insomma il razzismo. Da qualsiasi punto di vista la si prenda, si arriva sempre alla stessa conclusione: non c’è colonialismo senza razzismo. (7)
Rifiutare questo pentimento, significa rifiutare all’altro ciò che gli è dovuto, vale a dire la verità ma, cosa più importante, anche la dignità. Ma, al di là di questo gesto forte, è una lezione di umiltà e di umanesimo che l’Australia ha dato al mondo intero, una morale che spazza via tutti i discorsi politici e filosofici. Il riconoscimento dei fatti obbliga al pentimento.  Un obbligo morale e un’ esigenza umana di dire “scusa” per i crimini e gli abusi commessi da padri accecati dai loro pregiudizi, dall’odio e dall’ignoranza. Una nazione sa, riconoscendo i suoi errori e scusandosene, rinsaldare i legami con sé stessa ma anche con gli altri popoli che hanno a lungo subito il disprezzo e l’arroganza degli “ex padroni”.



(1)    Nata schiava di un ricco possidente afrikaaner nell’anno della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, Sawtche (questo era il suo nome originale) per le sue caratteristiche di steatopigia e macroninfia (un non comune sviluppo dei glutei e dell’apparato genitale) diventa ben presto oggetto di attrazione. Ceduta a un chirurgo della Royal Navy, viene portata in Inghilterra nel 1810, ribattezzata Saartjie Baartman ed esposta in circhi e fiere, prima in Olanda e infine a Parigi, con il soprannome di "Venere ottentotta". Utilizzata come attrazione in music hall e serate frequentate dalla buona borghesia, finisce i suoi giorni in un misero bordello, a soli 26 anni. Ma non basta. Finita sotto la lente degli zoologi francesi, la sua salma viene fatta oggetto di studi tesi ad avvalorare l’inferiorità biologica di alcune razze umane. Soltanto nel 1974 il suo scheletro è stato rimosso dalla galleria di Antropologia fisica del Musée de l’Homme e solo a prezzo di una estenuante campagna diplomatica, di cui si è fatto latore nel 1994 Nelson Mandela, la salma è stata riconsegnata nel 2002 alla sua terra natale.
(2)    Sandrine Dionys: Saartjie Baartman, l’histoire d’une Venus – Le Post 30.10.2010
(3)    http://www.deshumanisation.com/continuite/toujours-en-cage/75-michelle-obama-guenon
(4)    Nicolas Bancel, e all. Ces zoos humains de la République – Le Monde diplomatique, agosto 2000
(5)    Stephen Harper, Dichiarazione. Fonte. AFP, 12 giugno 2008
(6)    Nicolas Sarkozy: Discorso di Dakar, luglio 2007
(7)    Aimé Césaire, La Nouvelle Critique, gennaio 1954