Analisi, ottobre 2010 - Il Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente si è concluso con l'affermazione di importanti principi. A nessuno è consentito di utilizzare l'espressione bibilica di "Terra promessa" per giustificare un'ingiustizia come il ritorno degli Ebrei in Israele e la cacciata dei Palestinesi. E ancora: con l'avvento di Cristo, non vi è più un "popolo eletto", tutte le donne e tutti gli uomini di tutti i paesi sono il "popolo eletto" e la "Terra promessa" è il Regno di Dio su tutta la terra, ed è un "Regno di pace, d'amore, di uguaglianza e di giustizia"


L’Expression, 28 ottobre 2010

Mussulmani e cristiani di fronte alle ingiustizie

di Mustapha Chérif

Le cause dei problemi che i cristiani vivono in oriente sono politici

Per la prima volta nella storia, dal 10 al 23 ottobre 2010 si è tenuto in Vaticano un Sinodo, congresso mondiale dei vescovi, sulla situazione dei cristiani in Oriente. La presenza cristiana in Oriente, che condivide tanti valori coi mussulmani, è una necessità sia per i cristiani che per i mussulmani. Alla vigilia di questo incontro, numerosi osservatori erano inquieti, preoccupati che l’Islam, ultimo Messaggio Rivelato, e i mussulmani, testimoni della fede nell’unico Dio, fossero posti sul banco degli accusati, mentre le cause dei problemi che vivono i cristiani in Oriente sono politici: la politica dei due pesi e delle due misure, la colonizzazione in Palestina, l’invasione dell’Iraq, la debolezza dei poteri e l’instabilità.
Le cause della difficile situazione che vivono i cristiani in Oriente sono politiche e non religiose.
Il rapporto del 18 ottobre del Sinodo, dopo il dibattito generale sulle relazioni coi mussulmani, ha placato i timori. Esso esprime una preoccupazione di dialogo, di obiettività e di equilibrio. Stabilisce che la Dichiarazione Nostra aetate del Concilio vaticano II costituisce la base dei rapporti tra la Chiesa cattolica e i mussulmani. Ricorda che, all’inizio del suo pontificato, il papa Benedetto XVI dichiarò: “Il dialogo interreligioso e interculturale tra cristiani e mussulmani non può essere ridotto ad una scelta occasionale. E’ in effetti una necessità vitale, dalla quale dipende in gran parte il nostro avvenire”.

Il dialogo è fondamentale
Il rapporto precisa ancora: “Il Consiglio pontificale per il Dialogo interreligioso intrattiene incontri di dialogo di importanza capitale”. Come io stesso avevo suggerito al Papa, esso raccomanda “la creazione di commissioni locali di dialogo interreligioso”. Insiste sul fatto che “è necessario dare il primo posto al dialogo di vita, che offre l’esempio di una testimonianza silenziosa, eloquente… Solo i cristiani che offrono una testimonianza di vita autentica sono qualificati per un dialogo interreligioso credibile. Noi abbiamo bisogno di educare i nostri fedeli al dialogo. I cristiani orientali possono aiutare quelli dell’Occidente ad entrare più profondamente in un incontro costruttivo con l’Islam”.
Insiste a giusto titolo sul fatto che “le ragioni di tessere dei rapporti tra cristiani e mussulmani sono molteplici. Essi sono concittadini, condividono la stessa lingua e la stessa cultura, le gioie e le sofferenze. Inoltre i cristiani hanno la missione di vivere come testimoni di Cristo nelle loro società. Fin dalla sua nascita, l’islam ha delle radici comuni con Cristianesimo e Giudaismo. La letteratura arabo-cristiana deve essere valorizzata di più, ed essere utilizzata come risorsa nel dialogo coi mussulmani”.
I cristiani in Oriente chiedono di essere rispettati nella loro fede, senza essere sospettati a priori di proselitismo.
Il rapporto mostra i legami che uniscono cristiani e mussulmani: “La nostra vicinanza coi Mussulmani si è consolidata in quattordici secoli di vita comune, con difficoltà ma anche scontando molti punti positivi. Per un dialogo fruttuoso, cristiani e mussulmani devono conoscersi meglio. Mussulmani e cristiani condividono l’essenziale dei valori islamici.
Numerose iniziative illustrano la possibilità di incontro e di lavoro fondata sui valori comuni (pace, solidarietà, non violenza). Sono state menzionati molti esempi di iniziative riuscite, in materia di dialogo e di lavoro comune tra cristiani e mussulmani… Di qui l’importanza primordiale del dialogo di vita, o dialogo di vicinato, hiwar ajiwar”. Il rapporto sottolinea che durante questo sinodo: “Il dialogo coi Mussulmani è stato sovente evocato, raccomandato, incoraggiato… Siamo tutti abitanti della stessa terra, della stessa casa di Dio. E’ stato anche affermato: nessuna pace è possibile senza dialogo coi mussulmani”. Un punto interessante: si precisa che “Le Chiese orientali sono le più qualificate a promuovere il dialogo interreligioso con l’islam. E’ un dovere che incombe loro per la stessa natura della loro storia, della loro presenza e della loro missione. Il contatto coi mussulmani può rendere i cristiani più legati alla loro fede, approfondirla e purificarla. La santità di vita è reciprocamente apprezzata, da una parte e dall’altra”. L’approfondimento della fede è esaltato come valore comune.
Il sinodo sottolinea un punto centrale che noi condividiamo: “Noi abbiamo il dovere di educare i nostri fedeli al dialogo interreligioso ed all’accettazione della diversità religiosa, al rispetto e alla stima reciproca… prima di discutere su ciò che ci divide, ritroviamoci su ciò che ci unisce, soprattutto per ciò che riguarda la dignità umana e la costruzione di un mondo migliore. Bisogna evitare ogni azione provocatrice, offensiva, umiliante, e ogni atteggiamento anti-islamico”.
Naturalmente ci si inquieta del fatto che “l’annuncio islamico (Al da’waa) è sempre più attivo in Occidente. Noi dobbiamo affermare la nostra differente visione della verità. Noi dobbiamo affrontare serenamente e obiettivamente le questioni che concernono l’identità dell’uomo, la giustizia, i valori di una vita sociale degna, e la reciprocità”. Ma si tenta anche di distinguere tra le differenti correnti in seno al mondo mussulmano: “Noi dobbiamo anche considerare che i mussulmani hanno diverse correnti di insegnamento e di azione”. I partecipanti al sinodo hanno riconosciuto che la maggioranza dei mussulmani è tollerante e constatato che il mussulmano non è una minaccia.
Si è affermato che “la libertà religiosa è alla base di sani rapporti tra mussulmani e cristiani. Essa dovrà essere un tema di primo piano nel dialogo interreligioso. Si è auspicato che il principio coranico “nessuna costrizione nella religione” sia realmente praticato”. Questo tema è in effetti fondamentale per tutti. Alcuni partecipanti al Sinodo hanno anche parlato di “costrizioni, di limiti alla libertà, di atti di violenza e di sfruttamento dei lavoratori emigrati in qualche paese”. Ma essi hanno messo l’accento su ciò che unisce e pacifica, piuttosto che su ciò che divide. Il rapporto giunge ad affermare con audacia che “mussulmani e cristiani condividono l’essenziale dei valori islamici”.
Attraverso il dialogo, i cristiani si radicheranno meglio nello loro società, e non cederanno alla tentazione di ripiegarsi su sé stessi. Dobbiamo entrambi uscire dall’ottica della difesa dei diritti dei nostri soli correligionari ed impegnarci per il bene di tutti, tanto più che è parziale parlare di “amore” e di “pace”, dimenticando la giustizia. Questo sinodo permette di rilanciare la speranza tra mussulmani e cristiani di poter vivere dappertutto, in Oriente come in Occidente, un’esperienza di diversità vissuta nella prossimità, la serenità e il rispetto reciproco.

Posizioni molto coraggiose
Al momento della chiusura del sinodo, in presenza del Papa, è stata espressa una posizione politica ufficiale del Vaticano, giusta e coraggiosa, sotto forma di un “Appello alla comunità internazionale”. Il Sinodo dei vescovi del medio oriente ha chiesto alla comunità internazionale di porre fine alla occupazione israeliana dei territori arabi: “I cittadini dei paesi del Medio Oriente chiedono alla comunità internazionale, in particolare all’ONU, di lavorare con sincerità ad una soluzione di pace giusta e definitiva nella regione, e questo attraverso l’attuazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza e l’assunzione di misure giuridiche necessarie per porre fine all’occupazione dei territori arabi da parte di Israele”. I vescovi, in maggioranza del Medio Oriente, sono stati chiari: si tratta di mettere fine alle colonie. “Il popolo palestinese potrà avere una patria indipendente e sovrana e vivervi nella dignità e nella stabilità”.
Da parte sua, Israele “potrà godere della pace e della sicurezza all’interno di frontiere internazionalmente riconosciute”: A proposito della Città Santa: “Gerusalemme potrà ottenere il giusto statuto che rispetti le sue particolarità, il suo carattere sacro e il suo patrimonio religioso, per ciascuna delle tre religioni, ebrea, cristiana e mussulmana”, i prelati auspicano “che la soluzione dei due Stati diventi una realtà e non resti un semplice sogno”.
Il Sinodo fa riferimento alla risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che aveva condannato, nel novembre 1967, “l’acquisizione di territori attraverso la guerra” e chiesto “il ritiro delle forze armate israeliane dai territori occupati” durante la guerra dei sei giorni. Questa risoluzione è stata seguita da molte altre dello stesso tenore. Nel merito, l’arcivescovo di Newton (USA) ha precisato che il sinodo ritiene che “Israele non può utilizzare l’espressione “Terra promessa” che figura nella Bibbia per “giustificare il ritorno degli ebrei in Israele e la cacciata dei palestinesi”. Inoltre il presidente della Commissione per il messaggio del Sinodo del Medio Oriente, nel corso di una conferenza stampa, ha confermato: “Non ci si può basare sul tema della Terra promessa per giustificare il ritorno degli ebrei in Israele e la cacciata dei Palestinesi”.
Nel messaggio di chiusura, i vescovi e patriarchi orientali affermano che “non è consentito il ricorso a temi biblici e teologici per farne uno strumento che giustifichi le ingiustizie… Per noi cristiani non si può parlare di “Terra promessa al popolo ebreo”, espressione che figura nell’Antico testamento, perché questa “promessa” è stata “abolita dalla presenza di Cristo”. Dopo la venuta di Gesù, noi parliamo di “Terra promessa” per indicare il regno di Dio che copre la terra intera, ed è un “regno di pace , d’amore, di uguaglianza e di giustizia”.
Non c’è più un popolo prediletto, un popolo eletto, tutti gli uomini e tutte le donne di tutti i paesi sono diventati il popolo eletto”. Sono stati inoltre posti in evidenza due problemi di fondo a proposito della soluzione auspicata dalla comunità internazionale e dal Vaticano di istituire uno Stato ebraico ed uno Stato Palestinese per risolvere il conflitto in Medio Oriente. Nell’ambito dello Stato ebraico, il sinodo paventa il rischio di esclusione di “un milione e mezzo di cittadini israeliani che non sono ebrei, ma arabi, mussulmani e cristiani”. Per i partecipanti al sinodo, sarebbe meglio parlare di uno “Stato a maggioranza ebraica”.
Il presidente della commissione ha difeso il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi: “Con la creazione di due Stati, si risolverà questo problema”.
E’ una posizione equa, che merita di essere apprezzata, a tutto onore dei cristiani di Oriente e del Vaticano. I mussulmani hanno bisogno di una Chiesa giusta, forte, credibile come un’alleata capace di contrastare le ingiustizie del nostro tempo, la xenofobia, le derive di un Occidente consumista e materialista.
Così come i cristiani hanno bisogno di mussulmani forti e aperti  per contrastare il nihilismo, la perdita dei valori e contribuire insieme alla costruzione di una nuova civiltà. Questo sinodo restituisce la speranza di una convivenza nel mutuo rispetto.



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