Rimodellamento della storia europea e costruzione del mito della “occidentalità”
“La ricostruzione mitologica della storia d’Europa come un continuum razionale che porta a compimento un destino eccezionale nella Storia universale si fonda su dei rimodellamenti e delle idealizzazioni di diverso tipo. L’accento viene posto talora su un fenomeno idealizzato e magnificato, talora su un altro, a seconda della passione politica di colui che traccia il quadro dello svolgimento della storia di Europa e della sua supposta unità. Nella recente storia d’Europa, cosiddetta moderna, si tratta del Rinascimento e della Riforma, della Rivoluzione scientifica e della Rivoluzione industriale. Per quanto riguarda invece il XIX° secolo romantico, la nostalgia per l’unità dello Stato cristiano viene considerata uno dei grandi motori per il mantenimento dell’unità europea”.
La funzione di storicizzazione trascendente
“Questa nostalgia si può ritrovare in molti grandi autori dallo stile e dall’erudizione così ammirevole che il lettore fa fatica a rendersi conto di essere intensamente esposto al fascino provocato dalla costruzione di un mito capace di ottundere ogni spirito critico. Diversi autori fanno riferimento ad altri fenomeni, considerandoli come germi permanenti della specificità europea fin dall’Antichità: si tratta della razionalità greca, dell’eredità dell’elaborazione romana del diritto e dello Stato, del monoteismo dopo la sua comparsa tra le tribù di Israele, ma anche del contributo delle tribù germaniche che invasero l’Europa nel IV° e V° secolo, che avrebbero insegnato all’Europa l’amore per la libertà.
Per dimostrare l’esistenza di una genetica europea unica e specifica che esisterebbe fin dall’origine dei tempi, conviene evidentemente procedere ad una idealizzazione di questi momenti storici scelti come fondativi e magnificarli attribuendo loro caratteri eccezionali, che dovevano essere ben presenti a coloro che li hanno vissuti. Bisogna dunque stilizzare al massimo il racconto storico, che assume una dimensione epica; bisogna anche stabilire delle complesse derivazioni, tra secoli e avvenimenti totalmente eterogenei e procedere così alla loro “rivelazione”, cosa che attribuisce luminosità e fascino al racconto del genio europeo o occidentale. E’ la “funzione di storicizzazione”. Molto ben descritta da un filosofo francese husserliano e gnostico, Raymond Abellio (1907-1986)”.
Il “mistero” della rottura nazista nella storia d’Europa
“Se non sono mancate crude descrizioni della efferatezza e della disumanità del nazismo, esse si limitano però all’analisi di un fenomeno specificamente tedesco o alle trasformazioni socio-economiche che hanno percorso l’Europa, favorendo l’era delle tirannie. Ma come spiegare il sostegno e l’ammirazione col quale è stato accolto il sorgere del nazismo da significativi settori delle elite europee, raffinati, artisti, filosofi, umanisti e cosmopoliti, nutriti di scienza e conoscenza? L’immenso successo del nazismo fuori dalla Germania, così come l’ampia collaborazione assicurata all’esercito nazista in molte zone dell’Europa sono fenomeni scarsamente studiati. E tuttavia essi pongono un problema molto preoccupante e complesso, che mette direttamente in discussione la coerenza del discorso occidentalista. Se l’Occidente è questa entità massiccia, questo titano che discende dal genio greco, dal cristianesimo e da una rivoluzione scientifica e razionalista propriamente europea, come spiegare allora questo accesso di barbarie che occupa tutta la prima metà del secolo scorso?
Se l’Occidente è l’avanguardia dell’umanità, se la sua civiltà è al centro dell’avventura umana, allora questa barbarie improvvisa, dopo secoli di progresso e raffinatezza, non può che restare inspiegabile e misteriosa, sfuggendo proprio a quella ragione che l’Occidente pretende di incarnare. Se invece questa barbarie affonda le sue radici nella stessa storia dell’Europa, allora vuol dire che la sua storia non è meno “selvaggia” di tutte quelle che la stessa Europa ha gratificato di questo termine dispregiativo. E, in questo caso, fa vacillare e toglie credibilità a tutti i discorsi che l’Europa fa su sé stessa e sul suo genio specifico nella storia dell’umanità, che mostra agli altri popoli come un modello da seguire”.
L’effetto perverso del dogmatismo occidentale in materia di giustizia internazionale
“Ne è una prova, per esempio, la protezione di cui hanno beneficiato a lungo certi dirigenti dei Khmers rossi, responsabili del genocidio cambogiano (1975-1979), ma allo stesso tempo alleati degli Stati Uniti. Un tribunale penale internazionale è stato insediato nel 2006 in Cambogia per giudicare i responsabili del genocidio, ma lavora con una lentezza incredibile. I principali capi delle milizie libanesi, responsabili di molti massacri collettivi e di trasferimenti forzati di popolazione tra il 1975 ed il 1990 non sono mai stati giudicati da un tribunale internazionale. Alcuni di loro, dopo essere stati a lungo i pilastri dell’egemonia siriana in Libano, sono diventati degli eroi democratici dei governi occidentali, quando nel 2005 si sono ribellati alla Siria per diventare adepti ferventi della politica di George W. Bush in Medio oriente. Al contrario, l’assassinio dell’ex primo ministro libanese Rafik Hariri nel febbraio 2005, nel corso di un’imponente operazione terroristica, ha provocato l’istituzione di una commissione di inchiesta internazionale e la costituzione di un tribunale internazionale per giudicare i suoi assassini (che prosegue i suoi lavori all’inizio del 2009).
Su di un piano diverso, il dittatore iracheno Saddam Hussein, a differenza del dirigente serbo Slobodan Milosevic, non è stato giudicato da un tribunale internazionale, ma in modo sommario in un’Iraq occupato dall’esercito USA, poi giustiziato nel dicembre 2006, prima ancora che fosse concluso il processo relativo ad altri capi di accusa. E l’assassinio nel dicembre 2007 dell’ex primo ministro pachistano Benazir Bhutto non ha dato luogo ad alcuna seria inchiesta internazionale, né alla costituzione di un tribunale speciale, come nel caso di Rafik Hariri. Non si possono non rilevare, in questa giustizia internazionale “a geometria variabile” i condizionamenti degli interessi geostrategici”.
L’importanza dei flussi migratori nel successo economico
“Per comprendere la capacità di certi paesi europei di generare un flusso continuo di progressi tecnici nella produzione agricola prima di tutto, poi in quella dei prodotti di consumo, così come in quella dello sviluppo dei mezzi e sistemi di trasporto sempre più sofisticati, bisogna analizzare i due principali fattori che hanno consentito di superare i grandi limiti economici e demografici del continente europeo. Si tratta prima di tutto dei flussi migratori permanenti che l’Europa ha conosciuto a partire dal XVI° secolo, abbinati per altro all’aumento della produttività agricola ed al miglioramento continuo dell’alimentazione dovuto all’importazione di nuove colture ed a tecniche di sfruttamento e irrigazione imparati da popoli vicini o lontani.
E’ questo che spiega perché le sinistre previsioni di Malthus non si sono realizzate. Questi pensava che bisognasse attendersi delle carestie che avrebbero eliminato il surplus di popolazione determinata dalla crescita demografica in rapporto a risorse limitate. Non aveva previsto l’ampiezza che avrebbero assunto i flussi migratori permanenti, iniziati a partire dal secolo XVI°, né il concomitante aumento della produttività agricola ed il miglioramento delle tecniche di produzione artigianale che si evolvevano verso il capitalismo industriale. Uno dei più forti stimoli a questo progresso, almeno in una prima fase, è stata la povertà del suolo europeo in risorse naturali e l’arretratezza della sua agricoltura che non riusciva a produrre a sufficienza per sfamare la sua popolazione, come testimoniano le carestie che hanno segnato la storia del continente, nel quale un basso livello di igiene favoriva il diffondersi delle grandi epidemie. In uno stretto territorio, circondato da tre mari e da potenze vicine, a sud ed a est del Mediterraneo (Impero bizantino, poi gli imperi arabi e turco), o nei grandi spazi vuoti della Russia, gli Europei hanno dovuto fare sforzi particolari per migliorare la loro sorte. D’altra parte i primi grandi progressi tecnici si sono realizzati proprio nelle zone europee più povere di risorse naturali: il Portogallo, l’Olanda, l’Inghilterra. Allontanarsi dal proprio territorio per conquistare il mare (o estendendolo a detrimento del mare, come in Olanda), migliorare le tecniche agricole e, quando tutto questo non era sufficiente, esportare gli uomini e colonizzare, importare le conoscenze presenti altrove, oltre alle piante, i farinacei e i legumi, e gli animali utili, ecco quello che più verosimilmente ha stimolato il progresso materiale. Una volta avviata la crescita demografica, grazie al miglioramento dell’alimentazione, le società europee hanno dovuto gestire il surplus di popolazione”.