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ProfileInterventi, febbraio 2017 - Andrea Orlando (nella foto) parte da Napoli nella sua campagna per le primarie del PD, e preannuncia una conferenza programmatica da tenersi proprio nella città “dove si è manifestata in tutta la sua potenza la crisi della politica”...

 

Corriere del Mezzogiorno, 25 febbraio 2017

 

Dem, più politica meno candidature

Nicola Quatrano

 

Andrea Orlando parte da Napoli nella sua campagna per le primarie del PD, e preannuncia una conferenza programmatica da tenersi proprio nella città “dove si è manifestata in tutta la sua potenza la crisi della politica”. “Chiameremo – ha anche detto -intellettuali, giovani, lavoratori” per trovare insieme una “ricetta”, che è come dire una agenda politica all’altezza della crisi drammatica che vive il paese. Dimostra quindi per lo meno di avere intelligenza e fiuto politico, avendo capito che il consenso non viene più da Twitter, Facebook e nemmeno dalla TV (ammesso che sia mai stato davvero così), ma che c’è piuttosto bisogno di idee e di un programma nel quale gli elettori abbiano fiducia e che considerino importante sostenere. 
 
Andrea Orlando
 
Punto debole dell’operazione, però, è proprio il PD, a Napoli più che altrove una specie di deserto dopo la guerra (civile), e non promette niente di buono il possibile schierarsi con Orlando di Valeria Valente, diventata oramai testimonial di che cosa un partito non dovrebbe mai essere. Però l’idea di fondo è giusta e incontra, per così dire, certi venti nuovi che vengono addirittura d’oltreatlantico.
 
Negli Stati Uniti, per esempio, lo shock provocato dall’elezione di Donald Trump e da quanto essa ha rivelato della spaventosa crisi politica vissuta dal paese, ha messo in moto un importante processo di mobilitazione “dal basso”, che potrebbe avere interessanti conseguenze. Non tanto le manifestazioni che hanno accompagnato (e contestato) la cerimonia di giuramento del neo-presidente, ma le molte iniziative di gruppi e semplici cittadini che sentono oggi la necessità di mettersi personalmente in gioco per riempire l'enorme vuoto che decenni di spoliticizzazione e di governi delle élite hanno lasciato. Centinaia di persone bussano alle porte delle sedi del Partito Democratico, non per candidarsi a ruoli dirigenti o per reclamare un seggio in Parlamento, ma solo per fare politica, con ciò creando perfino imbarazzo in un apparato disabituato alla partecipazione e quasi sgomento nel vedere tanti giovani riempire, per la prima volta, le loro stanze.
 
Ezra Levin e Leah Greenberg, una coppia (nella foto a destra) con pregresse esperienze politiche nello staff del deputato democratico texano Lloyd Doggett, hanno organizzato il gruppo degli “indivisibili” (da un controverso titolo del Times sugli “Stati Disuniti d’America”), impegnato nella “resistenza” contro Trump. Hanno messo in rete una Guida per resistere alle politiche di Trump, scritto in modo molto semplice e che insegna come fare politica dal basso. In soli due mesi (da metà dicembre) questa guida è stata scaricata da 15 milioni di persone e oggi gli “indivisibili” contano settemila gruppi, presenti in tutti i 50 Stati, che intervengono localmente, specialmente nelle Town Halls organizzate dai deputati nei loro collegi elettorali, per controllarli e costringerli a “rigare dritto”.
 
In Italia siamo lontani da tutto questo. Non c’è mobilitazione popolare, ma solo fibrillazione di un ceto politico con l’urgenza di ricollocarsi utilmente in vista delle prossime scadenze elettorali. Anche la scissione del PD, le cui ragioni ideali restano ignote ai più, sembra ridursi alla nascita di un nuovo gruppo che, in alleanza con la parte più opportunista di SEL, concorre con Sinistra Italiana, Pisapia e il partito della famiglia De Magistris ad occupare l’oramai esangue spazio elettorale della sinistra. Emiliano ha trovato più conveniente smarcarsi e rientrare nel PD (e chi sa che non lo faccia anche la famiglia De Magistris), mentre Renzi progetta una nuova DC che assorba la parte di Forza Italia che non vuole sottostare alla leadership di Salvini. 
 
Claudio e Luigi De Magistris, e il logo del partito di famiglia
 
Insomma una vicenda per niente sexy, alla quale la gran parte degli elettori resta estranea, se non ostile. Quanto ci sarebbe bisogno invece di un lento e faticoso lavoro di studio, di analisi della realtà (una realtà sempre meno conosciuta e diversa da quella che ci raccontano i media) e di programmi veri, di ampio respiro, di lotte politiche che perseguano gli interessi del paese e non quelli personali del candidato di turno. Forse è oramai illusorio aspettarci un’autoriforma da parte di questo ceto politico, chissà non sia più realistica l’idea che “semplici” cittadini, più o meno qualificati, si organizzino per costringere i loro rappresentanti a cominciare ad occuparsi davvero dei problemi che ci affliggono. Non per aggiungere altre sigle o candidature ad un mercato elettorale inflazionato, ma semplicemente per fare politica, nel senso nobile del termine, e concorrere a formare programmi e battaglie politiche degne di questo nome.
 
Un sogno forse, ma negli Stati Uniti ci stanno provando. Perché non farlo anche qui, partendo da Napoli?