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 Analisi, marzo 2014 - Nata nel 1937 in un chiosco di hot-dog, la società McDonald’s è diventata la più grande catena di ristorazione rapida.  Presente nei quattro angoli del globo, il suo sviluppo planetario è dovuto all’incredibile penetrazione di una pubblicità tanto ingannevole quanto onnipresente






Le Grand Soir, 29 mars 2014 (trad. ossin)



La « McDonaldizzazione » è l’essenza stessa del

capitalismo


Capitaine Martin



Nata nel 1937 in un chiosco di hot-dog, la società McDonald’s è diventata la più grande catena di ristorazione rapida.  Presente nei quattro angoli del globo, il suo sviluppo planetario è dovuto all’incredibile penetrazione di una pubblicità tanto ingannevole quanto onnipresente. Un clown, un logo semplice e accattivante, cibo poco caro, un’atmosfera intrisa di gentilezza e semplicità. Di che dare a McDonald’s l’apparenza di un’impresa ben curata. Ma la realtà è tutt’altra.


Essa rappresenta nel suo insieme il simbolo del sistema nel quale viviamo: il capitalismo. Un sistema basato sulla produzione di massa, resa possibile dalla libera circolazione delle merci e alimentata da un consumismo frenetico a scopi essenzialmente lucrativi. Questo mercato internazionale è uno degli architetti della mondializzazione economica che, lentamente e sottilmente, prosegue la sua opera di annichilimento delle differenze naturali e culturali. E’ la natura nel suo insieme la prima vittima di questo mercato-mostro: deforestazione, abbattimento massivo di animali e sfruttamento dell’uomo.


Ettari ed ettari di foresta vengono ogni anno tagliati, privando così il pianeta dei suoi polmoni, per fare posto a mandrie di animali da macelleria e a colture di soia per le industrie della carne. Le conseguenze per gli animali sono devastanti: alcuni sono sradicati dal loro habitat tradizionale, mentre altri sono condannati a vivere in allevamenti industriali. Ma gli umani non se ne escono meglio; le tribù indigene d’America Latina, d’Africa o dell’India pagano così carissimo il costo del progresso.
Le loro coltivazioni, rispettose del  pianeta, vengono sistematicamente distrutte dalle multinazionali  che vogliono ingrandirsi un po’ di più… per alimentare un po’ di più il mercato. E’ in questo modo che questa politica alimentare non durevole (perché motivata solo da interessi privati) produce un disequilibrio paradossale: mentre alcuni muoiono ancora di fame in certe parti del mondo, in altre il diabete e l’obesità sono diventate un male endemico. Il destino di un bambino asiatico, come quello di una foresta e di un pollo, dipendono più che mai dall’illogicità del sistema.


Il processo di americanizzazione, definito da Georges Ritzer come “la diffusione delle idee, dei costumi, delle abitudini sociali, dell’industria e del capitale statunitense nel mondo “ vede nella McDonaldizzazione il suo esempio più significativo. Secondo il sociologo statunitense, il principio del fast-food viene fatto penetrare in settori sempre più ampi della società, negli Stati uniti e nel resto del mondo. E’ dunque un processo profondo e di grande ampiezza reso possibile dalla riproducibilità dei principi di efficacia, di calcolabilità, di prevedibilità e di controllo. Da questo punto di vista, le macchine tendono sempre di più a sostituirsi all’essere umano, e quando questo non è possibile, è l’uomo stesso, intrappolato nella sua routine, che diventa una macchina. Questa metamorfosi incarna l’essenza del capitalismo: il passaggio dallo stato di essere vivente a quello di produttore, di consumatore e di merce. La disumanizzazione segna, tra l’altro, la rottura definitiva col pianeta, visto dalle multinazionali come un enorme territorio da saccheggiare per accrescere le proprie ricchezze. L’equilibrio terreste, questa sottile e fragile armonia, viene così regolarmente bistrattato dagli interessi finanziari di qualche società. La varietà cede allora il passo alla globalizzazione, che consiste nel rendere le cose sempre più uguali su scala mondiale.


Sempre secondo Ritzer, questo processo si scontra anche con delle irrazionalità… prodotte dalla stessa razionalità. McDonald’s, come Disney World, creano l’illusione dello svago, della quantità e del buon mercato. E la principale irrazionalità prodotta da questi sistemi è la disumanizzazione. Questo sistema può così diventare dannoso per l’uomo a causa dei suoi effetti sulla salute (cattiva dietetica dei prodotti), dei suoi effetti sui lavoratori (tasso di assenteismo e turn-over elevati, alto grado di frustrazione), dei suoi effetti sui consumatori, trattati come degli automi e impegnati in relazioni impersonali e anonime.


McDonald’s è riuscito a creare un mondo a sua immagine. Il carattere più inquietante dell’egemonia delle multinazionali è rappresentato dal fatto che esse riescono a difendere tranquillamente la loro logica perversa abbrutendo intere frange della popolazione. Oggi il comune cittadino ignora che, dietro il clown Ronald, apparentemente bonario, si nasconde una vera e propria indole malvagia. Quanti boicottano Nestlé, responsabile – tra le altre cose – della massiccia deforestazione dell’Indonesia? Quando rifiutano di calzare delle Nike, impresa che impiega regolarmente lavoro infantile all’altro capo del pianeta? E chi riesce a vedere Monsanto, il maggior produttore di alimenti geneticamente modificati, come un nemico personale, ma anche come un nemico del pianeta intero? Si potrebbero fare altri esempi. Tuttavia la resistenza a questo processo, che ha assunto oggi un carattere trasversale, è realmente cominciata. Il settimanale The Economist si meraviglia della diffidenza crescente dei cittadini francesi nei confronti delle loro élite. Solo una minoranza dichiara che “l’economia di mercato è il migliore sistema economico”. Si ritrova, ovviamente, la stessa diffidenza dei Francesi nei confronti dell’Europa, un malcontento destinato a estendersi a altri paesi europei.


Il futuro non si ferma alle elucubrazioni degli ex allievi dell’ENA (La Scuola Nazionale di Amministrazione francese, ndt), ai diktat delle lobbie o alle cure di austerità dell’Unione Europea. Quanto allo zio Sam, farebbe meglio a ricordare che gli storici non fanno che trascrivere la Storia… ma sono i popoli che la scrivono.