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Cf2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement), 9 marzo 2014 (trad. Ossin)



Ucraina : il mondo all’incontrario

Eric Denécé


Gli Occidentali si allarmano per l’evoluzione della situazione in Ucraina e per l’atteggiamento della Russia. Alcuni addirittura si spingono a parlare di una nuova “guerra fredda” e ad attribuirne la responsabilità a Valdimir Putin. Ai loro occhi, la rivoluzione ucraina, che ha avuto ragione del despota Yanukovich – il quale ha finito per cedere di fronte a un popolo giovane, coraggioso, assetato di libertà e pronto a tutti i sacrifici – con l’aiuto dell’Occidente, del quale incarna i valori, è attualmente minacciata da Mosca. E infatti, di fronte all’evolversi delle cose, “l’orco” russo ha manifestato tutto il suo malcontento, incoraggiando una secessione nel paese e minacciando di inviare le truppe per contrastare lo stabilizzarsi del nuovo ordine.

Questa è la lettura della rivoluzione ucraina, così come viene “propinata” all’opinione pubblica dai diplomatici e dai media occidentali. I fatti dell’inverno 2014 a Kiev vengono presentati come una contestazione popolare e legittima, fondata sulle aspirazioni democratiche ed europee della popolazione e sull’esasperazione nei confronti di un regime corrotto e oltranzisticamente filo-russo. Mosca viene presentata come l’aggressore che viola senza scrupoli il diritto internazionale. Una simile visione della realtà è partigiana e parziale e merita di essere corretta da una lettura più obiettiva della situazione.



Una situazione complessa

La situazione dell’Ucraina è effettivamente ben più complessa di come i media la presentano. Il paese è eterogeneo, storicamente, linguisticamente e dal punto di vista religioso. Ricordiamo che le sue attuali frontiere sono recenti, in particolare  esso comprende i territori sottratti alla Polonia (Galizia), all’epoca della spartizione di questo paese da parte di Hitler e Stalin, alla Romania (1940) e alla Cecoslovacchia (1945).


La parte orientale dell’Ucraina, a est del Dnepr,  è sempre stata sotto l’influenza russa. Faceva parte integrante dell’impero dalla metà del XVII° secolo (trattato di Pereiaslav, 1654). La Crimea, conquistata da Caterina II, venne rapidamente russificata e diventò militarmente una provincia strategica con il porto di Sebastopoli che offriva uno sbocco sul mar Nero. Questa regione, abitata in stragrande maggioranza da Russi, venne assegnata all’Ucraina da Kruscev nel 1954, per ragioni di politica interna, e la cosa non poteva avere grandi conseguenze finché esisteva l’URSS. Sul piano religioso, è largamente preponderante la Chiesa ortodossa che riconosce l’autorità del Patriarca di Mosca. In tal modo la maggioranza della popolazione orientale si dichiara visceralmente attaccata a Mosca, con la quale condivide una storia, una lingua e una religione comune.


Per contro, la parte occidentale del paese è passata sotto l’influenza russa solo nel 1793, dopo essere appartenuta al Regno di Polonia, dal XIV al XVII secolo, poi all’Impero austriaco, a partire dal 1772. Sarà integrata nell’URSS solo nel 1922, mentre l’Ucraina transcarpatica farà parte della Cecoslovacchia fino al 1945. La religione maggioritaria qui è il culto uniate (rito cattolico orientale), che riconosce l’autorità del Papa di Roma. Questa parte occidentale è molto filo-occidentale e nutre molta diffidenza nei confronti della Russia, con la quale i suoi legami storici e culturali sono molto più tenui.


A partire dal 1928, l’Ucraina ha vissuto momenti molto difficili a causa della politica staliniana di collettivizzazione delle terre (carestie, deportazioni, repressioni, con un bilancio di quasi otto milioni di vittime), la qual cosa ha provocato un durevole risentimento nei confronti di Mosca e del regime comunista. Questo spiega perché molti Ucraini si siano uniti alle formazioni paramilitari create e sostenute dal III Reich a partire dal 1930 (Organizzazione militare ucraina/UVO, Organizzazioni nazionaliste ucraine/OUN, Sezione ucraina dei fascisti russi/ROND, ecc) e abbiano partecipato all’invasione dell’URSS. Allo stesso modo, a partire dal 1941, è tra gli Ucraini che i nazisti riescono a reclutare la maggior parte dei collaborazionisti nella lotta contro Stalin (Divisione SS Galizia) e per mantenere l’ordine nei territori conquistati. Abbiamo potuto vedere di che cosa siano stati capaci contro la resistenza bretone nel 1944.


 


Il paese è dunque profondamente diviso tra una parte occidentale dal forte tropismo europeo e dal nazionalismo pronunciato, mentre a est la maggioranza della popolazione, russofila e russofona, non si sente per nulla ucraina (1). Questa bipolarizzazione si manifesta a ogni elezione, come per esempio durante lo scrutinio presidenziale del 2004, quando il candidato filo-occidentale Viktor Yutchenko ottenne più dell’80% dei suffragi a ovest, mentre il suo avversario Viktor Yanukovich otteneva più dell’80% dei voti a est.


Un altro elemento deve ancora sottolinearsi. Dalla sua indipendenza nel 1991, l’Ucraina è stata governata da élite che hanno coscienziosamente saccheggiato il paese, qualsiasi fosse la loro appartenenza politica. Se è innegabile che questo abbia fatto il presidente Yakunovich, è vero anche che non è stato il solo: i leader della “rivoluzione” del 2004, presentati come i più “democratici”, non sono stati da meno. In particolare Yulia Timoshenko, l’ispiratrice della Rivoluzione arancione, la “Giovanna d’Arco” ucraina ne è un esempio edificante.


Questa donna d’affari, vera e propria oligarca che ha fatto fortuna nell’industria del gas (è stata presidente della Compagnia nazionale di distribuzione di idrocarburi/SEUU) si è impegnata in politica agli inizi degli anni 1990. Nel gennaio 2001, mentre era vice-primo ministro con delega all’Energia, è stata dimissionata dal presidente Kuchma, accusata di “contrabbando e falsificazione di documenti”, per avere importato fraudolentemente gas russo nel 1996, quando era presidente di SEUU: Timoshenko venne arrestata e ha fatto diverse settimane di prigione. Poi, nel 2009, è stata condannata a sette anni di prigione per arricchimento illecito nell’ambito dei contratti di fornitura di gas firmati da Ucraina e Russia nel 2009. Se la sua prigionia durante il mandato di Yanukovich ha prodotto a quest’ultimo certamente una utilità politica, non si è per questo trattato di un arresto arbitrario, tanto le prove sono schiaccianti nei confronti di questa donna, la cui immagine mediatica di purezza è agli antipodi della realtà (2).



Yulia Tymoshenko



Conseguenza di questa generalizzata corruzione delle élite, è che il paese è oggi in fallimento e i suoi leader si trovano nella necessità di raddrizzare la sua disastrosa situazione finanziaria. E’ paradossalmente quello che Yanukovich, altrettanto incompetente e corrotto dei suoi predecessori, aveva capito. Stimando che l’aiuto europeo, proposto nell’ambito dell’accordo commerciale che avrebbe dovuto essere firmato nel novembre 2013 a Vilnius, non era sufficiente (610 milioni di euro), il presidente ucraino ha chiesto che fosse elevato a 20 miliardi di euro, cosa che Bruxelles ha rifiutato. Così ha fatto un voltafaccia per accettare l’offerta russa, giacché Mosca gli proponeva 15 miliardi di aiuti diretti e il mantenimento di un prezzo molto conveniente per la fornitura di gas naturale.


Oltre ad essere economicamente allettante, una simile proposta non presentava nulla di sconvolgente, giacché la maggior parte degli scambi commerciali dell’Ucraina si svolge effettivamente con la Russia, e i suoi settori strategici sono molto bene integrati nell’economia di quest’ultimo paese, col quale sono stati firmati oltre 240 accordi commerciali.



Un vero e proprio colpo di Stato

E’ la prospettiva di questo nuovo accordo commerciale – e non di una unione doganale – con la Russia che ha suscitato la reazione dei partiti e degli attivisti nazionalisti dell’ovest, filo-occidentali e anti-russi. Ma il movimento “popolare” che ha preso forma nel novembre 2013 contro il presidente Yanukovich, col manifesto obiettivo di rovesciarlo, ha violato – a prescindere dalla legittimità o meno della causa
– Tutte le regole democratiche cui l’Occidente fa riferimento. Infatti ha compiuto una serie di trasgressioni che i politici e i media si sono ben guardati dal segnalare alle nostre opinioni pubbliche.


- In primo luogo, la “rivoluzione” ha inteso colpire un presidente democraticamente eletto. Ricordiamo che Yanukovich ha vinto le elezioni presidenziali del 2010 all’esito di un processo elettorale giudicato trasparente e onesto dalla Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE). Egli era dunque un presidente assolutamente legittimo e legale, per quanto corrotto.

- I “rivoluzionari” hanno agito nonostante nuove elezioni presidenziali fossero previste per il 2015. Ciò vuol dire che, se avessero rispettato il gioco democratico, del quale si affermano sostenitori, sarebbe bastato pazientare un solo anno per rimandare Yanukovich a casa e cambiare politica. Invece hanno preferito rovesciare illegalmente il regime un anno prima delle elezioni. Si è trattato di una reazione sconsiderata e antidemocratica.

- Questa “rivoluzione” si è caratterizzata per delle azioni di una estrema violenza da parte dei manifestanti, lontane dalle immagini delle pacifiche manifestazioni veicolate dai media occidentali. In breve tempo sono apparse delle armi e numerosi poliziotti sono stati uccisi da colpi d’arma da fuoco. Ciò è dovuto al fatto che gli elementi più attivi del movimento “rivoluzionario” sono stati alcuni gruppi ultra-nazionalisti di estrema destra, perfino nazisti (miliziani di Pravyi Sektor, dell’UNA/UNSO, di Svoboda, di Tryzub, del “Martello Bianco”, ecc) (3). Essi erano particolarmente ben formati e organizzati, tanto da riuscire a fare prigionieri elementi bene addestrati delle forze dell’ordine. E’ stata dunque la violenza degli uni che ha prevalso su quella degli altri. Ebbene, questi gruppi non hanno nulla in comune con i nostri valori europei di umanesimo, di democrazia e di tolleranza e diversi dei loro leader sono entrati a far parte del nuovo governo di Kiev. Nonostante ciò l’Occidente li ha sostenuti e continua a farlo.

- Inoltre, questa “rivoluzione” difende gli interessi solo di una parte dell’Ucraina, quella dell’ovest filo-occidentale; essa trascura le voci di quelli che hanno eletto Yanukovich e che sono favorevoli all’accordo commerciale con la Russia. Peggio, essa calpesta i loro diritti più elementari. Infatti, appena insediato, il nuovo governo provvisorio ha immediatamente vietato l’uso della lingua russa come seconda lingua ufficiale dell’Ucraina, nonostante che il 30% della popolazione sia russofona (fino al 70% in Crimea). E’ una vera provocazione e una negazione del principio di rispetto delle minoranze.


Questa “rivoluzione” presenta dunque dei caratteri clamorosi: essa è illegale e antidemocratica, è stata particolarmente violenta, ha al suo interno una importante componente di estremisti ed è minoritaria nel paese. Ecco quale è la “causa” che l’Occidente sostiene. La “Rivoluzione di Maidan” ha partorito un governo auto-proclamatosi e venuto dalla piazza, privo di alcuna legittimità che non sia quella delle cancellerie e dei media occidentali.



Un manifestante "pacifico" spara contro la polizia



Inoltre la crisi attuale è in parte conseguenza proprio della volontà dell’Unione Europea di estendere ancor più la propria influenza a est e di ridimensionare quella della Russia sull’Ucraina. E’ stata l’Unione Europea che ha indirettamente attizzato le braci, per quanto non fosse in grado di offrire a Kiev l’aiuto finanziario che i Russi proponevano.


Di più, l’UE ha adottato un atteggiamento anti-russo sotto l’influenza della Polonia e dei paesi Baltici, che hanno un bilancio negativo con Mosca e nutrono un forte risentimento nei suoi riguardi. Questi Stati hanno contribuito significativamente all’irrigidimento delle posizioni europee verso la Russia, per quanto ciò non si concili né con la tradizione né con gli interessi dell’Europa dell’Ovest. Ricordiamo en passant che i nuovi giunti dell’Europa dell’Est sono accaniti atlantisti: si sono accodati ciecamente agli Statunitensi nella invasione dell’Iraq nel 2003 e, nella maggior parte dei casi, preferiscono acquistare armamenti statunitensi piuttosto che europei. Ai loro occhi, l’appoggio di Washington è più importante di quello di Bruxelles.


Così, dietro una Unione Europea credulona e strumentalizzata da qualcuno, si profila la strategia degli USA. Dal dissolvimento dell’URSS in poi, Washington ha continuamente operato per una riduzione della zona di influenza russa, attraverso il doppio allargamento dell’Europa e della NATO. I media statunitensi – ripresi senza alcuno spirito critico dai loro colleghi europei – si abbandonano ad una vera e propria propaganda anti-Putin, facendola più nera di quanto sia e fornendo una visione deformata della realtà di questo paese, in particolare della popolarità del suo presidente.



La reazione russa

Ovviamente, di fronte a questa pseudo-rivoluzione e alla volontà manifesta di ridurre l’influenza della Russia, Mosca non è rimasta senza reagire.


Contrariamente a quanto afferma la maggioranza dei media, Putin non nutre alcuna simpatia per Yanukovich, che considera incompetente e corrotto, ampiamente responsabile dell’attuale crisi. Egli dunque non appoggia l’uomo. Per contro, il Cremlino non può accettare la situazione in Ucraina, sia con riguardo al diritto internazionale che alla difesa dei propri interessi.


Sul piano del diritto, a onta del martellamento dei media occidentali che presentano la rivoluzione ucraina come legittima, è piuttosto Putin ad avere ragione quando dichiara che questo movimento è null’altro se non un colpo di Stato illegale contro un regime democraticamente eletto. Il presidente russo ritiene che qualsiasi cambiamento avrebbe dovuto aver luogo nel rispetto della costituzione ucraina, dal momento che le elezioni erano fissate per l’anno successivo. Così, quali che siano le riserve nei suoi confronti, continua a considerare Yanukovich il presidente legittimo del paese.


E’ per questo che, quando quest’ultimo gli ha chiesto aiuto, Putin ha accettato. Anche ciò ha fatto nel rispetto delle regole, chiedendo al Parlamento russo di approvare “un intervento dell’esercito in Ucraina” per proteggere i cittadini e le basi militari russe presenti nel paese. Allo stesso modo, quando il Parlamento della Crimea – istanza legittima ed eletta democraticamente – non riconoscendo il governo rivoluzionario di Kiev, propone un referendum per unirsi alla Russia, Putin ne prende atto, considerandola legale.


Sul piano militare, le istallazioni navali russe di Crimea sono di importanza strategica per Mosca, trattandosi del suo unico accesso al Mediterraneo, attraverso gli stretti turchi. Senza il porto di Sebastopoli, la base di Tartus, in Siria, non avrebbe grande utilità. Mosca ha dislocato circa 20.000 uomini in questa provincia, in base ad un accordo firmato nel 1997 con Kiev. Non se ne  parla nemmeno di abbandonare la base. Per altro una parte dell’industria militare e spaziale russa resta ancora localizzata in Ucraina, dove sono in particolare prodotti gli aerei Antonov.


Infine non bisogna sottovalutare la posta identitaria. Kiev è stata la capitale del primo Stato russo nell’alto Medio Evo e i Russi, che hanno la memoria lunga, non hanno dimenticato come gli Occidentali hanno costretto la Serbia, nel 1999, a separarsi dalla sua storica provincia del Kosovo, a profitto di una popolazione istallatasi su quel suolo più recentemente.


Subito dopo la nascita del nuovo governo ucraino, Mosca ha immediatamente preso delle misure di ritorsione economica. Gazprom ha annunciato che avrebbe posto fine, a partire da aprile, alla vendita di gas russo all’Ucraina a prezzi inferiori a quelli di mercato.


Una cosa è certa: la Russia non si impegola in pratiche del tipo Soft Power per raggiungere i propri obiettivi: non ricorre a manovre di destabilizzazione attraverso ONG e non si nasconde dietro interventi fatti a nome di sedicenti “diritti dell’uomo” o della democrazia. Essa agisce senza giri di parole.



Le minacce occidentali

In occasione di questa crisi, l’atteggiamento dei paesi occidentali si caratterizza per una fortissima polemica con la Russia, che manifesta un anti-sovietismo degno della Guerra Fredda.


Secondo la NATO, “quello che la Russia fa in Ucraina viola i principi della Carta delle Nazioni Unite. Ciò minaccia la pace e la sicurezza in Europa. La Russia deve cessare le sue attività militari e le sue minacce”, ha affermato il 2 marzo Anders Rasmussen, il suo segretario generale. Poi Barack Obama ha dichiarato che il referendum previsto il 16 marzo in Crimea, per decidere sulla riunione alla Russia, è illegale. E’ stato seguito immediatamente dall’insieme degli Europei.


L’eventualità di un intervento militare di Mosca in Ucraina è stata anch’essa occasione per una serie di messe in guardia indirizzate dai leader occidentali a Vladimir Putin. In aggiunta alle sanzioni economiche occidentali, la Francia ha segnalato di voler sospendere i preparativi del prossimo summit del G8 che dovrebbe tenersi in giugno a Sochi “fin quando i nostri partner russi non ritorneranno a principi conformi a quelli del G7 e del G8”, ha dichiarato il 2 marzo Laurent Fabius, ministro degli affari esteri. “Noi condanniamo l’escalation militare russa e ci auguriamo che al più presto possa organizzarsi una mediazione, sia direttamente tra Russi e Ucraini, sia attraverso l’ONU o L’OSCE”, ha aggiunto.


Il Regno Unito è sulla stessa posizione. Il Canada e gli Stati Uniti, dal canto loro, hanno affermato che potrebbero non partecipare al summit del G8. L’amministrazione Obama è andata ancora oltre, evocando la possibile esclusione della Russia da tale organismo e minacciando Mosca di isolamento economico. “Nel XXI° secolo, non potete comportarvi come nel XIX° secolo, invadendo un altro paese con pretesti assolutamente fallaci”, ha dichiarato John Kerry, capo della diplomazia statunitense.


Però le minacce di sanzioni economiche e di boicottaggio del G8, brandite dagli Occidentali, non impressionano più di tanto Vladimir Putin. Egli pensa che esse sarebbero controproducenti e dannose soprattutto per i loro promotori, perché in “un mondo contemporaneo, dove tutto è interdipendente, si può certamente fare un torto ad un altro, ma il pregiudizio sarà reciproco”. Gli Inglesi lo hanno ben compreso e non sembrano affatto favorevoli a sanzioni economiche contro Mosca. Infatti moltissime imprese russe sono quotate alla City di Londra e i nostri vicini di oltre Manica hanno un acuto senso dei propri interessi.


L’atteggiamento occidentale, di evidente malafede, sembra non accorgersi nemmeno della profondità delle sue contraddizioni:

- Come si può denunciare un “colpo di mano” di Putin e non condannare il carattere violento e illegale del colpo di Stato di Kiev contro un presidente democraticamente eletto?

- Come dei democratici possono appoggiare e riconoscere un movimento ampiamente composto da elementi violenti di estrema destra?

- Come si possono riconoscere dei “legittimi diritti” ad una parte della popolazione (Ucraina dell’ovest) e negare questi stessi diritti al resto del paese?

- Dopo avere voluto che la provincia del Kosovo diventasse indipendente da Belgrado, come può impedirsi alla Crimea di seguire una strada simile?

- Come ci si può stupire della reazione della Russia, dopo essere andati a stuzzicare “l’orso” proprio nella sua tan?


Deve constatarsi che gli Occidentali sembrano rispettare il diritto internazionale solo quando conviene loro e lo violano quando non corrisponde ai loro interessi, tentando di legittimare le loro azioni con una definizione incessantemente fluttuante di “bene” e “male” e screditando sistematicamente il campo avverso con una guerra dell’informazione sapientemente orchestrata.


A tutti coloro che si indignano per la reazione russa, occorre chiedere se abbiano protestato con uguale veemenza:

- Quando gli Stati Uniti hanno invaso l’Iraq, producendo false prove sulla sedicente presenza di armi di distruzioni di massa, passando oltre la non approvazione da parte dell’ONU e lasciando questo paese in una situazione catastrofica.

- Quando le ONG e i media hanno rivelato l’esistenza di prigioni segrete della CIA nel mondo  e la legalizzazione della tortura per le forze e i servizi statunitensi nel quadro della “guerra al terrorismo”.

- Quando gli Occidentali, Francia in testa, hanno del tutto oltrepassato l’ambito della risoluzione dell’ONU in Libia, trasformando la “protezione delle popolazioni civili” in una operazione di rovesciamento di Gheddafi, con i deplorevoli risultati che si sanno.

- Quando gli Stati Uniti, la Francia e il Regno Unito hanno tentato di scatenare un intervento militare contro la Siria in assenza di prove, col pretesto che Bachar el-Assad avrebbe fatto ricorso ad armi chimiche contro la sua popolazione, azione che tutto oggi prova sia stata invece realizzata dal gruppo jihadista Al-Nousra, sostenuto dall’Arabia Saudita.

- Quando gli attacchi dei droni della Cia ogni giorno uccidono più innocenti di quanti terroristi riescano ad eliminare, alimentando così forte risentimento nei confronti dell’Occidente.

- Quando Edwar Snowden ha rivelato l’ampiezza dello spionaggio internazionale della NSA statunitense e il controllo telefonico su tutta la popolazione statunitense (4).



Gli errori delle diplomazia francese

Dopo gli errori fatti in Libia (2011) e in Siria (5) (2013), ecco di nuovo la nostra diplomazia sbagliare in Ucraina. Priva di una visione o di strategia, la diplomazia francese si agita ad ogni crisi, tentando di occupare il primo piano, confondendo visibilmente comunicazione e riflessione.


A inizio marzo, il presidente Hollande ha salutato “la transizione democratica che si avvia” a Kiev, ignorando probabilmente che il governo che prima era in carica era stato eletto nelle urne e poi rovesciato con la violenza. Poi ha fermamente ricordato, il 6 marzo, il suo “favore all’integrità territoriale del paese”. Indubbiamente i suoi consiglieri hanno omesso di ricordargli il precedente del Kosovo e, soprattutto, quello di Mayotte (6). Ricordiamo anche le dichiarazioni patetiche, inappropriate e stupide, del rappresentante francese all’ONU, che ha paragonato l’attuale situazione in Crimea all’ingresso dei carri armati sovietici a Praga nel 1968.


L'isola di Mayotte, annessa alla Francia
con un referendum



La nostra politica estera sembra fondarsi su una percezione puerile e parziale dei “buoni” e dei “cattivi”, se non su una analisi assolutamente errata della situazione.

Ora, l’emozione e l’indignazione – soprattutto quando sono infondate – non sono in grado di sostituirsi alla analisi obiettiva delle situazioni per ciò che concerne il diritto, la geopolitica e i nostri interessi. Solo Hubert Védrine, l’ex ministro degli affari esteri, ha avanzato delle proposte sensate (7).


Più grave, tutto avviene come se noi facessimo esattamente quello che si augurano gli Statunitensi, come se la diplomazia francese si fosse convertita ad una visione neo-conservatrice del mondo.  Ebbene, questo atteggiamento da servo zelante non ci procura alcuna considerazione – come si è visto a  proposito del mutamento di programma statunitense sulla Siria, del quale non eravamo per niente informati – né benefici – come testimonia l’assenza di ritorni economici del nostro intervento in Libia – lasciandoci nella poco invidiabile posizione del tacchino farcito.


L’evoluzione della politica statunitense dovrebbe al contrario spingerci a prendere le distanze da Washington e a guardare di più a est. Infatti gli Stati Uniti si preoccupano solo dei loro interessi e manifestano una tendenza costante a fare il gioco degli apprendisti stregoni sulla scena internazionale, benché le loro iniziative siano raramente coronate da successo (l’Iraq, il sostegno ai Fratelli Mussulmani, ecc). Al contrario, dopo le pseudo “rivoluzioni arabe” e la crisi siriana, la Russia si assicura ogni giorni altri alleati nel mondo e la Francia è sempre più criticata per il suo allineamento alla politica azzardata di Washington.


Il conto della rivoluzione e del colpo di Stato si annuncia particolarmente pesante per l’Ucraina sul piano economico e finanziario.  Fuori questione contare sulla Russia per i 12 miliardi che avrebbero potuto essere versati da quest’anno. Inoltre Mosca probabilmente adeguerà il prezzo del gas che fornisce a Kiev ai livelli di mercato, completando lo strangolamento del paese. Il nuovo governo provvisorio sembra scoprire che il paese è sull’orlo del fallimento e chiede un massiccio aiuto finanziario – 35 miliardi di dollari per cominciare – all’Occidente, che però non è in grado di fornirlo.


Così i “sogni” ucraini si dissolveranno rapidamente e il realismo farà sentire la sua voce. E realismo vuole che, i “rivoluzionari” lo vogliano o meno, la Russia sarà sempre il grande vicino di Kiev; che la maggior parte degli scambi commerciali continuerà a farsi con la Russia, che vi sarà sempre quasi un terzo di Russi nel paese, che la Crimea ospiterà sempre, a Sebastopoli, la flotta russa del Mar Nero e che l’Ucraina si riscalderà sempre col gas russo.


Occorre dunque assumere nei confronti dei “democratici” ucraini lo stesso atteggiamento che abbiamo verso Israele: non è perché sosteniamo la loro causa che dobbiamo lasciar loro fare qualsiasi cosa, né che pagheremo per le loro incongruenze.



Note:


• [1] Leggere in proposito Thomas Guénolé et Katerina Ryzhakova-Proshin « Ukraine: halte au manichéisme ! », Slate.fr, 24 dicembre 2013.

• [2] In proposito leggere l’importante contributo di Ahmed Bensaada, « Ucraina : autopsia di un colpo di Stato », in:
http://www.ossin.org/ucraina/ucraina-autopsia-di-un-colpo-di-stato.html  e in:  http://www.ossin.org/ucraina/ucraina-autopsia-colpo-stato-parte-seconda.html

• [3] Cf. Claude Moniquet, « Ukraine : copier/coller, vieilles rengaines et ignorance des réalités  », ESISC, 26 febbraio 2014.

• [4] Eric Denécé, « Intervention en Syrie : la recherche d'un prétexte à tout prix », Editoriale n°32, settembre 2013,
www.cf2r.org

• [5] Eric Denécé, « La dangereuse dérive de la « démocratie » américaine », Editoriale n°31, agosto 2013,
www.cf2r.org

• [6] L' 8 febbraio 1976, venne organizzato un referendum a Mayotte, per l'adesione dell'isola alla Francia. L'ONU lo considerò come nullo e non avvenuto, e condannò la violazione dell'integrità territoriale delle Comore, chiedendo alla Francia di lasciare Mayotte. 

• [7] Hubert Védrine « Cinq propositions pour sortir de la crise ukrainienne  », Rue 89, 8 marzo 2014.