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The Voice of Russia, 5 giugno 2013 (trad. ossin)



Il “Secolo magnifico” non sarà durato a lungo


Il governo di Erdogan ha perso l’occasione di risolvere pacificamente i conflitti politici interni. Il paese è minacciato da una escalation nel conflitto tra gli islamisti e i kemalisti, con una crescita dell’equivalente turco dei Fratelli mussulmani.

Le autorità turche hanno cominciato ad assumere delle timide iniziative per placare con mezzi pacifici le violenze e gli scontri che continuano, dalla fine della settimana scorsa, nella metà delle città del paese. Il 4 giugno scorso, il Primo Ministro aggiunto, Bulent Arinc, si è detto pronto a incontrare gli organizzatori delle manifestazioni ed ha perfino riconosciuto che le motivazioni d’origine del loro malcontento – la demolizione del parco Gezi a Istanbul – erano giuste e legittime.

Il primo ministro Recep Tayyip Erdogan si è, per il momento, astenuto da fare anche lui dichiarazioni di questo tipo. Il conflitto che covava da lungo tempo tra islamisti e sostenitori del kemalismo ha finito per scoppiare.

Ricordiamo che il kemalismo è una dottrina esclusivamente turca, elaborata nel 1927 da Moustafà Kemal Ataturk, capo militare, riformatore e primo presidente della Turchia. Questa ideologia si fonda su sei principi fondamentali, tra i quali la forma repubblicana e il nazionalismo. Dall’epoca di Ataturk molta acqua è passata sotto i ponti, ma nella società turca fino ad oggi, e con alterno successo, sono state dominanti due visioni dell’evoluzione del paese: l’adesione all’Unione Europea o una virata verso la rigida tradizione islamica.

Come è noto, il decennio del governo Erdogan e del suo partito islamista moderato, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo, ha da un alto consentito una rapida crescita dell’economia turca e dall’altro ha provocato una islamizzazione soft dello Stato, dei servizi sociali e delle istituzioni pubbliche.

La scelta delle autorità di distruggere il parco Gezi a Istanbul ha catalizzato la rabbia della frangia liberale della popolazione, scontenta per l’islamizzazione surrettizia del paese, suggerisce il professore Serguei Drujilovski, dell’Istituto di studi orientali dell’Università delle Relazioni Internazionali di Mosca (MGIMO):

“Il 30% della popolazione è kemalista. Un altro 30% è islamista duro, convinto che tutto debba cambiare. E circa il 30% sono gli indecisi, soprattutto in ambito rurale. Ma io non credo che gli islamisti scenderanno in piazza, perché questo porterebbe alla guerra civile. Quindi il governo farà tutto il possibile per raffreddare le passioni e per canalizzarle sulla via del negoziato. Finché l’islamizzazione è stata dolce, tutto è andato bene.

Ma poi, con le primavere arabe e la situazione in Siria, il regime ha cominciato a radicalizzarsi, a prendere misure più autoritarie e ad adottare leggi dal tenore chiaramente islamico. Penso che sia stato questo a scatenare le proteste. Perché, nonostante tutto quello che si dice, la società turca resta largamente laica”.

E’ chiaro che la Turchia è sull’orlo di una crisi politica profonda, ritiene Stanislav Tarassov, specialista del Medio oriente. Il conflitto tra kemalisti e islamisti ha toccato una soglia critica quando, dopo essersi attivamente implicata nella Primavera araba, la Turchia si è trovata sul punto di intervenire militarmente in Siria. Cosa che ha indignato la società, e al momento il 50% dei Turchi dichiara di non essere d’accordo con la politica estera del governo Erdogan, ha dichiarato Stanislav Tarasov a The Voice of Russia.

“Diverse forze politiche reclamano le dimissioni di Erdogan, e io penso che un rimpasto sia possibile. Oggi il presidente Gul è l’uomo politico più popolare del paese, e al secondo posto c’è il leader dell’opposizione Kemal Kiliçdaroglu del Partito repubblicano del popolo (CHP). Il destino di questo partito sembra giocarsi attorno a queste due cifre”.

Ciò che sta accadendo nella strade e piazze della Turchia è un test per lo Stato, secondo Stanislav Tarasov. Si tratta di un conflitto puramente ideologico: mantenere il paese laico o islamizzarlo. E questo conflitto crea un vuoto che potrebbe essere colmato da una terza forza. In teoria la situazione potrebbe sempre essere rovesciata dai militari, che già hanno realizzato più di un colpo di Stato in Turchia.

D’altra parte la Turchia, che gravita attorno a dei valori europei e che vuole entrare nell’Unione Europea, è caduta nella stessa trappola dei paesi nei quali vi sono state le cosiddette “rivoluzioni colorate”, ha spiegato l’esperto Alexei Martinov a The Voice of Russia:

“Da una parte, la situazione comincia con la protesta inoffensiva di persone che manifestano contro qualche cosa, poi come una valanga il movimento cresce, e a un certo momento il governo deve fare una scelta tra repressione severa e tolleranza di tipo europeo. E’ ciò che possiamo oggi osservare in Turchia, il governo ha sbagliato il momento in cui bisognava agire con durezza. Secondo me, non è più possibile reprimere il movimento, e questi avvenimenti non si risolveranno senza conseguenze”.

Molti esperti non escludono che un medesimo scenario possa prodursi in Azerbaijan. L’ondata di modernizzazione, secondo l’espressione di Alexei Martinov, le rivoluzioni colorate, definite nel Sud “primavere arabe”, sembrano sempre più avvicinarsi alle frontiere russe.