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“Primavera turca” : il ritorno di Moustafà Kemal
Innanç Kutlu (*)

“Abbiamo cominciato perché volevamo salvare il parco, ci sono già centri commerciali dappertutto, non ne vogliamo più ma il governo non fa altro che distrugge gli spazi verdi, i monumenti, i posti importanti che hanno una storia. Ma adesso il movimento protesta anche contro la gestione dittatoriale del paese, è da un sacco di tempo che la gente non ne può più (…) Erdogan pensa che la democrazia consista solo nell’andare a votare e reprime il diritto di esprimersi al di là del voto. Una democrazia è vera quando si può dire quello che si pensa, e in Turchia oggi la gente va in galera per questo. Erdogan si presenta come fosse il padre di tutti noi, lui pensa per noi, al posto nostro, ma dimentica che una metà del paese non lo ha votato”
    
- Ece, studentessa in Scienza Politiche, in Libération (Parigi, questo 3 giugno)

“Bisogna dimostrare a Erdogan che non può fare tutto quello che vuole. Da quando è al potere, censura la stampa, riduce le libertà delle persone. Anche se si vota, io non ho la sensazione di vivere in una reale democrazia”
     - Mehmet, un cittadino turco, in Libération


“La povera gente… guarda la televisione e alla televisione non si parla di quello che succede qui, si parla solo dei successi del governo. Erdogan vuole un paese dove le persone non pensino e noi ci battiamo contro questo”

     - Atakan, un altro cittadino turco, in Libération

“Erdogan non deve dimenticare che non tutti la pensano come lui. Lui vuole che si viva in un paese islamista, con le sue leggi contro l’alcol, contro i diritti delle donne”
     - Erman, 28 anni

Lo spettro del Kemalismo si aggira sulle terre di Anatolia
Quasi un secolo dopo la Guerra di Liberazione guidata dal generale Moustafà Kemal, nel 2003 vi è stato in Turchia il colpo di Stato strisciante degli islamisti.
Il “Partito dello Sviluppo e della Giustizia”, lo AKP del primo ministro Recep Tayyip Erdogan, è un partito politico che ha fatto la scommessa di unificare tutte le confraternite religiose oscurantiste e settarie contro l’avanguardia repubblicana e laica.


La setta islamista Fetullah Gulen ha fornito il più importante contributo alla presa del potere, mobilitando le sue reti infiltrate soprattutto nella polizia turca. Il Partito ha avviato, fin dal suo arrivo al potere, l’Operazione Ergenekon, che consiste nel mettere i kemalisti in condizione di non nuocere ai progetti di islamizzazione progressiva della società turca.

L’esercito turco, scelto dal fondatore della Repubblica, Moustafà Kemal quale garante della laicità, è stato completamente smantellato attraverso processi truccati, detti “Processi Ergenekon”.
Le personalità kemaliste sono regolarmente vittime di complotti fomentati dai servizi segreti turchi – il MIT – al servizio del potere islamista.


Ma il popolo turco non si fa ingannare…

La società turca è stata la prima a denunciare fin dal 2003 il “Progetto di Grande Medio oriente” (BOP), predicato continuamente da Erdogan in Parlamento e nei media.

La Turchia è stato il primo paese della road map del Pentagono a dovere essere rovesciato e governato da un potere islamista. Poi è stato il turno dell’Iraq.

E fin qui tutto è andato bene per gli scenografi della geopolitica del caos.

I governi tunisino, egiziano e libico sono caduti uno dopo l’altro. La seconda tappa del progetto statunitense è conosciuta col nome di “primavera araba”.


E’ stato alle porte di Damasco che il Progetto del Grande Medio Oriente ha fallito.

Ed è in Turchia che dovrà cominciare a fare marcia indietro.


“Erdogan, dimissioni!”

“La Turchia è laica e lo resterà!”

“Siamo tutti Moustafà Kemal”


Gli slogan echeggiano in tutte le città turche. Istanbul, Ankara, Smirne, Mersin sono scosse dai piedi di milioni di manifestanti che invitano a prendere il potere con la forza, nei social network e nelle piazze. Tutti i media nazionali censurano gli avvenimenti per timore di rappresaglie. Alcune località sono state addirittura private della corrente elettrica.


La gigantesca mobilitazione esprime un profondo rifiuto dell’ideologia islamo-liberale dell’AKP

“Dall’estrema sinistra alla destra nazionalista, è tutto l’arco politico turco che si è unito” – La Nouvelle Répubblique.


“Il taglio di diversi alberi nel parco Gezi, posto nell’omonima piazza, ha provocato in un primo tempo, lunedì, una reazione di rabbia degli abitanti”, dicono tutti i media occidentali. Ecco a cosa gli avvenimenti attuali sono stati ridotti dagli pseudo giornalisti dell’AFP (Agenzia France Presse).

In realtà l’AKP non è mai stato accettato dalla società turca. Senza il sostegno della logistica USA nella presa e nel mantenimento del potere, gli islamisti non avrebbero resistito nemmeno 24 ore sotto la pressione dei laici.


Oggi il progetto di urbanizzazione della città di Istanbul è solo “la goccia che ha fatto traboccare il vaso”.
L’attuale gigantesca mobilitazione in Turchia esprime un rifiuto profondo dell’ideologia dell’AKP islamista di Erdogan. Quella che alcuni stupidi analisti vicini alla linea del Pentagono definiscono un “esempio per tutto il Medio Oriente” e che è costretta a prendere atto del suo fallimento.


“Islamo-conservatrice” o moderata, dicono di essa. In realtà si tratta di islamo-liberalismo. L’islamismo per la regressione e il caos interno, il liberalismo per il saccheggio delle ricchezze da parte del capitale internazionale.

Vi è dunque un fallimento dell’islamismo in Turchia, ma anche del liberalismo estremista.


In Siria, l’alleanza statunitense-islamista ha sbattuto contro la fortezza baathista.

In Turchia scaveremo le loro tombe




(*) Segretario generale aggiunto del PCN