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TelQuel n. 434

Tunisia. Fai il giornalista e taci
di Clementine Hillairet

Un reportage su alcune manifestazioni popolari ha portato il giornalista Fahem Boukadous in prigione. Un caso purtroppo non isolato in un paese dove i media pubblici e privati sono controllati dallo Stato

"Va in prigione come si va alla guerra", ha scritto Taoufik Ben Brik a proposito di Fahem Boukadous. Senza conoscersi personalmente, entrambi hanno molte cose in comune. Sono stati tutti e due arrestati dalle Autorità tunisine e imprigionati. Il loro unico torto: essere giornalisti.
Il primo, Taoufik Ben Brik, è uscito di galera in aprile, dopo avere scontato una pena di sei mesi di prigione per "percosse e lesioni volontarie, danneggiamento di beni altrui e attentato al buon costume". All'origine di questa storia, la denuncia di una donna che l'accusava di aver speronato la sua auto e poi di averla picchiata e insultata. Una vicenda che puzza di macchinazione ordita per intimidire il giornalista che aveva avuto la cattiva sorte di pubblicare nei media francesi degli scritti satirici contro il presidente tunisino. Quanto a Fahem Bouhadous, è stato arrestato l'8 luglio scorso e condannato a quattro anni di prigione per aver "diffuso informazioni e dato luogo ad una cospirazione criminosa atta a danneggiare persone e beni". Secondo il suo avvocato Radia Nasraoui, la sentenza del 6 luglio scorso è illegale. Un processo unilaterale e sommario, senza imputato e senza arringa difensiva. Infatti Fahem Boukadous si trovava ricoverato in ospedale a Sousse, per delle gravi crisi di asma. "Portarmi in prigione significherebbe farmi morire", ha dichiarato il giornalista che soffre di insufficienza respiratoria da una ventina di anni e il cui stato di salute rischia di deteriorarsi se non riceve cure adeguate.


Non si scherza col Potere
La storia risale al 2008. All'epoca Fahem Boukadous, giornalista indipendente, filmò per il canale satellitare Al-Hiwar Ettounsi le manifestazioni popolari nella regione di Gafsa, una terra segnata da una elevata disoccupazione. La Compagnie des phosphates de Gafsa (CPG) pubblicò i risultati di un concorso per alcune assunzioni. La popolazione, ritenendo che fossero fraudolenti, si ribellò contro la mancanza di lavoro e la corruzione. Insomma, contro lo Stato tunisino. La repressione fu sanguinosa, tre giovani manifestanti furono uccisi.
Fahem Boukadous è stato l'unico giornalista a coprire i fatti. I suoi reportage furono diffusi all'estero e sui siti Youtube e Dailymotion, mentre erano censurati in Tunisia.
Secondo le autorità tunisine, Fahem Boukadous non sarebbe un giornalista, ma farebbe parte di un'associazione criminale e avrebbe concorso nel danneggiamento di edifici pubblici e privati" e provocato "ferite gravi a dei poliziotti". Alla fine dell'anno, venne celebrato "il processo dei 38" manifestanti. Di essi, 33 sono stati condannati per "associazione criminosa finalizzata a commettere attentati contro persone e beni, ribellione armata commessa da più di dieci persone". Boukadous venne condannato in prima istanza a sei anni di prigione. Dopo numerosi appelli e rinvi, si è visto ridurre adesso la pena a quattro anni di prigione ferma.

Processi in serie
Il caso di Fahem Boukadous non è purtroppo isolato. Il 4 agosto prossimo sarà il turno di essere giudicato del giornalista Mouldi Zouabi, reporter di Radio Kalima. Nonostante fosse stato lui a denunciare un esponente dei servizi di sicurezza per aggressione, alla fine è stato lui ad essere accusato di "violenze aggravate e diffamazione".
Recentemente, il 1 luglio scorso, è anche capitato che una giornalista tunisina fosse aggredita nella città francese di Nantes da poliziotti tunisini in abiti civili. Al suo ritorno in Tunisia, ha subito una "perquisizione corporale umiliante". Infine il giornalista Zouhair Makhlouf è stato condannato il 1 dicembre 2009 a tre mesi di prigione e 6200 dinar (circa 3000 euro) di risarcimento danni, per diffamazione. Una punizione pesante per avere realizzato un reportage sulle condizioni di lavoro nella zona industriale di Nabeul.
Anche le ONG protestano contro questo regime liberticida, prima tra tutte Amnesty International che ha appena pubblicato un rapporto al vetriolo. Intitolato "Voci indipendenti ridotte al silenzio", denuncia la pericolosità del paese per i difensori dei diritti umani.

 

 




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