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ProfileIran, 6 gennaio 2020 - Come la falsa boccetta di antrace, mostrata nel 2003 all'ONU da Colin Powel (nella fofo) per giustificare l'invasione dell'Iraq, anche la pretesa di Trump e Pompeo che il generale Soleimani stesse pianificando "attacchi imminenti" contro gli USA è una bugia. Soleimani era in realtà impegnato in una missione di pace...    

 

The GrayZone, 6 gennaio 2020 (trad.ossin)
 
Le bugie di Trump e Pompeo sull'omicidio di Soleimani
Max Blumenthal
 
L'amministrazione Trump ha affermato di avere ammazzato il generale iraniano Qasem Soleimani perché stava pianificando "attacchi imminenti" contro gli interessi statunitensi. Il Primo Ministro iracheno ha rivelato che, invece, il generale Soleimani era impegnato in una missione di pace. E che Trump lo sapeva
 
Il segretario di Stato Colin Powell mente al Consiglio di Sicurezza, nel 2003. Brandisce quel che presenta come fiala di antrace in grado di uccidere l’intera popolazione di New York e accusa l’Iraq di aver preparato la terribile arma per attaccare gli Stati Uniti. Washington non si è mai scusata per la pagliacciata.
 
Non potendo altrimenti giustificare l'assassinio del maggiore generale iraniano Qasem Soleimani, il segretario di Stato Mike Pompeo ha insistito sul fatto che Washington riteneva, "sulla base di informazioni di intelligence", che Soleimani stesse "pianificando attivamente nella regione" attacchi contro gli interessi statunitensi.
 
Il presidente Donald Trump ha giustificato la sua fatidica decisione di uccidere il generale iraniano con parole ancora più esplicite, dichiarando che Soleimani stava pianificando "attacchi imminenti" contro le strutture diplomatiche e il personale degli Stati Uniti in tutto il Medio Oriente.
 
"La scorsa notte abbiamo adottato misure per fermare una guerra", ha affermato Trump. "Non abbiamo adottato misure per iniziare una guerra".
 
La dubbia giustificazione di Trump per un omicidio indiscutibilmente criminale è stata ampiamente ripetuta dalle reti dei media mainstream, spesso senza sollevare alcun dubbio o porre alcuna domanda.
 
Durante un briefing al Dipartimento di Stato il 3 gennaio, quando i giornalisti hanno avuto finalmente la possibilità di chiedere quali fossero le prove di tale minaccia "imminente", un funzionario statunitense è sbottato rabbiosamente: "Gesù, dobbiamo spiegare perché facciamo queste cose?" Ha abbaiato alla stampa.
 
Due giorni dopo, quando il primo ministro iracheno Adil Abdul-Mahdi ha parlato al Parlamento del suo paese, la giustificazione di Trump per l'uccisione di Soleimani si è rivelata essere una cinica menzogna.
 
Abdul-Mahdi ha detto che avrebbe dovuto incontrare Soleimani la mattina stessa in cui il generale è stato ucciso, per discutere del riavvicinamento diplomatico che l'Iraq stava mediando tra l'Iran e l'Arabia Saudita.
 
Abdul-Mahdi ha detto che Trump lo aveva personalmente ringraziato per il suo tentativo, nel momento stesso in cui già stava pianificando l’assassinio di Soleimani, creando così l'impressione che il generale iraniano potesse recarsi in tutta sicurezza a Baghdad.
 
 
Soleimani era giunto a Baghdad, non per pianificare attacchi contro obiettivi statunitensi, ma per coordinare una de-escalation con l'Arabia Saudita. In effetti, è stato ucciso durante una vera missione di pace che avrebbe potuto creare una distanza politica tra la monarchia del Golfo e i paesi dell'asse anti-iraniano a guida statunitense, come Israele.
 
I risultati catastrofici dell'uccisione di Soleimani ricordano l'assassinio, nel 2016, da parte dell'amministrazione Obama, del Mullah Akhtar Muhammad Mansur, un leader talebano impaziente di negoziare una fine pacifica dell'occupazione statunitense dell’Afghanistan. La morte di Mansur ha finito col potenziare il ruolo di  altri esponenti talebani più estremisti, e dunque ha favorito la sconfitta militare degli Stati Uniti e ha scatenato una escalation di violenze in tutto il paese, bruciando ogni speranza di una soluzione negoziata.
 
Dopo l'assassinio di Soleimani, il Parlamento iracheno ha votato per espellere tutte le truppe statunitensi dal paese, e il grande ayatollah iraniano Ali Khamenei ha giurato una "severa vendetta" contro i "criminali che si sono macchiati le mani col sangue di [Soleimani] e degli altri martiri".
 
Trump, da parte sua, ha twittato una litania di minacce da gangster, promettendo di distruggere i siti culturali iraniani se l’Iran si vendicherà, e impegnandosi a imporre sanzioni all'Iraq "mai viste prima", se le truppe statunitensi verranno cacciate.
 
 
L’assassinio a tradimento commesso da Trump ha avvicinato più che mai gli Stati Uniti alla guerra più, e contro un paese più potente militarmente di qualsiasi altro gli USA abbiano affrontato dalla guerra di Corea. E, come con la fallita invasione dell'Iraq, il casus belli di Washington per innescare questo conflitto si fonda su false informazioni di intelligence vendute agli Statunitensi da funzionari dell'amministrazione, e sulla grancassa mediatica garantita dai media mainstream.
 
Con la sua pretesa di "attacchi imminenti", l'amministrazione Trump ha sostanzialmente ricicciato l'avvertimento di Condoleeza Rice del 2003, quando disse: "noi non vogliamo che la pistola fumante sia una nube di funghi atomici". Allora, gli Stati Uniti attaccarono uno Stato sovrano per distruggere armi di distruzione di massa che non esistevano. Questa volta, hanno ucciso il secondo più importante dirigente iraniano per evitare eccidi che non erano in arrivo. E i funzionari dell'amministrazione Trump sapevano che stavano mentendo.
 
Infatti, Pompeo propose a Trump l'assassinio di Soleimani diversi mesi fa, molto prima che qualsiasi attacco fosse "imminente". E, dopo l'uccisione del generale, un funzionario statunitense ha rivelato al New York Times che la NSA aveva intercettato "comunicazioni" tra il leader supremo dell'Iran, l'Ayatollah Ali Khamenei, e il generale Suleimani, dimostrative del fatto che l'ayatollah non aveva ancora approvato alcun piano di attacco ipotizzato dal generale. "
 
Ma la dimostrazione incontrovertibile che la scusa adottata da Trump per l'omicidio di Soleimani è una colossale bugia non ha suscitato lo stesso livello di interesse mediatico della menzogna stessa.
 
Il 3 gennaio, la CNN aveva incaricato tre reporter di divulgare la disinformazione fornita dall'amministrazione Trump su Soleimani, sostenendo senza alcun accenno di valutazione critica che il generale "stava pianificando attacchi specifici contro interessi statunitensi, e anche contro cittadini statunitensi".
 
Quando la storia vera è uscita fuori, il capo-reporter della CNN, Jim Sciutto, ha contattato un'altra fonte ufficiale degli Stati Uniti per "confermare" quella propaganda di guerra ormai screditata. Secondo Sciutto, se più di un funzionario americano dice una cosa, deve essere vera.
 
 
Sciutto non è un cronista qualunque. Durante la presidenza di Obama, accettò l’incarico di capo di gabinetto dell'ambasciata degli Stati Uniti a Pechino, ponendosi al centro della nuova Guerra Fredda tra Washington e la Cina. Rientrato adesso dietro gli schermi della CNN, Sciutto si presenta come un feroce critico di Trump, pur fornendo servizi stenografici affidabili al Pentagono e al Dipartimento di Stato.
 
Nessun presidente della storia recente è stato disprezzato più visceralmente di Trump dall’insieme della stampa mainstream. Quasi tutto quel che dice viene accolto con sospetto e disprezzo, anche quando dice la verità.
 
Ma quando Trump e la sua amministrazione tentano di mentire al pubblico su una guerra contro un malfattore designato, un settore dei media mainstream risponde con istintiva fiducia, per poi cavarsela con un’alzata di spalle quando si dimostra che si trattava di bugie.
 
 
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