Stampa

 

ProfileLe schede di Ossin, 28 ottobre 2019 - L'auto-glorificazione è stata a lungo una caratteristica dell'etnocentrismo ebraico e ha spesso contribuito al sentimento antiebraico delle popolazioni ospitanti. Essa è però quasi del tutto trascurata dagli studi esistenti sull'antisemitismo...   

 

Unz Review, 16 ottobre 2019 (trad.ossin)
 
L’auto-glorificazione ebraica e l’antisemitismo
Andrew Joyce
 
 
Quale auto-glorificazione vuota e offensiva! Qui si vuole 'provare' che  la nazione di Kant è stata davvero educata al senso di umanità solo dagli ebrei, che il linguaggio di Lessing e Goethe è diventato sensibile alla bellezza, allo spirito e all'arguzia solo attraverso Boerne e Heine! 
Heinrich von Treitschke, Una parola a proposito dei nostri ebrei, 1879.
 
Come testimonia la citazione dello storico e politico tedesco del XIX secolo Heinrich von Treitschke, l'auto-glorificazione è stata a lungo una caratteristica dell'etnocentrismo ebraico e ha spesso contribuito al sentimento antiebraico delle popolazioni ospitanti. Essa è però quasi del tutto trascurata dagli studi esistenti sull'antisemitismo. In primo luogo, questa assenza può essere spiegata in virtù del fatto che l'antisemitismo viene tradizionalmente considerato qualcosa cui gli ebrei sono sottoposti da parte di popolazioni ospitanti che sono loro ostili per ragioni esclusivamente irrazionali, piuttosto che qualcosa che anche gli ebrei contribuiscono a causare o provocare. Il comportamento ebraico, in particolare certi tratti negativi o antagonisti nei confronti delle popolazioni ospitanti, è quindi notevolmente trascurato dalla storiografia ebraica e dagli studi di scienze sociali riguardanti gli ebrei. Una spiegazione secondaria di questa sottovalutazione dell'auto-glorificazione ebraica nello sviluppo dell'antisemitismo, o anche solo quale aspetto dell'identità o personalità ebraica, è la scarsità di studi seri sull'etnocentrismo ebraico. Il presente saggio tenta di colmare questa lacuna, esplorando aspetti ed esempi di auto-glorificazione ebraica, e avanza l'ipotesi che l'auto-glorificazione ebraica debba essere considerata come un esempio di etnocentrismo, sia in termini positivi che negativi, in quanto rafforza la lealtà e l’autostima all'interno del gruppo ma allo stesso tempo riduce la lealtà e la stima verso gli altri gruppi non ebrei.
 
C’è una storiella ebraica che racconta pressappoco questo: a una classe di scolari viene chiesto di scrivere un tema sulle giraffe; il piccolo di Tom Smith scrive un pezzo sul collo; il piccolo John Baker scrive del suo regime alimentare; altri trattano della coda, dell'ambiente e così via. Quindi il piccolo Benny Cohen consegna il suo tema dal titolo "La giraffa e gli ebrei".
 
La battuta, poco nota ai non ebrei, trasmette un importante truismo: che, per gli ebrei, tutto, non importa quanto distante o astratto, riporta sempre all'idea e al sentimento di essere ebrei. In altre parole, è una barzelletta sull'etnocentrismo ebraico. Il fatto che i non ebrei non la conoscano dimostra che l'etnocentrismo ebraico è qualcosa che viene spesso discusso e celebrato dagli ebrei, ma anche qualcosa che viene spesso minimizzato, oscurato o addirittura negato quando se ne occupino i non ebrei. Da questo punto di vista, non dovrebbe sorprendere il fatto che ci sia pochissima letteratura accademica oggettiva che si occupi esplicitamente del modo in cui gli ebrei si vedono e si considerano, e del modo come considerano se stessi in quanto ebrei. Più in generale, si è notato che gli ebrei sono contrari a essere oggetto di studi specifici, e sono notoriamente sospettosi verso i censimenti, ragione per cui è così difficile stabilirne il numero in quasi tutti i paesi della diaspora  [1] Questa avversione ai censimenti è stata spiegata come una reliquia culturale delle passate risposte reattive alla persecuzione, anche se si potrebbe dimostrare che essa si è sviluppata nel tempo per ragioni più proattive, intenzionali e strategiche, come evitare il servizio militare nell'impero russo e aggirare le restrizioni quantitative di popolazione nelle carte di residenza ebraiche emesse agli esordi dell’Europa moderna. [2]
 
Etnocentrismo ebraico
 
Oltre all'ostilità verso i censimenti, si nota un'aria generale di ostilità verso altre forme di raccolta di dati sugli ebrei e sul loro comportamento. È particolarmente interessante il fatto che, mentre gli studi sull'etnocentrismo ebraico condotti negli ultimi cinquant'anni sono rari, gli studi oggettivi sugli ebrei sono stati spesso considerati controversi o addirittura additati come esempio di pregiudizi. Il caso per eccellenza in questo senso è ovviamente quello di Kevin MacDonald, ma come ha dimostrato Sander Gilman in Smart Jewish: The Construction of the Image of Jewish Superior Intelligence (1996), ci sono state anche risposte molto negative al saggio Jewish intelligence and behaviors di Gregory Cochran, Jason Hardy, Henry Harpending, Charles Murrary e Richard Lynn. Si potrebbe ipotizzare che gli ebrei siano contrari agli studi oggettivi sulle loro attitudini e comportamenti, perché sono consapevoli che almeno alcune di queste scoperte potrebbero riflettersi negativamente sul loro gruppo e fornire qualche motivo per rivedere la concezione prevalente dell'antisemitismo e della politica ebraica contemporanea. Si potrebbe affermare che gli ebrei sono contrari agli studi sull'etnocentrismo ebraico perché sono probabilmente consapevoli che tali studi li rivelerebbero altamente etnocentrici, un fatto che potrebbe rivelarsi estremamente problematico se divenisse una conoscenza culturale diffusa tra la popolazione ospitante.
 
Il piccolo numero di studi che ha esaminato in modo esplicito e diretto l'etnocentrismo ebraico ha concluso all'unanimità che gli ebrei sono un gruppo altamente etnocentrico, sia in termini positivi (autostima intrinseca) che negativi (ostilità verso i gruppi esterni). I bambini ebrei si identificano come ebrei già all'età di cinque anni. [3] Lo studio di Smooha del 1987 sull'etnocentrismo ebraico in Israele, pubblicato sulla rivista Routledge Ethnic and Racial Studies, ha rivelato la presenza di "un elemento di superiorità eccessivo o ingiustificato" e "un'aspettativa ingiustificata di un trattamento preferenziale per gli ebrei". Smooha conclude che “secondo certi indicatori, praticamente tutti gli ebrei israeliani sono razzisti”. Si è scoperto che mentre l'etnocentrismo arabo in Israele è "principalmente reattivo e trasformabile","l'etnocentrismo ebraico sembra essere insieme congenito e irrimediabile". [4] In uno studio più recente (2003), Brown e al. hanno esaminato le preferenze sentimentali tra studenti universitari bianchi ebrei e non ebrei statunitensi e hanno scoperto che gli ebrei hanno una preferenza "significativamente maggiore" per il proprio gruppo e che più l’intervistato si identificava come ebreo, più forte era la preferenza sentimentale per un partner ebreo. [5]  Questi intervistati valutavano in modo più favorevole il popolo ebraico nel suo insieme "in ogni campo". In breve, l'identità ebraica è fortemente legata all'etnocentrismo positivo e all'endogamia (sposarsi all'interno del proprio gruppo).
 
Un aspetto particolarmente interessante dello studio di Brown e al. è la risposta al crescente tasso di matrimoni misti tra ebrei statunitensi. I matrimoni misti vengono addotti come prova dell’inesistenza dell’etnocentrismo ebraico da alcuni studiosi, in particolare e recentemente da Nathan Cofnas. [6] Tuttavia, come Brown e al. notano, dopo più di un secolo di intensa assimilazione e accettazione da parte della popolazione ospitante, e considerando che gli ebrei sono solo circa il 3%, "un tasso di endogamia [tra gli ebrei] del 50% è sorprendentemente alto". Aggiungono che i matrimoni misti sono più frequenti in quelle aree in cui la disponibilità di partner interni al gruppo è molto bassa e sottolineano che il loro studio sugli studenti universitari indica che le preferenze etnocentriche rimangono molto forti tra gli ebrei, anche i più giovani. Cofnas ha anche ipotizzato che i matrimoni misti e la conseguente diluizione genica debbano essere considerati prove contro la teoria di Kevin MacDonald, secondo cui gli ebrei hanno cercato di conservare integri i caratteri distintivi del patrimonio genetico degli ebrei che vivono negli Stati Uniti. Qui vale la pena di menzionare lo studioso giudaico Simon Rawidowicz, che ha coniato il termine "popolo sempre sul punto di morire" per descrivere gli ebrei. In ogni generazione, ha osservato, insorgono preoccupazioni (reali o immaginarie) sulla sopravvivenza ebraica. Tuttavia, è stata proprio questa preoccupazione per la sopravvivenza a garantire che la comunità potesse continuare a vivere e prosperare. In parole povere gli ebrei, mentre conservano tassi di endogamia "sorprendentemente elevati", sono esposti ai danni collaterali di bassi livelli di matrimoni misti e, per alcuni aspetti, il panico che questo provoca può anche essere utile nel facilitare la conservazione del patrimonio genetico ebraico nel nucleo fortemente identificato e altamente etnocentrico della popolazione. 
 
Auto-glorificazione ebraica
 
Come popolazione altamente etnocentrica, ci si aspetterebbe che gli ebrei mostrino alti livelli di autostima a livello di gruppo. L'autostima individuale è stata collegata sia al senso dell'identità etnica, sia all'autostima etnica [7]. Benché analisi specifiche sull'estensione e la natura dell'autostima ebraica siano quasi inesistenti, uno studio sugli adolescenti ebrei ha indicato una forte correlazione tra sentirsi ebrei e sentirsi bene con se stessi e il proprio gruppo. [8] In effetti, uno studio del 1968 ha scoperto che gli individui ebrei con scarsa autostima personale potevano accrescere la loro autostima generale adottando un'identità di gruppo più forte e, in un certo senso, attingendo all'autostima di essere semplicemente ebrei. [9] Allo stesso modo, uno studio del 1981 ha scoperto che gli ebrei, come gruppo, avevano una maggiore autostima sia dei protestanti che dei cattolici, all'incirca uguali nell'autostima. [10] Un indicatore più aneddotico dell'autostima ebraica a livello di gruppo è la fortissima reazione di gruppo nei confronti di quegli ebrei che sono anche solo un po’critici nei confronti dell'identità ebraica e dell’ "essere ebrei", non necessariamente nell’eccesso evidente dell’ "ebreo che odia se stesso". Accusa che viene spesso fatta contro i transfughi ebrei da questa autostima. È particolarmente interessante che gli studiosi che contestano gli studi sull'etnocentrismo ebraico siano anche in prima linea nel denunciare questo "odio di sé", e Sander Gilman eccelle anche in questo col suo lavoro Jewish Self-Hatred (1986). Questo controllo delle prospettive positive degli ebrei all'interno e all’esterno del gruppo è un eccellente esempio della duplice funzione dell’ auto-glorificazione ebraica, che è probabilmente l'aspetto più stravagante e controverso dell'etnocentrismo positivo ebraico e dell'alta autostima ebraica.
 
L'auto-glorificazione è comunemente definita come l'esaltazione di se stessi e delle proprie capacità, ma comporta anche un sentimento di superiorità eccessivo o ingiustificato. A livello individuale, generalmente tali alti livelli di auto-glorificazione spesso sono correlati a fenomeni di psicopatia. [11] Qualche raro studio di settore ha rivelato che i gruppi che manifestano sentimenti di esagerato egoismo e superiorità sono più esposti a propensioni di dominio sugli altri gruppi. [12] È interessante sotto questo aspetto la citazione che Patai (1996) fa di Menahem Nahum, un rabbino del diciottesimo secolo: “Tutte le nazioni, ad eccezione di Israele, mancano di comprensione [intelligenza], e poiché mancano di comprensione nessun paese può rinunciare alla leadership ebraica". [13] Gli ebrei hanno manifestato, per molti secoli, sentimenti di superiorità eccessivi o ingiustificati, evidentemente tratti dai testi fondamentali della loro religione, che considerano gli ebrei come beniamini di un'unica divinità universale, destinati a dominare altri gruppi, e stabiliscono gerarchie morali che comportano il disprezzo verso gli altri gruppi. Anche nel Nuovo Testamento dei Cristiani, si trova l'affermazione che “La salvezza viene dagli ebrei (Giovanni 4:22), e si attribuisce a Gesù il paragone di un non ebreo a un cane (Matteo 15:26).
 
Più tardi, nelle loro interazioni con la cultura occidentale, gli ebrei sono spesso ricorsi all'esaltazione di se stessi e delle loro capacità reali o immaginarie. Patai sostiene che nel ventesimo secolo tali schiette confessioni di pensiero suprematista si erano evolute in una "spiegazione ambientale della superiorità ebraica", in concomitanza con un’attenuazione del carattere aggressivo di tale affermata superiorità ebraica, che ha cominciato ad essere frequentemente espressa nei termini di una diversità del bagaglio culturale degli ebrei rispetto alle popolazioni ospitanti. Ad esempio, Patai cita gli ebrei francesi del diciannovesimo secolo che rivendicavano la superiorità sui francesi perché non avevano il bagaglio religioso e culturale di un'educazione cattolica. Concetto che torna nelle parole di un giornalista del Times of Israel che, commentando le iniziative del politico ebreo Alan Shatter in materia di divorzio e contraccezione in Irlanda, ha sostenuto che l'ebraicità di Shatter "sembra dargli un vantaggio, nella misura in cui egli è libero dal bagaglio culturale che pesa sulle sue controparti cattoliche". Allo stesso modo, David Dresser e Lester Friedman, studiosi ebrei dei media, sostengono che i cineasti ebrei hanno un'obiettività unica e incontaminata a causa della loro ebraicità. Scrivono che "la marginalità degli artisti ebrei consente loro un punto di vista negato ad altri pensatori creativi, più culturalmente assorbiti". [14]
 
Le spiegazioni ambientali della superiorità ebraica, e quindi esempi di auto-glorificazione ebraica, sono certamente ben presenti anche nel mondo attuale. Il 5 ottobre, Norman Lebrecht, il commentatore ebreo britannico di musica e affari culturali, ha pubblicato un articolo su The Spectator intitolato “Do Jewish Think Differently? ” (Gli ebrei pensano in modo diverso?), nel quale sostiene che gli ebrei possiedono “un modo di pensare ancestrale comune” che ha permesso loro di “cambiare il mondo come lo conosciamo”. Insiste sul fatto che esiste “un modo di pensare che ha permesso agli ebrei di vedere il mondo da un angolo obliquo" e continua "Gli ebrei la pensano diversamente? Nel momento in cui pongo questa domanda, c’è una sola risposta. … Un ebreo dissidente, da qualche parte proprio in questo momento, sta per cambiare il modo in cui il mondo gira”. Lebrecht fa ampi riferimenti al libro da poco pubblicato: Genius & Anxiety: How Jews Changed the World, 1847–1947 (Simon & Schuster, 2019), nel quale indica 36 ebrei cui attribuisce la responsabilità (in senso positivo) della modernità. Lebrecht è un ebreo con un forte senso di identità, che ha chiaramente un alto livello di autostima a livello di gruppo. Ha anche una storia di produzione di testi che hanno avanzato l'auto-glorificazione ebraica. Ad esempio, in una recensione pubblicata nel 2011 dall'Occidental Observer (da Lebrecht’s Why Mahler? How One Man and Ten Symphonies Changed the World ), Brenton Sanderson sostiene che
 
La questione centrale è l’affermazione del genio torreggiante di   Mahler e di come questo genio sia indissolubilmente legato alla sua identità di ebreo. In primo piano, ancora, una visione lacrimosa di Mahler, la santa vittima ebrea dell'ingiustizia gentile. Il nuovo  libro di Lebrecht è un esempio di come gli intellettuali ebrei usa-no il loro status privilegiato di guardiani autoproclamati della   cultura occidentale per far avanzare i loro interessi di gruppo at- traverso il modo in cui concettualizzano le rispettive conquiste   artistiche di ebrei ed europei. ... Ciò conferma un riconoscimento dell'importanza dei modelli etnici nella promozione dell'orgoglio  etnico e della coesione di gruppo, e di come gli ebrei etnocentri- ci, come Lebrecht, abbiano utilizzato i primi per promuovere il se- condo. Questo tipo di elaborazione intellettuale ebraica ha il     chiaro obiettivo di influenzare «i processi di categorizzazione so-ciale in modo da recare vantaggio agli ebrei».
 
L'aspetto singolare dell'auto-glorificazione ebraica non sta solo nella produzione di libri come quello di Lebrecht, ma anche nella portata e nell'uniformità di tale produzione e nell’impatto culturale più ampio che ne consegue. Altri gruppi hanno talvolta prodotto testi auto-glorificanti, come How the Irish Saved Civilization (1995) di Thomas Cahill e How the Scots Invented the Modern World di Arthur Herman (2001), ma si tratta di casi rari e questi autori hanno anche scritto su altri argomenti e, inoltre, questi testi non si accompagnano verosimilmente a livelli particolarmente elevati di autostima etnica o a fattori associati di etnocentrismo dei rispettivi gruppi etnici. Al contrario, il libro di Lebrecht fa semplicemente parte di una produzione costante di testi in cui gli ebrei si celebrano, spesso con affermazioni estremamente tendenziose e autocompiacimenti stravaganti e fuori luogo. L'ultimo testo di Lebrecht, per esempio, è quasi una ristampa del libro di Jacques Picard: Makers of Jewish Modernity: Thinkers, Artists, Leaders, and the World They Made (Princeton, 1998) [I creatori della modernità ebraica: pensatori, artisti, leader e il mondo che hanno fatto], e questo a sua volta fa parte di una tradizione che include Heinrich Graetz -11 volume Geschichte der Juden (1853-1870), Cecil Roth: The Jewish Contribution to Civilization (1938), The Jewish Contribution to Modern Architecture (2004) di Fredric Bedoire, e Rebecca Goldstein:Betraying Spinoza:The Renegade Jewish Who Gave Us Modernity (2006) (vedi qui per un esame di come Spinoza sia stato una fonte speciale di auto-glorificazione ebraica).
 
Un problema fondamentale di molti di questi testi, e un fattore che contribuisce all'antisemitismo, è che molto spesso essi attribuiscono ad ebrei il merito esclusivo di risultati nei quali tuttavia il loro ruolo è controverso, minore o addirittura del tutto assente. La denuncia di Heinrich von Treitschke del 1879 all'inizio di questo saggio riguardava gli sforzi dello storico ebreo Heinrich Graetz per promuovere l'idea che gli ebrei vantassero crediti per il lavoro di Kant e la letteratura di Lessing e Goethe. È interessante notare che gli ebrei di oggi tentano di appropriarsi dell'opera di Goethe, soprattutto in due saggi: il “Goethe” in German-Jewish Culture di Klaus Berghahn (2001), e il “Goethe and Judaism” di Karin Schutjer (2015). Sono stati fatti anche tentativi, sulla base di prove evanescenti, di suggerire che Miguel de Cervantes, autore di Don Chisciotte (1605), fosse ebreo e, come ha notato Sanderson, si è detto talvolta che le opere di Shakespeare fossero in realtà state scritte da una donna ebrea di nome Amelia Bassano Lanier. Gli ebrei hanno anche tentato di dimostrare la "dipendenza di Platone nei confronti di Mosè" (vedi, per un esempio moderno, le religioni filosofiche di Carlos Fraenkel da Platone a Spinoza ).
 
Richard Popkin (1923–2005), un accademico ebreo nato a Manhattan che si occupa di storia della filosofia, era particolarmente rimarchevole nei suoi sforzi di auto-glorificazione ebraica. Mentre cercava di esaltare il profilo di Spinoza attraverso dubbie metodologie, Popkin impiegò metodi e argomenti altrettanto discutibili per enfatizzare il ruolo di un altro ebreo dell'era dell'Illuminismo, Isaac La Peyrere. Popkin ha scritto: "Ho cercato per oltre un decennio di renderlo una delle figure centrali del pensiero moderno, ma non sono ancora riuscito a salvarlo completamente dall'oscurità". [15] Anche se i successi di La Peyrere sono considerati marginali da quasi tutti gli accademici non ebrei del settore, Popkin era in prima linea nel tentativo fatto negli anni '70 per sostituire Thomas Hobbes con La Peyrere come il critico più influente e significativo dell'idea della paternità mosaica dell'Antico Testamento, un tentativo che alla fine fallì a causa di un risoluto consenso accademico sull'originalità archetipica della critica religiosa di Hobbes. Popkin in seguito rivolse la sua attenzione ai rapporti tra La Peyrere e Spinoza, anche se ammise che "non è stato trovato alcun documento attestante ciò" e, in relazione al presunto utilizzo da parte di Spinoza delle opere di La Peyrere, che la cosa "si può solo supporre". In altre occasioni, Popkin si dedicò egli stesso a "dimostrare" una '"eredità ebraica" di Isaac Newton, che desiderava presentare come "seguace di Maimonide".[16]
 
Il pensatore sionista Walter Goldstein scrisse, nel 1942, in relazione a figure come Goethe, Mozart, Bach, Schiller, Lessing e Kant, che il significato della diaspora era di "assorbire lo straniero e imparare da esso - ma imparare da esso per noi, per i nostri scopi ” [17]. Le tendenze attuali dell'accademia e della cultura ebraiche moderne suggeriscono che sta avvenendo un assorbimento piuttosto letterale, in base al quale quasi tutte le principali figure della cultura occidentale vengono reinterpretate dagli ebrei come influenzate da fonti ebraiche. Altre importanti figure ed eventi europei che sono stati sottoposti a interpretazioni revisioniste per l'auto-glorificazione ebraica includono John Milton (Jeffrey Shoulson 2012 Milton and the Rabbis: Hebraism, Hellenism, and Christianity), Leonardo Da Vinci (Leonardo Da Vinci’s Musical Gifts and Jewish Connections, 2010) e la rivoluzione scientifica (André Neher 1986 Jewish Thought and the Scientific Revolution of the Sixteenth Century). Si racconta che Dante Alighieri sia stato influenzato dalla Kabbalah (Dante, Eros e Kabbalah del 2003 di Mark Mirsky), mentre si dice che la rivoluzionaria ricerca di Louis Pasteur sull'immunizzazione sia basata sul Talmud. Altre figure che si sostiene siano state ebree, o che comunque siano state fortemente influenzate da ebrei e giudaismo, sono Pitagora (Louis Feldman 1996 Jewish and Gentile in the Ancient World), Cristoforo Colombo, Rembrandt (Steven Nadler 2003 Rembrandt's Jewish) e John Locke (Yechiel Leiter 2018 Filosofia politica di John Locke e Bibbia ebraica ).
 
Un altro aspetto dell'auto-glorificazione ebraica è implicito nelle affermazioni secondo cui alcuni profili della società moderna non esisterebbero senza ebrei, e persino che i gruppi non ebrei hanno bisogno degli ebrei per sopravvivere. Un buon esempio in tal senso è nella fascetta pubblicitaria dell'ultimo libro di Norman Lebrecht, Genius & Anxiety: come gli ebrei hanno cambiato il mondo, in cui si sostiene: “Senza Karl Landsteiner, ad esempio, non ci sarebbero trasfusioni di sangue o interventi chirurgici importanti. Senza Paul Ehrlich nessuna chemioterapia. Senza Siegfried Marcus nessuna automobile. Senza Rosalind Franklin la scienza genetica sarebbe molto diversa. Senza Fritz Haber non ci sarebbe abbastanza cibo per sostenere la vita sulla terra”. Queste affermazioni incredibilmente iperboliche sono manifestamente false da un punto di vista fattuale. Il caso di Siegfried Marcus merita un approfondimento. François de Rivaz fu il pioniere dell’automobile intorno al 1808 e il motore a benzina a combustione interna a quattro tempi, che costituisce ancora la forma più diffusa della moderna propulsione automobilistica, è stato brevettato da Nikolaus Otto negli anni 1860. Seppure qualcuno ha affermato che Siegfried Marcus avesse costruito un'automobile perfettamente funzionante nel 1870, si tratta di una tesi priva di riscontri. Al contrario, nel 1885, Karl Benz sviluppò un'automobile a benzina o a gasolio, ed essa è anche considerata il primo veicolo di "produzione" poiché Benz fece molte altre copie identiche. In entrambi i casi, è chiaro che Benz stava operando indipendentemente da qualsiasi cosa Marcus stesse costruendo, e che Marcus stesso dipendesse dalle innovazioni tecnologiche sviluppate dai non ebrei per perseguire il suo progetto. In breve, anche senza Siegfried Marcus, avremmo ugualmente l'automobile.
 
Lo stesso schema è rilevabile in tutti gli altri esempi riportati nella fascetta pubblicitaria del libro di Lebrecht, ed è paradossale che Lebrecht includa Landsteiner, uno che ha rinnegato le sue origini ebraiche. Landsteiner, convertito al cattolicesimo, nel 1937 intraprese un'azione legale contro un editore statunitense che lo aveva incluso nel libro Who's Who in American Jewryed ed era altamente ambivalente riguardo alle sue origini ebraiche. Si presume che, se fosse stato vivo oggi, avrebbe intrapreso un'azione legale anche contro Lebrecht. L'inclusione di Landsteiner nel libro di Lebrecht è, tuttavia, indicativa di un altro aspetto dell'auto-glorificazione ebraica: una tendenza a esagerare l'ebraicità del soggetto, in modo tale che i suoi successi "rivoluzionari" vengano ritenuti l'espressione naturale delle sue origini e identità ebraiche.
 
Lo stesso accade perfino in certi casi in cui è ampiamente dimostrato che il soggetto abbia preso le distanze dagli ebrei, addirittura coltivi sentimenti ostili nei loro confronti. Il miglior esempio è Spinoza, che fu esiliato dalla comunità ebraica di Amsterdam e scampò in seguito a un tentativo di omicidio organizzato dagli stessi ebrei. Spinoza scrisse anche in modo molto denigratorio dell'ebraismo e degli ebrei nel suo Tractatus Theologico-Politicus del 1670 in cui espresse le sue idee sull'ebraismo. Secondo Spinoza, l'ebraismo "prescrive l'odio verso il nemico" ed è "carnale e particolarista". [18] Spinoza sostenne che la Legge mosaica fosse "meramente nazionale" e che fosse "una legge particolaristica e tribale che non mirava ad altro se non alla felicità terrena o politica della nazione ebraica". Le affermazioni circa il carattere universalistico della religione ebraica furono considerate una sciocchezza da Spinoza, che vedeva nel Dio di Israele solo "un Dio tribale che non è il Dio di tutta l'umanità". Specificamente sugli ebrei, affermò anche che "è l'odio delle Nazioni che soprattutto li mantiene in vita come popolo". [19]  Tali affermazioni e contesti non hanno impedito che Spinoza venisse adottato da una straordinaria industria accademica ebraica come il genio ebraico per antonomasia che salvò i gruppi di studenti e inaugurò la modernità con la sua presunta brillantezza ebraica. [20]
 
Un ulteriore aspetto dell'auto-glorificazione ebraica è la promozione o l'esagerazione di figure ebraiche i cui risultati normalmente (senza l’impegno di auto-glorificazione ebraica) sarebbero considerati da moderati a mediocri. Il libro di Lebrecht è di nuovo un utile esempio perché cita figure come Franz Kafka e Marcel Proust che hanno cambiato il mondo. Sebbene tali autori abbiano scritto opere indiscutibilmente uniche e, se non altro, interessanti, il loro aver “cambiato il mondo” è iperbolico alla luce di qualsiasi criterio oggettivo. Le opere di entrambi gli autori, che affrontano lo stesso tema della nevrosi e della paranoia, non hanno avuto risonanza culturale di massa pari a quella di alcuni dei loro contemporanei letterari non ebrei (Joyce, Woolf, Beckett, Eliot e Yeats per citarne solo alcuni). E, in ogni caso, c’è da chiedersi per quale ragione i romanzieri (in particolare quelli logorroici di nicchia come il Proust della “Ricerca”) dovrebbero essere considerati quali fonti di cambiamento del mondo, specialmente in un secolo che ha visto molteplici guerre importanti, enormi innovazioni contro le malattie, e lo sviluppo della televisione e degli aerei. L'attenzione di Lebrecht sugli ebrei è invece altamente rivelatrice di un certo tipo di prospettiva ebraica prominente negli ebrei dal forte sentimento identitario che mostrano alti livelli di etnocentrismo e autostima etnica. Dal punto di vista di questi individui straordinariamente etnocentrici, solo gli ebrei contano, indipendentemente dal significato o dalla mancanza di significato del loro lavoro o delle loro conquiste. Forse l'esempio per eccellenza in questo senso è l'accoglienza da parte degli ebrei del pittore espressionista ebreo Mark Rothko. Sanderson ( 2011 ) commenta:
 
Per i critici come [Klaus] Ottmann, il genio di Rothko è indiscutibile ed egli possiede un "talento straordinario" che gli ha permesso di trasferire i suoi "impulsi metafisici sulla tela con un potere e un magnetismo che stordisce gli spettatori. ... In effetti l'abilità di Rothko nel raggiungere questo risultato - intenzionale o no - forse spiega perché un tempo si definiva "il rabbino malinconico". Per il famoso storico dell'arte ebraico Simon Schama, le "grandi tele verticali di Rothko di barre di colore contrastanti, pannelli di colore accatastati l'uno sopra l'altro" fanno di Rothko "un autore di dipinti potenti e complicati come quelli dei suoi ispiratori - Rembrandt e Turner". Per l'etnocentrico Schama" questi dipinti [di Rothko] sono paragonabili a quelli di questi vecchi maestri ... L’arte potrà mai essere più completa, più potente? Io non la penso così. "
 
Un capolavoro di Rothko
 
Analizzando questi aspetti dell'auto-glorificazione ebraica, non può escludersi che gli ambienti ebraici più etnocentrici abbiano effettivamente mantenuto la stessa prospettiva di Menahem Nahum, il rabbino del XVIII secolo che ha insistito sul fatto che tutte le nazioni, con l'eccezione degli ebrei, manca di "comprensione" e che nessun paese può rinunciare alla leadership ebraica. È probabile che il livello di autostima etnica in tali individui sia così alto che, in un certo senso, trovano semplicemente inconcepibile che i gruppi di lavoro possano avere successo, e tanto meno ottenere risultati migliori di quelli ebraici. Una prospettiva del genere contribuirebbe sicuramente a spiegare quel che sembra essere una ricerca ossessiva delle origini ebraiche, spesso immaginarie, dei principali personaggi occidentali e dei loro successi, e una ricerca altrettanto ossessiva di figure ebraiche che possano essere imposte con successo alla coscienza popolare degli altri gruppi e posizionati come parafulmini per la fierezza etnica giudaica.
 
Qualità adattive dell'auto-glorificazione ebraica contemporanea
 
Ci sono una serie di caratteristiche di auto-glorificazione ebraica che potrebbero essere considerate altamente adattive nell'ambiente sociale e culturale contemporaneo. Evidentemente, creando e sostenendo un ambiente in cui il gruppo all'interno è visto come straordinariamente dotato e incaricato di una missione storica mondiale, gli ebrei promuovono alti livelli di coesione etnica e scoraggiano la defezione. L'esempio più notevole di una simile dinamica si trova nel Medioevo quando alcuni ebrei optarono per il suicidio piuttosto che convertirsi al cristianesimo. Si potrebbe sostenere che, per coloro che scelsero il suicidio, era psicologicamente più facile morire come membro di un popolo eletto di talento piuttosto che passare a uno status che, in alcuni testi di teologia ebraica, viene considerato meno che umano.
 
L'autostima elevata è anche fortemente correlata al fattore generale di personalità (GFP), che a sua volta è associato ad alti livelli di successo ed efficacia sociale. [21] In sostanza, promuovendo alti livelli di autostima all'interno del gruppo, gli ebrei si rendono più efficaci come individui nell'acquisire e aiutare ad allargare le posizioni di influenza sociale, economica e politica per il loro gruppo. In breve, l'autostima produce attivisti migliori e più efficaci. Il livello generalmente più alto di autostima riscontrato tra gli ebrei, rispetto ai cattolici e ai protestanti [22], suggerirebbe effettivamente un elevato GFP e un'efficacia sociale in generale. Insomma un’alta stima di sé è molto produttiva.
Si potrebbe anche ragionevolmente ipotizzare che i sentimenti di grande autostima etnica incoraggino e giustifichino l'aggressività psicologica e varie forme di attivismo contro i membri di altri gruppi, considerati intellettualmente o moralmente inferiori nelle controversie interetniche, e che questa aggressività potrebbe estendersi ai tentativi di dominio culturale e politico. Un caso di studio interessante a questo proposito è la Nuova Sinistra ebraica degli anni '60 e il concetto di sé dei militanti, come impegnati in "azioni eroiche" contro le norme del gruppo esterno. Sia Abbie Hoffman che Jerry Rubin hanno letteralmente usato le allegorie dei supereroi per descrivere se stessi e le loro attività, con Rubin che si paragona a Lone Ranger e Hofmann che dice: “Sono solo un ragazzo che svolazza in giro con un mantello e ha una cotta per Lois Lane”. [23]  In questo caso, ebrei terribilmente narcisisti agiscono in modo aggressivo verso le culture degli altri, nella convinzione, almeno in parte, che l'eroica "assistenza" ebraica sia necessaria per il bene degli altri gruppi – considerati incapaci e nemmeno in grado di capire cos'è "buono". In tali casi si richiede agli ebrei un certo grado di malizia, e chi scrive ne ha trattato dettagliatamente in altra occasione.
 
Un'ulteriore qualità adattiva dell'auto-glorificazione ebraica contemporanea è che l’atmosfera culturale da essa prodotta riesca a convincere alcuni membri degli altri gruppi, e che questi ultimi l’accettino e si sottomettano volontariamente alla leadership ebraica. Ciò può avvenire a livello individuale, quando i Gentili sono così abituati a credere che gli ebrei abbiano un talento unico da essere più inclini a seguire determinate figure di "guru" ebraici, o può verificarsi in più ampi ambiti etnici, quando gli ebrei in generale sono considerati un popolo speciale da gruppi esterni.  Nel primo caso, non mancano certo esempi di ebrei di modesta rilevanza che ottengono seguaci e consensi molto diffusi da parte di membri del gruppo esterno, con tutte le allusioni al "genio ebraico" che ci si potrebbe aspettare in un simile scenario. In quest'ultimo caso, gli ebrei hanno a lungo goduto di uno status privilegiato di vittime e guru a sinistra (anche se questo è ormai calante), e ebrei e Israele continuano a essere molto considerati dai sionisti cristiani e da parte della destra europea, e sono infatti considerati da molti come "la mela dell'occhio di Dio". Esempi di europei etnici non religiosi che producono testi che glorificano gli ebrei sono Paul Johnson: A History of the Jews del 1987, e il panegirico del 1998 di Thomas Cahill, The Gifts of the Jews.
 
Un'altra qualità adattiva dell'autoglorificazione ebraica, correlata a quella di cui sopra, è che può agire per ridurre contemporaneamente l'orgoglio etnico tra i gruppi estranei ed elevare il prestigio ebraico. Se ebrei altamente etnocentrici possono diffondere con successo la falsa informazione che i successi del gruppo esterno sono in realtà risultati ebraici, allora ci sarà una chiara diminuzione del livello di autostima etnica nel gruppo esterno. Un effetto simile può essere ottenuto "inquinando" culturalmente il gruppo esterno con discussioni sul genio e l’eccezionalità ebraica, e questi possono essere ulteriormente aggravati combinando tali sforzi con lo "spamming" culturale che descrive gli ebrei come le vittime irreprensibili della violenza irrazionale perpetrata dallo stesso gruppo esterno. In questo caso, gli ebrei diventano eroi intellettuali e morali, aumentando l'autostima di gruppo, mentre il gruppo esterno resta paralizzato da un doppio sentimento di inferiorità e di colpa.
 
Al contrario, invece, gli ebrei hanno avuto un ruolo di primo piano nella promozione della colpa bianca, glorificando il proprio passato e contemporaneamente diffamando la gente e la cultura dell'Occidente. I messaggi dei media mainstream che promuovono il senso di colpa bianco sono onnipresenti e il coinvolgimento ebraico nei media e in progetti come " Whiteness Studies " è noto.
 
Qualità disadattive di auto-glorificazione ebraica
 
La più ovvia qualità disadattiva dell'auto-glorificazione ebraica è la sua capacità di provocare l'antisemitismo, come si vede nella citazione che apre questo saggio. È particolarmente interessante che l'affermarsi delle moderne forme di antisemitismo sia coinciso con il consolidarsi dei nazionalismi europei, che in un certo senso potevano essere considerati una forma di attività politica volta a rafforzare l'autostima etnica. I tentativi ebraici di affermare la loro superiorità culturale sui tedeschi altamente compiaciuti e orgogliosi della fine del XIX e dell'inizio del XX secolo sembrano essere stati una fonte particolarmente scivolosa di attrito etnico.
 
L'auto-glorificazione ebraica è anche qualcosa che deve essere espresso con prudenza, e persino ebrei altamente etnocentrici sembrano essere consapevoli dei limiti da non oltrepassare nelle manifestazioni del loro orgoglio etnico. Ad esempio, Cecil Roth nel suo The Jewish Contribution to Civilization ha scritto:
 
L'ebreo si distingue, forse, per un livello di intellettualizzazione forse leggermente superiore, eventualmente per un’apertura mentale, naturale in qualcuno che si tiene sempre all’esterno; e, di conseguenza, per una facoltà di sintesi e per la capacità di introdurre nuove idee. Possiede insomma alcune caratteristiche inevitabili nelle persone che appartengono, per precise circostanze storiche, ad un particolare gruppo sociologico. Dire di più è pericoloso. 
 
Il commento di Roth non è solo un eccellente esempio di spiegazione ambientale della superiorità ebraica, ma anche la sua cautela è estremamente degna di nota. L'auto-glorificazione ebraica può essere pericolosa perché il solo fatto di rivendicare crediti per una particolare invenzione / realizzazione è un potenziale punto di conflitto etnico. Inoltre, l'auto-glorificazione ebraica corre il rischio di presentare pubblicamente gli ebrei come gruppo, una posizione che è normalmente evitata e minimizzata dagli ebrei in quasi tutti gli altri scenari culturali. Gli ebrei devono anche prestare attenzione a che cosa specificamente rivendicano. Rivendicare Karl Marx, per esempio, nonostante il suo battesimo e alcune osservazioni antisemite, è uno sforzo non privo di rischi, e lo stesso si può dire per testi come Neal Gabler 1998 An Empire of Their Own: How the Jews Invented Hollywood. Le rivendicazioni ebraiche di paternità nella creazione della "modernità" e del "mondo moderno" presuppongono anche un livello di consenso culturale rispetto ad esse. Se tra gli europei si affermasse maggioritariamente un giudizio negativo sulla "modernità", testi come l'ultimo libro di Norman Lebrecht scomparirebbero silenziosamente.
 
Più catastroficamente, gli sforzi ebraici di auto-glorificazione possono anche rivelarsi per quello che davvero sono, finendo per fallire e nuocere piuttosto agli ebrei. Nei suoi scritti degli anni '70, l'esperto olandese di Spinoza, Hubertus G. Hubbeling, si mostrò consapevole della differenza fondamentale e di lunga data tra ebrei e non ebrei nelle interpretazioni dell'importanza di Spinoza. Hubbeling, con appena malcelata irritazione per il carattere specificamente ebraico del tentativo di esagerare il significato di Spinoza, scrisse verso la fine della sua Spinoza’s Methodology che:
 
Alcuni scrittori ebrei sottolineano con forza l'importanza del contributo di Spinoza allo sviluppo di idee democratiche. Joseph Dunner, per esempio, lo pone al di sopra di Locke sotto questo aspetto. L. Feuer fa di Spinoza il primo filosofo politico democratico: "La filosofia politica di Spinoza è la prima affermazione nella storia del punto di vista del liberalismo democratico" ... Secondo l'opinione di chi scrive, l'importanza di Spinoza qui è esagerata . [24] 
 
Se tutte le implicazioni e l'impatto dell'auto-glorificazione ebraica diventassero conoscenza comune, alimentando l'antisemitismo, avrebbero chiaramente un effetto deleterio sulla posizione ebraica nella cultura e nella società occidentale.
 
Conclusione
 
Sebbene l'auto-glorificazione ebraica sia quasi del tutto assente dagli studi esistenti sull'antisemitismo, essa ha svolto un ruolo importante nel generare attrito interetnico nel corso della storia. L'auto-glorificazione ebraica, che continua a prosperare sia in Israele che nella Diaspora, dovrebbe essere considerata un esempio estremo di etnocentrismo sia positivo che negativo -  essa rafforza la lealtà e l'autostima ebraica indebolendo la lealtà e la stima verso gli altri gruppi. Al momento della stesura di questo articolo, l'auto-glorificazione ebraica è altamente adattiva per gli ebrei che occupano una posizione di prestigio culturale in quasi tutti i settori della cultura e della società occidentale, e che usano l'auto-glorificazione per garantire questo prestigio ed espanderlo ulteriormente. L'auto-glorificazione ebraica ha avuto un grande successo nel potenziare l'attivismo ebraico contro gli altri gruppi e, insieme alle narrazioni sulle vittime che sono esse stesse una forma di glorificazione storica, sono riusciti a paralizzare i non ebrei europei con un duplice senso di inferiorità e senso di colpa. I tentativi di ridurre ulteriormente l'orgoglio etnico europeo, attraverso accuse di mali storici putativi o cooptando, relativizzando o universalizzando i loro risultati etnici continueranno a essere un punto chiave del conflitto interetnico tra europei ed ebrei. Un compito cruciale per coloro che sono interessati a migliorare le prospettive dei popoli europei sarà dunque quello, in una certa misura, di riuscire a rafforzare il loro orgoglio di gruppo e creare un consenso culturale per ridurre quello degli ebrei. 
 
Note:
 
[1] Saxe, L. et al. “Measuring the Size and Characteristics of American Jewry: A New Paradigm to Understand an Ancient People,” in Rehbun, U (ed) The Social Scientific Study of Jewry. Sources, Approaches, Debates (Oxford: Oxford University Press, 2014), 37-8.
 
[2] [2] Vedi, ad esempio, la Charter Decreed for the Jews of Prussia (17 aprile 1750) emanata da Federico II, che fissava il numero di ebrei, per tipo di occupazione, autorizzati a risiedere a Berlino.
 
[3] Hartley, E. L., Rosenbaum, M., & Schwartz, S. (1948). Children’s Perceptions of Ethnic Group Membership. The Journal of Psychology, 26(2), 387—397.
 
[4] Smooha, S. (1987). Jewish and Arab ethnocentrism in Israel. Ethnic and Racial Studies, 10(1), 1—26.
 
[5] Brown, L. M., McNatt, P. S., & Cooper, G. D. (2003). Ingroup romantic preferences among Jewish and non-Jewish White undergraduates. International Journal of Intercultural Relations, 27(3), 335—354.
 
[6] Cofnas, N. (2018). Judaism as a Group Evolutionary Strategy. Human Nature, 29(2), 134—156, (153).
 
[7] Rosenberg, M. (1989) Society and the adolescent self-image (Rev. ed), Princeton, NJ: Princeton University Press.
 
[8] Markstrom, C. A., Berman, R. C., & Brusch, G. (1998). An Exploratory Examination of Identity Formation among Jewish Adolescents According to Context. Journal of Adolescent Research, 13(2), 202—222.
 
[9] Rutchik, A. (1968). Self‐Esteem and Jewish Identification. Jewish Education, 38(2), 40—46.
 
[10] Rovner, R. A. (1981). Ethno-Cultural Identity and Self-Esteem: A Reapplication of Self-Attitude Formation Theories. Human Relations, 34(5), 427—434.
 
[11] Hofer, P. (1989). The Role of Manipulation in the Antisocial Personality. International Journal of Offender Therapy and Comparative Criminology, 33(2), 91—101.
 
[12] De Keersmaecker, J., Onraet, E., Lepouttre, N., & Roets, A. (2017). The opposite effects of actual and self-perceived intelligence on racial prejudice. Personality and Individual Differences, 112, 136—138.
 
[13] Patai, R. (1996) The Jewish Mind Detroit: Wayne State University Press, 324.
 
[14] Dresser, D and Friedman, L. (2004) American Jewish Filmmakers University of Illinois, 7.
 
[15] Popkin, R.H. (1978) ‘Spinoza and La Peyrere’ in R. Shahan and J. Biro, Spinoza: New Perspectives Norman, Oklahoma.
 
[16] Popkin, R.H. (1990) Essays on the Context, Nature, and Influence of Isaac Newton’s Theology Boston: Kluwer.
 
[17] Quoted in Biemann, A (2012) Dreaming of Michelangelo: Jewish Variations on a Modern Theme Stanford, California.
 
[18] Strauss, L. (1965) Spinoza’s Critique of Religion New York, 18.
 
[19] Donagan, A. (1988) Spinoza New York, 9.
 
[20] Vedi, ad esempio, Harry Wolfson’s two-volume The Philosophy of Spinoza, Joseph Dunner’s Baruch Spinoza and Western Democracy, Lewis Feuer’s Spinoza and the Rise of Liberalism, Leon Roth’s Spinoza, Descartes, and Maimonides, the many works of Richard Popkin, Margaret Jacob’s The Radical Enlightenment, Marjorie Glicksman Grene’s Spinoza and the Sciences, Steven Nadler’s Spinoza: A Life and his Spinoza’s Heresy: Immortality and the Jewish Mind, Jonathan Israel’s Radical Enlightenment: Philosophy and the Making of Modernity, 1650—1750, Michael Mack’s Spinoza and the Specters of Modernity: The Hidden Enlightenment of Diversity from Spinoza to Freud, Steven Nadler’s A Book Forged in Hell: Spinoza’s Scandalous Treatise and the Birth of the Secular Age, and Rebecca Goldstein’s Betraying Spinoza: The Renegade Jew Who Gave Us Modernity. 
 
[21] Erdle, S., Irwing, P., Rushton, J. P., & Park, J. (2010). The General Factor of Personality and its relation to Self-Esteem in 628,640 Internet respondents. Personality and Individual Differences, 48(3), 343—346.
 
[22] Rovner, R. A. (1981). Ethno-Cultural Identity and Self-Esteem: A Reapplication of Self-Attitude Formation Theories. Human Relations, 34(5), 427—434
 
[23] Jezer, M. (1993) Abbie Hoffman: American Rebel Rutgers University Press.
 
[24] Hubbeling, H.G. (1964) Spinoza’s Methodology Royal Van Gorcum, Netherlands.
 

Ossin pubblica articoli che considera onesti, intelligenti e ben documentati. Ciò non significa che ne condivida necessariamente il contenuto. Solo, ne ritiene utile la lettura