Marocco - Martedì 15 gennaio 2008, la corte d’appello dà il suo verdetto sull’affaire del supposto «matrimonio gay » di Ksar El Kébir: accusati di omosessualità, sei uomini sono condannati a pene che vanno da due a dieci mesi di prigione.


 

Attenzione pericolo !

 

di Youssef Mahla e Youssef Ziraoui



Con il pretesto di voler « difendere la religione, la morale e la virtù », gli appelli all’odio si banalizzano, le minacce si moltiplicano, la paura prende il sopravvento…Bisogna aspettare che la violenza scoppi apertamente per dare il segnale d’allarme?


Martedì 15 gennaio 2008, la corte d’appello dà il suo verdetto sull’affaire del supposto «matrimonio gay » di Ksar El Kébir (Tel Quel N°300) : accusati di omosessualità, sei uomini sono condannati a pene che vanno da due a dieci mesi di prigione. Commento di Me Mohamed Sebbar, in passato Presidente del Forum verità e giustizia, che conduce il collettivo di difesa degli accusati : « Visto il capo d'accusa, un giorno di prigione è già un giorno di troppo". Non sono dello stesso avviso le centinaia di abitanti della piccola città del Nord (migliaia, secondo le fonti ufficiali), che avevano protestato contro "la perversione dei costumi" con agitazioni, atti di vandalismo e tentativi di linciaggio. All’origine di questa ondata di intolleranza, sermoni provocatori nelle moschee, ed una campagna di minacce e intimidazioni condotte a tamburo battente da gruppi integralisti…

Se mai prima d’ora si era assistito ad una “insurrezione “ di tali dimensioni (accolta  da un giornale islamista al grido di « grazie a Dio, esistono ancora degli uomini in questo paese » !!), in Marocco non è la prima volta, ci sono stati diversi casi, che degli individui si ritrovino minacciati apertamente e in prima persona dai sostenitori di un « nuovo ordine morale » -  l’espressione è ormai consacrata. E l’omosessualità non è che un pretesto tra gli altri. Ogni giorno, su internet, appaiono decine di minacce di morte anonime contro numerosi « nemici della religione » (di cui si fa esplicitamente il nome). Per acquistare questo status, basta aver espresso un’ opinione che si discosti anche solo di poco dagli standard della morale e della virtù. (cosi come li definiscono gli islamisti). O, senza dubbio, argomentare in favore della Laicità – un concetto che gli integralisti,  rifiutandosi di accettare in modo ostinato il suo reale significato, assimilano automaticamente all’ateismo. Cosa che, nella loro visione «ortodossa » della legge divina, comporta necessariamente la punizione finale. Meno « trash» ma su più larga scala, alcuni giornalisti non esitano più ad accusare con tanto di nomi,  coloro i quali, intellettuali, artisti o colleghi, « attaccano l’Islam » - facendo correre grossi rischi agli interessati e...... accusandoli di “codardia”  se se ne preoccupano pubblicamente!

In un linguaggio recente, dopo l'affare degli hard rockers accusati di « satanismo » nel 2003, e malgrado la loro rapida liberazione a seguito della pressione esercitata della società civile, l'espressione " âbadat chaïtane" (adoratori di satana) è diventata un automatismo, da quando si parla dei seguaci del genere metal che, ogni anno, a migliaia si riversano al festival musicale L’Boulevard, che quindi gli dedica uno spazio nella sua programmazione. Come può un semplice fan del rock e di look stravaganti, di ritorno nel suo quartiere tra la sua famiglia, vivere con questa etichetta senza rinnegarsi per la pressione subita – o quanto meno diventare paranoico ?

Si verificano regolarmente degli atti di violenza isolati. La stampa, qualche mese fa, ha così trattato il caso il caso di un abitante di Agadir che aveva lapidato a morte sua madre perché sospettata di adulterio. E ogni anno si contano nuovi morti o feriti nel campus universitario, nel corso di scontri tra studenti islamici estremisti ed altri di estrema sinistra, (altrimenti detti atei dai loro avversari). Alcuni campus oggi sono territori molto rischiosi per tutti coloro che osano manifestare il proprio disaccordo con gli islamici. Dopotutto sono pochi quelli che ancora lo fanno.

Per tornare ai "colpevoli di omosessualita" di Ksar El Kebir, e  dato che le loro famiglie non osano più mostrarsi in pubblico, e i loro bambini subiscono pressioni e scherni  a scuola, lo Human Rights Watch  va alla riscossa  chiedendo l’annullamento della sentenza : “Se il Marocco aspira realmente ad assumere il ruolo di leader regionale in materia di diritti umani,  dovrebbe iniziare assolvendo l’omossessualità”, si legge nel comunicato dell’ONG nordamericana. E’ domandare troppo ai nostri governanti? « Per quanto riguarda l’omossessualità, il potere legislativo e la società marocchina, sono unanimi nel condannarla», ha dichiarato senza esitazioni  a Tel Quel Khalid Naciri, portavoce del governo. Lo Stato sarà condannato ad un atteggiamento passivo, fatalista, senza alcuna possibilità , neanche minima, di elevare la società verso l’alto, in particolare emanando delle leggi ? « La locomotiva non può andare più veloce del treno » replica Naciri.

Il discorso del portavoce del governo può essere cosi riassunto: "Quando la società condurrà, lo Stato la seguirà, non il contrario ! ». Sconfortante.  Lo Stato glissa, attende, lascia fare,                              con la preoccupazione di « preservare la pace sociale ». Non è forse, al contrario, il modo migliore per  minacciarla? E tutte le vittime? Perchè anche se, dopo la condanna di sei accusati, la calma sembra essere ripiombata su Kasar el Kébir, niente permette di affermare con certezza che la tempesta sia definitivamente passata. Conferma di Me Sebbar : « Alcuni accusati saranno scarcerati tra qualche settimana. La domanda che resta in sospeso è come la folla accoglierà questa gente. Chi li proteggerà dalle minacce che  gravano ancora adesso su di loro?”



L’omossessualità, o l’albero che nasconde la foresta (delle intolleranze)

Cambio di ambientazione per un altro processo. Il capo di accusa è lo stesso (l’omosessualità) e il processo si svolge questa volta…in un anfiteatro della facoltà di Fès. La storia risale al 2006, quando un giovane studente di scienze economiche viene “giudicato” dagli studenti islamici, che lo accusano di essere « una minaccia per la cultura ed un affronto per la virilità di tutti i residenti ». Dopo uno pseudo processo durato diverse ore, lo studente viene semplicemente  escluso dalla città universitaria. « Dopo tutto un male minore, dato che alcuni pretendevano una punizione più severa”,  ci spiega la fonte che ha ben seguito la vicenda. La « punizione » in questione : una espulsione pura e semplice dalla città di Fès, nella versione leggera, venti colpi di frusta (!!) seguiti da una espulsione universitaria, nella  versione più severa.

Il filo conduttore che accomuna la questione di Fès a quella di El Kébir potrebbe chiamarsi : negazione della differenza, sotto l’apparenza di una cauzione religiosa.  «L’argomento religioso è inevitabile  e alcuni lo hanno capito”, spiega l’etnologo Abdelbaqi Belfqih. E continua : “Siamo  assediati da un clima religioso. La maggior parte dei beni culturali che consumiamo sono religiosi. Lo stesso a livello del linguaggio, dei codici d’abbigliamento. In tale atmosfera, ci si piega alla pratica dominante e non ci si ribella ». In altre parole, bisogna scegliere la propria strada: conformarsi alla massa (e passare inosservati) o rischiare, esponendosi, di avere il coraggio di essere diversi, sul piano sessuale o di altro.

Secondo il ricercatore Mohamed Darif, i fatti di Ksar El Kébir o di Fès sono il risultato (prevedibile) di una « strumentalizzazione dei valori conservatori della società ». Il politologo, che ha sempre condotto attente analisi sulla società marocchina, è categorico : «Una società conservatrice non è tollerante, già per definizione”. Leggendo le conclusioni dell’inchiesta portata avanti da Mohamed Ayadi, Hassan Rachik e Mohamed Tozy (L'islam nel quotidiano, Edizioni Prologues, 2007), si è tentati di dare ragione a  Darif. Anche se egli non analizza questioni relative alla sessualità, « L’Islam nel quotidiano » suggerisce in effetti dubbi per quanto riguarda la tolleranza media (dei marocchini) di fronte alla diversità. Ne sono un esempio queste cifre : il 66% (degli intervistati) si sente più vicino ad un Afghano musulmano che ad un marocchino ebreo. Il turbamento è legittimo.

Di certo, il fatto che l’islamismo sia in testa nelle componenti dell’identità per la maggioranza dei marocchini non spiega tutto. “Islamità” fa troppo spesso rima con normalità, ma dove inizia una e dove finisce l’altra? Niente è più incerto. « I manifestanti di Ksar El Kébir non sono tutti islamisti, ma fanno parte di una popolazione musulmana conservatrice », riassume Mohamed Darif. E’ lì che interviene il ruolo degli imprenditori politici della religione. Usato come fonte di legittimità per lo Stato ed i partiti, l’Islam diventa l’unica base culturale della società. Il fondo del problema, come ci spiega Darif, è che la natura della cultura dominante (religiosa), non lascia alcun posto per le libertà individuali.

Anche lo Stato ci mette del suo, lui che non è esente da rimproveri, perché l’apparato repressivo di cui fa uso, comporta l’intromissione della morale nella vita privata di ciascuno. 
“A Kasa El Kébir, infatti, tutto succede come se se si fosse in pieno ramadan, continua Mohamed Darif. Potete mangiare a casa, ma fatelo in pubblico e vi farete linciare. Se ciò accade, allora sarete giudicati colpevoli dalla polizia di attentato all’ordine pubblico. Proprio appena vi sarete fatti linciare pubblicamente !”



La manipolazione vi riguarda

Cos’è più pericoloso per la vita di un  onesto cittadino di una sfilata di (belle) donne ? Ricordiamoci di come, già nel 2002, gli organizzatori di un concorso di bellezza hanno scoperto, stupefatti, i problemi che potevano provocare delle ragazze in costume da bagno. L’organizzatore di Miss Marocco fu persino minacciato di morte perchè le miss erano troppo svestite… Troppo lontano da noi? Non molto. Perchè ciò, lascia immancabilmente delle tracce. Nel 2006, ad esempio, un hotel della città di Agadir, organizza Miss fashion Tv Marocco. Uomo avvisato mezzo salvato, gli organizzatori preferiscono, cosa del tutto inusuale per quel genere di avvenimento, giocare la carta…del segreto (o quasi). E tanto peggio per l’impatto. Tutto si svolge lontano dai riflettori, di nascosto da sguardi indiscreti e inquisitori. Un modo di proteggersi ma anche di tutelare l’anonimato delle candidate, che si supponeva dovessero sfilare in costume da bagno per l’occasione. « Essi (gli organizzatori) temevano che parte della stampa potesse scagliarsi contro ciò che  a suo parere avrebbe potuto apparire culturalmente e moralmente scorretto. Non sia sa mai cosa può succedere,  e fin dove si può arrivare, come in questo caso in cui l’informazione, i fatti stessi, possono essere manipolati”. Spiega questa testimonianza  locale, ad Agadir. Finora non ci sono stati atti di violenza diretti.. Ma la paura, è già presente.



Il principale terreno di facile indignazione rimane Internet

Sul sito Youtube, i marocchini si distinguono per la loro assiduità. Sia in termini di video caricati che visitati. Risultato : un niente è sufficiente a sollevare l’indignazione dei muftis del Web (così si sono autodefiniti). I video mostrano immagini di ragazze in situazioni innocue che nel migliore dei casi danno loro diritto ad una lista di insulti, nel peggiore a minacce generalmente accompagnate da versetti apocalittici.

Maggio, 2007, il gruppo Hoba Hoba Spirit tiene un concerto nella città di Settat. Il giornale più vicino al principale partito islamista coglie la palla al balzo: durante il concerto, gli abitanti di Settat hanno disturbato la preghiera”. Per rincarare la dose, il giornalista prosegue dichiarando che i disturbatori delle preghiera,  in cerchio,  avrebbero scalato un minareto, nudi come vermi. Incredibile ! Commento di Réda Allali, leader degli Hoba Hoba Spirit. « E’ ovvio che quello che il giornale ha riferito non è mai successo, era solo delirio, pura finzione". Ma il lettore lambda non ha sempre la possibilità di distinguere,  specie quando le « informazioni » che fanno riferimento ad un tipo di attività (ad esempio la musica) sono sempre abusivamente distorte. E qui si arriva alla frontiera della manipolazione. « La gente in generale ha un immaginario costruito sull’ignoranza. I responsabili di questo tipo di riviste hanno bubito ricavato profitto dall'assenza di senso critico dei loro lettori, analizza l’etnologo Abdelbaqi Belfqih. Cosa c’è di più pericoloso dunque per un giornale che volere, a scapito della verità, conformarsi ad ogni costo con il parere di Signor mondo intero? E di far combaciare gli scopi commerciali con pubblicità e rifiuto del prossimo…

Come uscirne allora? Proponendo nuovi modelli culturali ai giovani, ad esempio. In quest’ambito la situazione non è ancora delle più favorevoli.  Comparsi sulla (nuova) scena marocchina, diversi gruppi rap rivendicano un impertinente modo di pensare. Normale per un genere artistico, il rap, nato per scuotere i benpensanti. In concreto, sempre di più, non è raro che la zuppa venga comunque servita con un miscuglio di patriottismo e discorsi di morale sulle « ragazze che  vagabondano per le strade ». E’ il rap Taqlidi, quello che si può «ascoltare in famiglia », pieno di clichés e prediche moraliste.  « Alcuni artisti si sono convertiti in paladini delle coscienze imitando il modo di pensare di chi li attacca, come se volessero accattivarsi questi ultimi”, ci spiega Mohamed Meghari, alias Momo, organizzatore del Boulevard dei giovani musicisti. Il fenomeno, fino a ieri limitato solo alla «canzone tradizionale”, si estende oggi al rap, ultima fortezza che sembrava inespugnabile. E’ quanto dire.

Anche nel cinema, il dilagare dell’intolleranza  è una realtà percepita dagli artisti. « In Wake up Morocco (2006), la regista Narjiss Nejjar filmò una ragazza in testa ad un gruppo di fanatici che tentano di impedire in ogni modo la proiezione di un film all’interno dell’università. Tra finzione e realtà, non c’è che un passo. La cineasta Ahmed Boulane ne sa qualcosa. «La sensazione comune è quella di una negazione delle libertà. Tutti lo percepiscono e lo vivono giorno dopo giorno ». Da qualche anno, gli attacchi contro i film e i loro registi sono eccessivi. Il regista di Ali, Rabiaâ e gli altri ricorda : « Nel 2005 il mio film (ndlr : in cui l'ambientazione fa rivivere l’atmosfera ilare degli anni settanta) era stato realizzato all’Università Hassan II di Mohammedia. Una ventina di integralisti musulmani           hanno interrotto la proiezione in un anfiteatro e sono persino riusciti a  portarsi via un proiettore di 35 mm”. L’ indomani, Ahmed Boulane torna sul luogo per spiegarsi con i «vandali ». « La maggior parte hanno confessato di non aver mai visto il film. Mi hanno detto di aver semplicemente agito sotto l’influenza di articoli provocatori pubblicati in una certa rivista ».

Younès Moujahid, segretario generale del Sindacato nazionale della stampa Marocchina (SNPM), non aggiunge altro, lui che denuncia diversi casi di “manipolazione”. Ne sottolinea la pericolosità: «Quando si passa dall’informazione alla propaganda, si verifica uno slittamento ideologico». Alcuni titoli di stampa si sono accaniti, in modo tanto selettivo quanto perverso, contro alcuni personaggi presi di mira, sempre con le stese accuse: attentato al sacro (Dio e Il suo profeta), alleanza con i sionisti, islamofobia, ecc. Persino prima della sua uscita nelle sale, il film Marock di Laïla Marrakchi ha incassato una scarica di legnate durante il Festival del cinema di Tanger, nel 2005. Un membro della giuria minacciò persino i suoi colleghi di  trascinarli nel fango, se avessero attribuito al film qualche riconoscimento. Dopo questo episodio quell’uomo ne ha fatta di strada, lui che da sempre ha costruito la sua carriera sugli attacchi personali contro questo o quello, sempre in nome di una supposta buona morale. Younès Moujahid spiega, indignato e stupito insieme: “Questi giornali divulgano fatti che si svolgono nella sfera privata definendoli offensivi (houjoum) per i valori della società, focalizzandosi su argomenti sensazionalisti. Ciò ha come conseguenza diretta quella di mettere in pericolo quelli che vengono presi di mira”.

Pericolo, il termine è poco esaustivo. Direttore della pubblicazione Attajdid, un quotidiano che ha spesso preso di mira festival e film “che incitavano alla depravazione”, Mustapha Khalfi si difende : « non si può accusare di populismo un giornale che viene tirato in appena 10 000 copie. Non si critica il fatto che un festival programmi un film israeliano. Però se si tratta di un film sionista, è diverso, perché stiamo parlando di una ideologia razzista ». Nonostante ciò, il film franco-israeliano Le Meduse (Etgar Geret, 2007), che nulla ha di sionista, non ha avuto il permesso di essere presentato e quindi non ha potuto essere proiettato durante l’ultimo Festival Casa del cinema nell’Ottobre 2007. Riassumendo, il film (una semplice cronaca sociale avente come sfondo Tel Aviv), è stato cancellato all’ultimo minuto, quando faceva gia parte della selezione di film del festival. « E’ stato il risultato di una congiura organizzata da alcuni giornali populisti”, confida una fonte dell’équipe organizzativa. La censura del film resta, in tutti i casi, una novità, e crea un precedente. inquietante per un paese che ha sempre tenuto la schiena piegata durante i periodi di grande crisi « di identità » (guerra del Golfo, Conflitto israelo-palestinese).

Oggi la preoccupazione è reale. E profonda. E’ un processo complicato legato alla manipolazione degli animi, all’influenza dell’ambiente quotidiano, ma anche al passato culturale di ciascuno. E’ senza dubbio questa complessità che fa dichiarare ad Hicham Abkari, responsabile dell’animazione culturale di Casablanca, un uomo conosciuto per sondare la temperatura e il polso sia della gioventù (artisti, pubblico) che delle autorità, che frequenta ogni giorno : «Chi fa appello all’odio è sincero. Chi invoca la tolleranza lo è di meno ». Ebbene, spesso è vero.

I  propositi di Hicham Abkari ci invitano ad una psicanalisi generale, nazionale. Bisogna stendersi sul lettino per capire meglio tutti i ricorsi, le vicissitudini che ci conducono oggi alla soglia della violenza, e diciamolo pure, dell’intolleranza. Dio sarà in grado da solo di giudicare, ma quaggiù gli uomini giudicano e condannano senza discriminazioni.
             


Domani, il peggio?

Fine 2006, l’affare Nichane scuote il mondo mediatico. All’inizio, solo un qualsiasi dossier  dedicato alle barzellette più popolari in Marocco, aventi per tema la religione, il sesso e la politica. La rivista viene venduta per una settimana senza sollevare polemiche. Bisogna attendere l’uscita del numero seguente perchè venga presa la decisione  della censura, con generale sorpresa. Un sito web islamico aveva ben anticipato la mossa, invitando a querelare i giornalisti di Nichane, ingiustamente accusati di offendere Allah ed il suo profeta. In pochi giorni la questione si ingarbuglia. Una manifestazione studentesca a Kénitra ed un editoriale fomentano il (piccolo) focolaio di tensioni. In un susseguirsi di avvenimenti  surrealista, ecco che….il Parlamento del Kuwait prende in mano la situazione e vota una severa mozione contro la rivista e i suoi giornalisti. E comunque per l’autore del dossier, come per i suoi colleghi di Nichane, il peggio non era tanto l’ondata di insulti e minacce di morte sui forum di Internet, ma questi « pseudo-progressisti » e intellettuali che hanno giudicato il dossier prima ancora di leggerlo, sostenendo che non bisogna scherzare con la religione ». E il caso Nichan non è isolato.

I responsabili della rubrica « mina l´qalb Ila l´qalb", il corriere principale del Quotidiano Al Ahdath Al Maghribia, non contano più le telefonate minatorie ed intimidatorie. « C’è stato un periodo di leggera calma, ma dopo che è stato attivato il numero verde, le telefonate (e gli insulti) sono ricominciati », ci confessa un responsabile. Un’allusione che farebbe sorridere, se non fosse per i reali pericoli che hanno corso i giornalisti del quotidiano. Il 5 Gennaio 2004, Mohamed El Brini, direttore della pubblicazione, riceve un pacco sottoforma di lettera di auguri per il Nuovo Anno. L’addetto alla posta è prudente, non apre il pacco sospetto. L’esame della polizia scientifica di Casablanca dimostrerà che il pacchetto conteneva degli esplosivi dotati di un sistema di auto innesco all’apertura. Qualche mese dopo, nel Novembre 2005, Saïd Lakhal, collaboratore dello stesso giornale,  e ricercatore specializzato nel movimento islamista, è stato minacciato di morte da alcuni radicali che lo accusavano di apostasia. A causa delle sue analisi politiche considerate poco tolleranti verso il radicalismo religioso e politico…

Bisognerà attendere che la violenza scoppi all’improvviso, per dare (troppo tardi) il segnale d’allarme? Ricordiamo questo fatto di cronaca poco conosciuto passato quasi inosservato nel Febbraio 2002. Zakaria Miloudi, una delle figure guida della Salafiya jihadia a Casablanca, all’epoca ancora sconosciuta, pronunciò una fatwa condannando a morte (per lapidazione!) un “ubriacone e depravato”. La sentenza verrà seguita la sera stessa dal gruppo Miloudi, conosciuto con il nome di Assirat Al Moustaqim. Dopo diversi mesi, questa banda faceva regnare  il terrore nei quartieri di Tomas e Skouila à Sidi Moumen, a Casablanca. Erigendosi a guardiani della morale, nelle bidonvilles trascurate dallo Stato, i salafiti organizzavano ronde, armati di bastoni e fruste,  per far valere i loro « precetti », con intimidazioni, aggredendo donne senza il velo e coppie illegittime. All’epoca queste azioni rimanevano senza risposta, o quasi. Mesi dopo, Assirat Al Moustakim divenne famosa fornendo buona parte delle truppe per gli attentati kamikaze del 16 Maggio 2003…

 

 

 

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