Parliamo di qualcosa che secondo molti, e fra questi il sottoscritto, ha avuto un’importanza fondamentale nella sinistra mondiale?

Usciamo un po dalle beghe provinciali italiane?

Ma si dai, facciamolo, che forse troviamo anche qualche idea utile a capire dove andare nel futuro.
Il 1 agosto di quest’anno, nel Caracol de La Garrucha il Subcomandante Marcos e il Tenente Colonnello Moises hanno tenuto un discorso per i membri della “Carovana nazionale ed internazionale di osservazione e solidarietà con le comunità zapatiste del Chiapas”.

La versione originale, in castigliano, la trovate qui:

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/comision-sexta/978/#Marcos

La versione in italiano, ma solo del discorso del Subcomandante Marcos, sul sito di Carta (che è l’unico giornale italiano che ha parlato dell’avvenimento con ottimi servizi e resoconti nel n° 31 del 29 agosto 2008) la potete leggere qui:

http://www.carta.org/attachments/pdf/0000/2180/31digestionepotere.pdf

Prima di entrare nel merito di alcune delle questioni affrontate nel discorso del Sup vorrei, riassuntivamente, soffermarmi su aspetti salienti, secondo la mia modesta opinione, dell’esperienza zapatista. Cercando di confutare letture e critiche che considero sbagliate, superficiali ed anche in malafede, circolate in Italia negli ultimi anni.

Delle origini dell’EZLN Marcos parla diffusamente nel discorso del 1 agosto.

Non credo che questa puntualizzazione sia casuale.

E’ diffusa nel mondo, infatti, l’idea pseudoromantica della guerriglia in America Latina, e da molte parti non si è voluto prendere atto delle modificazioni profondissime indotte dall’esperienza indigena nell’originale impostazione fochista del gruppo che diede vita all’EZLN.

La natura indigena dell’EZLN non è un dato sociologico. E’ profondamente legata alla cultura della resistenza che le comunità indigene hanno messo in atto per più di 500 anni, come Marcos spiega assai chiaramente.

La guerra che le comunità decidono di dichiarare al governo messicano è una necessità per due motivi fondamentali. Le comunità sono state private della terra, con una legge appositamente approntata per la firma del trattato di libero commercio con USA e Canada (NAFTA), e le condizioni di vita sono peggiorate al punto che c’è una vera e propria strage di bambini e bambine che muoiono per malattie curabilissime.

Non si tratta, quindi, della classica offensiva militare in ragione delle forze accumulate e con l’obiettivo di rovesciare il governo. La guerra è necessaria, come si vedrà meglio in seguito, per prendere la parola su una realtà che altrimenti sarebbe totalmente ignorata. E soprattutto c’è in modo chiaro la consapevolezza che le comunità indigene sono minacciate nella loro stessa esistenza da nuovi criteri di ristrutturazione e sfruttamento del territorio, prodotti dalla globalizzazione e non solo dai tradizionali poteri messicani.

Ecco un primo punto saliente dell’esperienza zapatista. La prima lotta al mondo (nonostante tutto di lotte anche armate ce n’erano diverse anche allora) che prende coscienza delle nuove contraddizioni prodotte dalla globalizzazione.

Come è noto, dopo l’insurrezione, piuttosto sanguinosa, e l’occupazione delle principali città dello stato del Chiapas da parte dell’EZLN il 1 gennaio del 1994 (lo stesso giorno dell’entrata in vigore del NAFTA), segue un forte movimento di solidarietà mondiale e le autorità di governo sono costrette alla trattativa.

L’EZLN esplicitamente dichiara di non aver fatto l’insurrezione per prendere il potere e rivendica un posto nel Messico per gli indigeni. Più concretamente chiede, nel corso della trattativa, una riforma costituzionale che riconosca il peculiare rapporto con la terra e il valore della cultura e delle forme di autogoverno di tutte le comunità indigene messicane (circa 12 milioni di persone e decine di etnie).

Su entrambe queste questioni (la guerra non per il potere e la riforma costituzionale) sono in molti a storcere il naso. Si sprecano critiche: senza prendere il potere non si può cambiare nulla; senza partire dalla contraddizione capitale lavoro non c’è speranza; la riforma costituzionale è prova di riformismo imbelle; e così via. In Italia si distingue per criticare l’EZLN in tal modo Rossana Rossanda, oltre a diversi altri estremisti e/o ortodossi di vario genere. E anche fra gli estimatori c’è chi loda gli zapatisti esattamente per gli stessi motivi. C’è chi si innamora del modello zapatista come “nuovo modo di far politica”. I cercatori del nuovo per il nuovo e i bisognosi di modelli non mancano mai!

In realtà la questione del potere è fondamentale perché smentisce, e basterebbe osservare l’esperienza storica per rendersene conto, l’idea che prima prendi il potere e poi lo usi per cambiare la realtà sociale. Dagli scritti e dai discorsi dell’EZLN si capisce sempre più che non si tratta di una rinuncia bensì di un rovesciamento della questione. Cambiare la società per cambiare il potere (che non è affatto neutro) è rimettere le cose con i piedi per terra.

La questione della presunta parzialità indigena e della presunta moderazione relativa alla riforma costituzionale sono emblematiche di come si possa non capire una questione fondamentale. Istituzionalizzare il rapporto delle comunità indigene con il territorio e le loro forme di autogoverno è totalmente incompatibile con i “moderni” criteri di sfruttamento delle multinazionali e con la nuova funzione dello stato al servizio del mercato. Significa contemporaneamente salvare l’esistenza delle comunità, altrimenti destinate ad estinguersi, e democratizzare lo stato ristabilendo il primato degli interessi umani sull’economia capitalistica.

E’ la rivendicazione più radicale ed antagonista che si possa fare. Altro che moderatismo e parzialità!!!

Il governo, abbastanza sorprendentemente, firma il primo accordo (accordo di San Andres) che prevede la riforma costituzionale, ma come si vedrà in seguito, prevedibilmente, non l’applicherà mai, tanto che ancora oggi, formalmente, la trattativa con l’EZLN è semplicemente interrotta.

Una prima volta il Presidente Zedillo presenta una legge di applicazione dell’accordo che è semplicemente una truffa, e a seguito della rottura delle trattative da parte dell’EZLN avvia una fase di guerra di bassa intensità.

E’ in questo periodo che l’EZLN sceglie di rifuggire lo scontro armato non accettando le numerose provocazioni.

Anche per questa scelta si guadagna le critiche di quelli che vorrebbero un bellissimo scontro militare per poter inneggiare alla lotta dell’EZLN. Ed altri, specularmente, vedono in questa scelta un positivo abbandono della lotta armata.

Ma le cose, per quel che ho capito io, non stanno così. Semplicemente l’EZLN non tiene affatto ad immolarsi in uno scontro militare sicuramente perdente ed essendo formalmente la trattativa sospesa punta sulla crescita della domanda politica in Messico e nel mondo affinché il primo accordo firmato dal governo sia rispettato per riprendere la trattativa. Non va dimenticato che l’EZLN nel 95, nel bel mezzo dei negoziati con il governo, aveva lanciato una consultazione di massa in tutto il Messico. Circa un milione e duecentomila persone, in un solo giorno, avevano risposto alle 5 domande dell’EZLN registrandosi con la carta d’identità ai banchetti.

Comunque l’EZLN sceglie di continuare la strada della lotta pacifica, senza abbandonare le armi, anche perché la trattativa con il governo è ormai un fatto politico di tutti gli indigeni messicani e di gran parte del popolo messicano, e non più una questione di un gruppo armato e delle comunità indigene chiapaneche.

Nel corso degli anni di guerra di bassa intensità portata avanti dal governo, perché si tratta di anni, l’EZLN si apre al mondo, teorizza esplicitamente una critica alla globalizzazione con diversi scritti, organizza incontri intercontinentali (che chiama con ironia intergalattici), invia propri rappresentanti alla manifestazione contro il razzismo a Venezia, interloquisce con diversi personaggi politici messicani del PRD (Partito della Rivoluzione Democratica) e con innumerevoli intellettuali. In particolare in diversi scritti affronta la questione del rapporto dell’organizzazione guerrigliera con le comunità indigene, criticando esplicitamente ogni deriva militarista e soprattutto la stupidità intrinseca di ogni organizzazione militare.

Che un gruppo armato i cui esponenti parlano in pubblico con il mitra in spalla non indulga nella retorica guerrigliera e dica della superiorità delle comunità rispetto al loro esercito, fino a definire stupida la propria organizzazione militare e gerarchica, è un altro contributo originale. Sia perché mette in campo un nuovo punto di vista per esaminare le esperienze guerrigliere latino-americane del passato ed in corso in quel momento, sia per il futuro.

Ovviamente molti confondono queste scelte con l’omologazione dell’EZLN ai punti di vista più moderati eurocentrici fino a definire l’EZLN come nonviolento. Anche su questo punto con le solite due varianti degli entusiasti e dei critici.

Sono anni, quelli della guerra di bassa intensità, molto duri. Il territorio nel quale gli zapatisti sono maggioritari viene occupato militarmente, ci sono stragi, uccisioni, persecuzioni. Ma l’EZLN, oltre a non cedere alle provocazioni e a manifestare un grande interesse per il mondo che si oppone alla globalizzazione, chiarisce con nettezza che non vuole la solita, classica, solidarietà. La solidarietà dei fortunati verso gli sfigati del mondo, della sinistra dei paesi avanzati verso quella dei paesi arretrati. La solidarietà di cui parlano gli zapatisti è la costruzione di rapporti paritari, nell’ambito della comune lotta contro il neoliberismo. Non si tratta solo di una questione di dignità, che comunque ha grande importanza. C’è l’idea che la globalizzazione produce le stesse contraddizioni in tutto il mondo e che, quindi, l’essenza di una vera solidarietà è il dialogo fra tutte le diverse esperienze che resistono e si oppongono.

Anche su questo punto ci sono scontenti, soprattutto fra quelli abituati a “portare” insieme alla solidarietà le proprie impostazioni sottoforma di “progetti preconfezionati” e “suggerimenti”. Fino ad arrivare ai coyotes della solidarietà di cui parla Marcos nel sopracitato recente discorso.

La fase della guerra di bassa intensità si risolve con una netta vittoria dell’EZLN. Grazie all’apertura dell’EZLN al mondo e alla grande popolarità conquistata dalla causa indigena il governo messicano non può, pena un prezzo politico insopportabile, tentare di liquidare militarmente gli zapatisti.

Così si arriva alle elezioni del 2000. Il candidato del PAN (partito conservatore della destra liberista) Vicente Fox risulta vincente ed è il primo presidente non appartenente al PRI dopo più di 70 anni di dominio incontrastato.

Ci sarebbe molto da dire su come la voglia di cambiamento sia stata raccolta dalla destra e non dal partito della sinistra, o del centrosinistra che dir si voglia. Ma occupiamoci di un punto che ha avuto una grande importanza nella vittoria di Fox: la questione zapatista.

Infatti Fox, durante la campagna elettorale, promette solennemente che se eletto presidente presenterà al parlamento un progetto di legge che raccoglie il testo del primo accordo firmato con l’EZLN. Ripete più volte che il conflitto con gli zapatisti potrà essere risolto “in un quarto d’ora” approvando quel testo di riforma costituzionale. Fox si insedia nel dicembre del 2000 e la primavera successiva gli zapatisti organizzano la famosa “marcia per la dignità indigena”. Una marcia di tutti i comandanti zapatisti attraverso gran parte del Messico e che si conclude a Città del Messico con un’enorme manifestazione di popolo e con un discorso antiretorico che Marcos pronuncia appositamente con le spalle rivolte al palazzo del governo. Gli zapatisti si fermano a Città del Messico per qualche giorno e una delegazione dell’EZLN, composta esclusivamente da indigeni anche di altre posizioni politiche, si reca nell’aula del parlamento dove alcune comandanti prendono solennemente la parola indossando il loro passamontagna.

Nei giorni seguenti Fox presenta il progetto di legge. Si tratta di un disegno di legge del presidente i cui contenuti sono coerenti con gli accordi di San Andres.

Sembra che la lotta sia coronata da un successo, ma in realtà non è così. Infatti, al Senato il testo viene stravolto e viene votata una legge che perpetua l’oppressione di tutti i popoli indigeni del Messico.

E’ necessario soffermarsi su questo punto perché senza capire la portata di quel voto del senato è impossibile capire cosa sarà la traiettoria politica dell’EZLN negli anni seguenti, e soprattutto il motivo della rottura di ogni collaborazione e rapporto di fiducia con le istituzioni e con il PRD.

Bisogna capire che quel progetto di legge era la traduzione di un accordo firmato dal governo messicano con l’EZLN in un ufficiale negoziato di pace. Accordo fatto proprio dal Congresso Nazionale Indigeno (organismo rappresentativo di tutte le etnie e comunità indigene messicane) e da un vastissimo movimento indigeno mondiale. Cambiare il testo del presidente, pur essendo una prerogativa parlamentare, vista la natura del testo stesso significa, però, semplicemente tradire il negoziato e dimostrare la totale inaffidabilità delle autorità messicane. Che il PRI e il PAN avessero decine di parlamentari totalmente ostili ad ogni riconoscimento dei diritti indigeni era chiarissimo fin dall’inizio. Ma che il PRD votasse a favore di quel testo non era così facilmente prevedibile. Il PRD aveva giurato e promesso in ogni modo per anni che avrebbe difeso il testo dell’accordo di San Andres. Si consuma così una rottura insanabile fra l’EZLN e quei personaggi del PRD che negli anni precedenti avevano interloquito con la causa indigena. Ma questa rottura non è un incidente qualsiasi. E’ il prodotto di una concezione nefasta della politica. Non la trasformazione sociale, non le sacrosante rivendicazioni di 12 milioni di indigeni e di un vasto movimento mondiale, non la reale democratizzazione del paese (come può un partito che propugna la democratizzazione del Messico pensare che si possa perseguire questo obiettivo senza includere, anche istituzionalmente, gli indigeni nella vita del paese?), sono le bussole che guidano le scelte del PRD, bensì i rapporti fra le forze nel parlamento, le tattiche politiciste. Tutto secondo la vecchia logica per cui gli indigeni lottano e i partiti rispondono dall’alto della politica ufficiale ciò che nell’ambito istituzionale considerano possibile internamente alle compatibilità del sistema.

Come se non bastasse organizzazioni locali del PRD praticano anch’esse la guerra di bassa intensità contro gli zapatisti. Perché bisogna sapere che quando si tratta di voti e di potere non si guarda per il sottile e capita che latifondisti e caudilli vari possano essere indifferentemente del PRI del PAN o anche del PRD, e che al di la della casacca elettorale che indossano di volta in volta (anche cambiando spesso secondo le convenienze elettorali) difendono i propri privilegi anche perseguitando con gruppi paramilitari gli indigeni che osano, per esempio, rivendicare acqua potabile nelle loro comunità. Il tutto nel silenzio complice dei lontani gruppi dirigenti nazionali del PRD disposti a chiudere entrambi gli occhi sulla natura del loro stesso partito in Chiapas (non sia mai che si perdano voti cacciando paramilitari e latifondisti!).

E’ questa situazione, denunciata a chiare lettere, che spinge l’EZLN a una scelta coraggiosa.

Dal tradimento parlamentare l’EZLN per quasi due anni non parlerà, non scriverà, non dirà nulla.

Nei due anni di silenzio zapatista i giornali messicani si sbizzarriscono a formulare le ipotesi più suggestive: Marcos è morto; l’EZLN in preda a divisioni si è sciolto; Marcos è scappato a Miami; gli indigeni hanno cacciato l’EZLN non avendo ottenuto nulla con loro; e via cantando.

Ma la realtà è un’altra.

L’EZLN ha, diciamolo così, semplicemente applicato la legge come se fosse stata approvata dal parlamento. Ha cioè costruito una realtà di autogoverno delle comunità. Fra mille difficoltà, e lontano dai riflettori di qualsiasi tipo, le comunità sperimentano forme di democrazia diretta (nelle quali tutte e tutti partecipano a rotazione nella gestione amministrativa) affrontando ogni aspetto della vita quotidiana in modo completamente autonomo. Inoltre l’EZLN compie un’altra scelta fondamentale. Proclama di continuare ad esistere come organizzazione guerrigliera, di svolgere una funzione difensiva armata delle comunità, ma rifugge ogni compito di direzione delle comunità e delle istituzioni delle comunità.

Su questa esperienza non mi dilungo. Rimando alla lettura di un mio articolo per CARTA nel 2004 (che anche su questo tema fu l’unico giornale italiano a parlarne) pubblicato anche su questo blog.

http://ramonmantovani.wordpress.com/2004/10/26/lettera-a-pierluigi-sullo-2/

Anni e anni di esperienza di autogoverno si congiungono con la ricerca di relazioni feconde con le lotte che in Messico nascono e si sviluppano fuori delle compatibilità economiche e politiche del sistema, fino all’ultima campagna elettorale presidenziale.

L’EZLN promuove una propria campagna (la Otra Campaña) con l’obiettivo esplicito di riunire in un unico movimento tutte le esperienze di lotta e tutte le organizzazioni politiche anticapitalistiche disperse ed isolate sul territorio messicano.

Inizia un lungo viaggio di Marcos e di una delegazione zapatista con centinaia di incontri in tutto il Messico.

Ed inizia il tormentone elettorale. Il PRD sembra (secondo i sondaggi) poter vincere le elezioni e, ovviamente, l’EZLN diventa l’obiettivo polemico di quanti lo accusano di fare il gioco del PAN visto che si ostina a dichiararsi indifferente alle elezioni.

Anche in Italia, molti che da tempo si sono completamente disinteressati del Messico e soprattutto dell’esperienza zapatista, ivi comprese le aggressioni subite dagli zapatisti ad opera del PRD, alzano la voce per dire che la posizione dell’EZLN è impolitica, infantile, estremista, settaria e così via. Giacché, per loro, tutto il mondo è paese, e la politica in Messico va capita attraverso gli schemini italo-europei, è scandaloso che l’EZLN non aiuti Andres Manuel Lopez Obrador (il candidato alla presidenza del PRD) a vincere le elezioni. Che Lopez Obrador non abbia nulla da dire sulla questione indigena e meno ancora sulle aggressioni che fanno i caudillos del suo partito in Chiapas contro gli zapatisti, che faccia una campagna elettorale ultracentrista, che non si capisca quale sia la differenza fra i tre candidati su questioni fondamentali a tutti costoro non importa nulla. Bisogna schierarsi e basta.

Il PRD vince le elezioni ma con sofisticati e giganteschi brogli la vittoria viene assegnata al PAN. Lopez Obrador non accetta il risultato elettorale e milioni di messicani lo seguono in una mobilitazione che durerà mesi provocando una crisi istituzionale di proporzioni inusitate.

E’ Marcos a pubblicare la denuncia più circostanziata dei brogli, unitamente ad un’analisi del sistema politico messicano difficilmente confutabile. Si tratta di un sistema chiuso ad ogni riforma democratica, come ha dimostrato la legge indigena. Non può esserci un futuro che non venga dal basso della società.

Sembra rendersene conto anche Lopez Obrador che ad una delegazione parlamentare italiana, lo dico per testimonianza diretta, dice che in Messico c’è un potere mafioso (sono parole sue) che non permetterà mai alla sinistra di andare al governo e che bisogna costruire un movimento popolare capace di dare spallate al sistema dal basso. Aggiunge anche che è stufo di sentire gli appelli dei partiti socialisti europei alla calma, alla ragionevolezza e al realismo e che si rifiuterà di incontrarli ancora.

Ma il PRD non sembra seguire Lopez Obrador su questa strada. La contesa nel partito, dopo un congresso drammatico, è tuttora aperta.

Intanto l’EZLN continua la sua Altra Campagna, tra alterni successi, visto che una parte dei gruppi che vi avevano partecipato in un primo momento se ne distaccano per ingrossare le fila del movimento promosso da Lopez Obrador. E promuove diverse iniziative, anche di carattere internazionale, come il primo incontro continentale dei movimenti indigeni.

Il discorso di Marcos di cui ci occupiamo in questo articolo conclude, credo, un percorso tracciando un bilancio e soprattutto mettendo l’accento sul problema più importante: il rapporto della sinistra con il potere.

Un problema irrisolto, vista l’esperienza storica. Ma sul quale vale davvero la pena di considerare l’esperienza zapatista dismettendo una volta per tutte la presunzione eurocentrica secondo la quale gli indigeni sono meritevoli di solidarietà ma non hanno nulla di interessante da dire.

Ovviamente io penso che gli zapatisti non siano un modello, tanto meno che siano l’avanguardia da seguire. Ma insisto nel dire che i temi del potere, dell’autogoverno reale, della democrazia diretta, della critica dell’organizzazione militare, della critica del realismo elettoralista, della necessità di un movimento mondiale, siano temi imprescindibili per la rifondazione comunista e più in generale per ridare un senso alla parola sinistra.

Non credo ci voglia molto a capire come il potere sia stato in grado di digerire la sinistra in europa e di quanta indigestione di potere abbia fatto la sinistra.

Forse, al di la delle ossessioni elettorali (che non sono solo dei partiti ma anche di gran parte delle organizzazioni sociali), è necessario aprire una discussione lunga e approfondita senza la paura di rompere con comodi luoghi comuni del passato e senza illudersi che l’aggettivo nuovo (che non per caso gli zapatisti, pur essendo una realtà assolutamente nuova rispetto alle precedenti esperienze, non usano mai) possa risolvere i nostri problemi.

di Ramon Mantovani

source:
http://ramonmantovani.wordpress.com/2008/10/29/gli-zapatisti-la-digestione-del-potere-e-la-sinistra/
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