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Odio per gli immigrati, chiamiamolo razzismo. Ormai è cultura di popolo


di Tonino Bucci


Il sindaco leghista di Coccaglio, provincia bresciana, manda i vigili nelle case degli stranieri residenti per controllare se sono in regola col permesso di soggiorno. A San Martino dall'Argine, venticinque chilometri da Mantova, l'amministrazione comunale Lega-Pdl ha firmato e diffuso un manifesto in cui invita la popolazione a denunciare eventuali «immigrati clandestini» presenti sul territorio. E, se non bastasse, a Milano la Regione Lombardia ha promosso il progetto di vigilanza di quartiere sostenuto dal Pdl lombardo (qualcuno dice in concorrenza con le ronde leghiste) perché siano gli stessi cittadini residenti a segnalare «auto e persone sospette».
Casi di cronaca, ma non solo. L'equazione immigrato uguale clandestino uguale criminale è l'asse della politica della destra nelle amministrazioni locali. Si potrebbe minimizzare la questione dicendo che Lega e Pdl fanno demagogia e alzano il tiro della propaganda per uscire dal logoramento dei rapporti interni alla maggioranza di governo. Per guadagnare qualche consenso in più. L'impressione, invece, è che ci sia dell'altro. Che il razzismo non riguardi più soltanto la propaganda di qualche forza politica (minoritaria o no, poco importa) e che sia ormai entrato nella (sotto)cultura di massa di questo paese per diventarne una componente costitutiva. Lo dimostra il fatto che i sindaci leghisti non hanno alcun bisogno di mascherare le politiche razziste con l'alibi della sicurezza. Cacciare via gli immigrati, anzi, è cosa da rivendicare apertamente se ci si vuole mettere in linea con gli umori popolari. Ne parliamo con Annamaria Rivera, antropologa e docente di Etnologia all'università di Bari.

Fioccano iniziative sul modello di Coccaglio. Segno che ad esse fa riscontro un'adesione popolare. O no?
L'iniziativa della Regione Lombardia dimostra in modo perfetto ciò che vado sostenendo da tempo. La "comunità razzista" è anche un surrogato della comunità solidale. Laddove si sono inaridite le relazioni sociali basate sulla reciprocità e la solidarietà, laddove non c'è più buon vicinato perché è prevalsa la cultura dell'individualismo, del consumismo, dell'egoismo, del sospetto verso chiunque "altro", attecchisce l'ideologia leghista. Che offre non solo un surrogato di socialità ma anche identitario. Il "noi" si coagula così intorno al sentimento dell'avversione verso gli "estranei", verso gli occupanti abusivi del "nostro territorio". Parafrasando Michel de Certeau, si potrebbe dire che l'identità degli "altri", drammatizzata, serve a compensare la propria indifferenziazione. L'immigrato diventa l'antidoto dell'anonimo.

I territori non sono luoghi del buon vicinato. Anzi, l'unico legame tra residenti è la paura per l'immigrato. Non è così?

Un tempo i rapporti di vicinato erano uno dei pilastri della socialità e della costruzione di comunità solidali. E' davvero paradossale che essi vengano riproposti in funzione sicuritaria e xenofobica.Laddove si è spento o attenuato il conflitto di classe, il conflitto prende di mira il compagno di lavoro, il "meteco", più vulnerabile perché privo di diritti di cittadinanza. Anche questo può contribuire a spiegare perché tanti operai votino per la Lega Nord: è il principale imprenditore della xenofobia, che promette di difendere i loro interessi contro quelli degli ultimi arrivati.

Il razzismo è oggi cultura di massa?

Non è la prima volta nella storia che dei ceti popolari si fanno interpreti attivi delle campagne xenofobiche contro gli ultimi arrivati o i "nemici interni". Basta ricordare, fra i tanti, il pogrom del 1893 ad Aigues-Mortes che fece morti e feriti fra i lavoratori italiani delle saline. Gli esecutori materiali di quel pogrom furono degli operai francesi. E quanto al nazismo tedesco, sappiamo bene che le posizioni ultranazionaliste e antisemite avevano conquistato non solo gruppi conservatori ma anche una parte delle classi popolari, colpite dalla terribile crisi economica che agitava il paese.

Forse il razzismo ha conquistato le classi popolari perché non ci sono altri modelli culturali, no?

Io credo che la situazione italiana odierna sia caratterizzata dalla saldatura fra razzismo istituzionale e razzismo "ordinario" o popolare. In certe aree del Nord sembra essere anche una connessione "sentimentale". Non voglio sostenere che la xenofobia o il razzismo riguardino la maggioranza delle classi popolari. Ma certo una parte di esse, non rappresentata e privata della lingua del conflitto sociale, indirizza la propria frustrazione, rabbia, rancore verso lo straniero, che diventa il capro espiatorio.

Il ruolo della Lega nella costruzione di un razzismo popolare è innegabile. Non dovremmo parlare di un partito con chiari accenti nazisti?

E' soprattutto il leghismo che ha offerto un codice alternativo a quello del conflitto sociale. Per questo non può essere derubricato a fenomeno goliardico. La Lega ha esercitato ed esercita una pedagogia di massa e per le masse. Ha reso dicibile ciò che era indicibile, ha detabuizzato l'interdetto della razza. E lo ha fatto pescando a man bassa nei repertori più classici del razzismo, fino a quello nazionalsocialista. Il leghista Salvini, che afferma che i topi sono più facili da debellare degli zingari perché sono più piccoli, ripete, credo consapevolmente, una delle metafore zoologiche più tipiche dell'antisemitismo nazista.

E' esatto parlare di razzismo quando non è in gioco un'esplicita dottrina della razza fondata su tratti somatici? O il termine ha un significato più largo?

E' molto riduttivo, per non dire altro, sostenere che si può parlare di razzismo solo in presenza di una dottrina delle gerarchie fra le razze, intese in senso biologico, oppure in presenza di una fissazione sulle differenze somatiche. Anche perché nel discorso neorazzista categorie come "etnia" o "cultura" possono essere sostituite a "razza" con lo stesso significato e funzione. E di fatto questo avviene… "Non c'è razzismo perché non c'è dichiarata superiorità di una razza su un'altra" è un luogo comune, che di tanto in tanto riemerge, anche per opera di studiosi o comunque persone colte. Lo ha riproposto di recente il presidente della Camera, la cui evoluzione nel senso dei principi liberali pure è apprezzabile. Il dibattito sul neorazzismo ha quasi quarant'anni. Nel lontano 1972, una grande studiosa francese, Colette Guillaumin, in un bel libro sull'ideologia razzista, mai tradotto in Italia, aveva sostenuto che quel che conta sono i processi di "razzizzazione", cioè di considerazione e trattamento degli "altri" come se appartenessero a razze inferiori. E avvertiva che qualunque gruppo può essere razzizzato, indipendentemente dalla sua differenza somatica o culturale. Basta pensare all'antisemitismo. Ma anche il razzismo contemporaneo funziona così: in Italia di volta in volta vengono razzizzati gli albanesi, gli "slavi", gli "islamici", i rumeni, i rom…

Termini come "xenofobia" non sono altrettanto validi quanto "razzismo"?

Il luogo comune del quale ho detto interdice la possibilità di comprendere il razzismo contemporaneo, perfino di coglierlo, alimentando una sorta di negazionismo. Certo, a creare confusione c'è anche l'etimologia di "razzismo". Dovremmo sforzarci di inventare un'altra parola, ma non riduttiva come "xenofobia" o "intolleranza". Per me la parola "razzismo" indica un sistema di idee, norme e pratiche sociali. Un sistema che attribuisce a dei gruppi umani differenze essenziali, generalizzate, definitive, naturali o quasi-naturali, allo scopo di legittimare pratiche di stigmatizzazione, discriminazione, sfruttamento, segregazione, esclusione o sterminio. E' una definizione approssimativa, come tutte le definizioni. Ma almeno coglie uno dei dispositivi-cardine del razzismo: la naturalizzazione, cioè la riduzione a natura di ciò che è sociale, culturale, storico. Quella di Salvini non è solo una boutade o una metafora: penso che egli sia convinto dell'inferiorità naturale e della sterminabilità degli "zingari" come dei topi.

C'è una sottovalutazione del fenomeno?

Avere una buona teoria del razzismo può aiutare non solo a riconoscerlo, ma anche a dargli il giusto peso e a combatterlo. Io ritengo che la gravissima crisi democratica italiana si manifesti soprattutto attraverso la forma del razzismo, come ha scritto fra gli altri Giuseppe Prestipino. Non conviene sottovalutarlo. Sarebbe ugualmente nefasto sottovalutare come goliardia venata da xenofobia l'ideologia e la politica della Lega. Le nuove leggi razziali (il pacchetto-sicurezza) sono in una certa misura il risultato del ricatto e dell'oltranzismo leghisti. Perfino quello che chiamiamo "razzismo democratico" è stato influenzato dall'opera di avvelenamento quotidiano svolto dalla Lega.


Liberazione 24/11/2009