Tunisie-secret, 9 maggio 2013 (trad.ossin)



Sportivi francesi testimoniano: il Qatar è un emirato schiavista
Karim Zmerli e Lilia Ben Rejeb


Quattro testimoni francesi parlano del loro calvario nel paese di Sheikha Mozah e di suo marito, lo sceicco Hamad. Umiliati, disincantati e trattenuti contro la loro volontà, sono attualmente in conflitto con dei beduini senza fede né legge e nell’indifferenza delle autorità francesi. A titolo di informazione, vi sono 3366 francesi residenti in Qatar, di cui 1188 sono minorenni! 


Sono giocatori, allenatori o preparatori fisici. Sono andati in Qatar per guadagnare dei soldi col loro talento e le loro competenze. Rimpiangono oggi amaramente di averlo fatto e non chiedono altro se non di poter lasciare al più presto questo emirato canaglia e schiavista. Il canale televisivo Canal Plus li ha intervistati. Testimonianze raccapriccianti di Zahir Belounis, Stephane Morello, Jean Godeffroye e Abdeslam Ouaddou. Diverse decine di persone si trovano nella stessa situazione.

Questo documento di Canal Plus è un segnale di allarme per i Francesi in generale e soprattutto per quelli di origine maghrebina. Per guadagnare dei soldi, rischiate di perdere la vostra dignità, la vostra libertà e la vostra umanità. Il Qatar, che alcuni media francesi vi descrivono in modo del tutto non vero come un Eldorado, non è quello che scoprirete una volta arrivati. Questa propaganda, che il Qatar diffonde grazie al denaro e alla sua potente rete politica e mediatica francese, di sinistra come di destra, ha spezzato dei sogni e distrutto delle famiglie. Prima di farvi prendere da un’utopia che rischia di trasformarsi in un incubo, fate tesoro della considerazione del Primo ministro Jean-Marc Ayraut: “Il Qatar? Prima di andarci, ci penserei bene”.


Zahir Belounis: “Voglio andarmene”
Ex centrocampo di Noisy Le Sec, dell’Ile Rousse e di  Saint-Lô, passato per la Malesia (Melaka TMFC) e la Svizzera (la Tour-Le Pâquier), Zahir Belounis  viene attualmente trattenuto in Qatar insieme alla moglie e due figli. Questo giocatore franco-algerino, assunto dalla squadra dell’esercito, Al-Jaish, della quale è stato capitano, è oggi privato dei suoi diritti e della libertà di lasciare il territorio del Qatar. I beduini gli hanno rubato il contratto e, in cambio della libertà di tornarsene in Francia, il direttore sportivo del club Al-Jish, Youssef Dasmal, gli impone la firma di un documento col quale rinuncerebbe ai due anni di salario che i Qatariani gli debbono. “Mi hanno impedito di vivere il mio sogno”, si indigna oggi questo giocatore che i beduini vogliono ridurre al silenzio con la complicità passiva delle autorità francesi e il silenzio assordante dei media francesi.


Stephane Morello: “Sono un ostaggio che non conosce nemmeno l’ammontare del riscatto!”
Originario di Saumur, 52 anni passati, questo allenatore sportivo non percepisce il salario da più di tre anni. Come molti altri, questo ex allenatore del Romorantin è andato in Qatar per fare fortuna grazie alla sua esperienza in campo calcistico. Aveva firmato un contratto con il comitato olimpico del Qatar, mediamente 6000 dollari al mese. Sono più di tre anni che non prende un centesimo. In giudizio contro il suo datore di lavoro imbroglione, continua a sperare di poter vincere la causa in un emirato nel quale la giustizia è agli ordini della famiglia regnante. “Non posso fare il mio lavoro, non posso andare a lavorare altrove, non posso lasciare il territorio, non posso fare niente… Sono cinque anni che non posso uscire dal Qatar… Ho l’impressione di essere un ostaggio e non conosco nemmeno l’ammontare del riscatto”, dichiara questo cittadino francese il cui paese intrattiene i migliori rapporti con l’emirato beduino.


Jean Godeffroy: “Una volta in Qatar, non si può più lasciare questo paese liberamente”
Il caso di Jean Godeffroy è meno tragico di quello degli altri ostaggi in Qatar. Questo ex preparatore fisico del prestigioso PSG (Paris Saint-Germain) ha dovuto rinunciare a nove mesi di salario per poter lasciare l’Eldorado qatariano. Anche lui aveva sperato di fare fortuna ma, come dice lui stesso, un bel giorno, “un venerdì mi hanno telefonato annunciandomi che il lunedì successivo avrei dovuto levarmi di torno”! Ha dovuto rinunciare ai suoi diritti per ottenere il prezioso “permesso di uscita” che il datore di lavoro schiavista rilascia a sua discrezione. Oggi libero e residente a Bastia, testimonia della sua disavventura perché altri non finiscano vittime delle proprie illusioni e di una immagine del Qatar sapientemente montata da alcuni media francesi.


Abdeslam Ouaddou: “E’ schiavismo puro e semplice”

Giocatore di pallone professionista di origine marocchina, ex della squadra di Nancy, è stato reclutato dal “Qatar Sport Club”, secondo club del proprietario del PSG. Quell’anno, racconta un giornalista francese, la squadra nella quale giocava Ouaddou, il Lekhwiya, vinceva il campionato nazionale. Prima della seconda stagione, Abdeslam Ouaddou viene  informato che deve giocare per un altro club. Egli contesta, ma finisce con l’accettare. Un anno dopo, gli viene chiesto di rinunciare al suo contratto, che pure ha una validità di ancora un anno! Il suo datore di lavoro ha cessato di corrispondergli lo stipendio nel luglio 2012, mentre il suo contratto sarebbe scaduto il 12 luglio 2013. Nel giornale Le Monde del 22 aprile 2013, Ouaddou confidava: “Nel 2010, mi sono impegnato per due stagioni col club qatariano Lekhwiya, che appartiene allo sceicco al-Thani, proprietario anche del PSG. Al termine della prima stagione, nella quale abbiamo vinto il campionato, sono rientrato in Francia per le vacanze e, al mio ritorno, tutto si è complicato. I dirigenti mi hanno comunicato che dovevo lasciare il club, senza la minima spiegazione. In un primo momento pensavo fosse uno scherzo. Ma mi sono presto reso conto che colui che mi parlava non scherzava affatto. Ho cercato di capire, di discutere. Ma non c’è stato niente da fare: “E’ un ordine del principe. E gli ordini del principe non si discutono”.


Facendo ricorso alla FIFA, è riuscito a ottenere il documento “permesso di uscita”, il famoso visto di uscita, dovendosi in cambio impegnare a rinunciare al ricorso e ai suoi diritti. “Il giorno in cui siete meno in forma, possono semplicemente smettere di pagarvi o dirvi di andarvene. Non bisogna nascondersi dietro un dito, si tratta di schiavismo puro e semplice”, afferma Abdeslam Ouaddou. Vivendo oggi a Namcy, lancia questo appello ai futuri candidati all’Eldorado qatariano: “Quello che più mi dà fastidio è il contrasto tra quanto accade laggiù – perché io vi ho vissuto per due anni e mezzo – e l’immagine che vogliono dare di sé in occidente e in particolare in Francia, grazie al PSG… Io voglio veramente aprire gli occhi ai giocatori che intendono recarvisi. Non si tratta dell’Eldorado che si immagina”!


Philippe Bogaert e Nasser Beidoun, altre vittime dell’emirato canaglia
Lo sport non è l’unico settore in cui si contino delle vittime. Nel 2008, un produttore di nazionalità belga, Phlippe Bogaert, è restato quasi un anno ostaggio dei miliardari beduini. E’ rimasto incastrato in un ingranaggio finanziario e giudiziario interminabile. Era il direttore di una società qatariana che è fallita a causa di un enorme insoluto. A causa di questo fiasco (in italiano nel testo, ndt) che non può imputarsi a sue responsabilità dirette, egli è stato citato in giudizio dal suo sponsor, che era l’azionista di maggioranza della società in questione. Gli hanno chiesto milioni di dollari per il fallimento e i danni patiti! Tenuto in ostaggio per 11 mesi in Qatar, il quadro belga è riuscito finalmente a evadere a bordo di un veliero verso Bombay, in India.
Uno scenario degno di un film hollywoodiano. Secondo questo produttore cinematografico, “dietro lo sponsor si nasconde uno schiavismo puro e semplice. Voi siete completamente dipendenti da lui”. Schiavitù pura e semplice, la stessa espressione usata da Abdeslam Ouaddou!


Altra vittima del miraggio qatariano, il caso di Nasser Beidoun, di una cinquantina d’anni, che si è trovato anche lui  ad essere ostaggio nell’emirato qatariano, per ragioni simili a quelle di Philippe Bogaert. Questo Statunitense di genitori libanesi e originario di Detroit, ha vissuto un incubo che egli racconta sul suo blog dopo avere riacquistato la libertà. Grazie solo all’interessamento dei media e alla cittadinanza USA, Nasser Beidoun è riuscito a far valere i suoi diritti dinanzi alla “giustizia” qataraiana dopo due anni di battaglia giudiziaria. Come Abdeslam Ouaddou e Philipppe Bogaert, anche lui denuncia una forma di “moderna schiavitù”.


Ahmed, un tunisino di una trentina d’anni, ha forse avuto maggiore fortuna. Ingegnere informatico e residente in Francia, si è licenziato dalla sua azienda per lavorare in una impresa qatariana che gli aveva proposto un contratto vantaggioso, delle “condizioni da sogno”, come dice lui stesso. Ahmed si licenzia, sua moglie giornalista rifiuta un posto “in una grande emittente”, tutti e due vendono i loro mobili… per andare a istallarsi nel paradiso qatariano. Ma poco tempo prima del grande viaggio, la giovane coppia riceve una mail che annuncia loro che non è stato concesso il visto di ingresso. Motivo: Ahmed è di nazionalità tunisina e la quota per questo paese è stata superata.


In Qatar le vittime si contano a migliaia
Se questo emirato dalle pratiche schiaviste e mafiose tratta in questo modo degli uomini di affari statunitensi e dei giocatori e allenatori, Francesi peraltro, che cosa dire delle migliaia di lavoratori asiatici o arabi? Su una popolazione di due milioni di abitanti, l’80% sono lavoratori, vale a dire degli schiavi moderni la cui maggioranza (asiatica) viene pagata tra i 400 e i 600 euro al mese. Secondo Human Rights Watch, nel 2010 in Qatar sono morti 191 lavoratori nepalesi, e altri 98 di nazionalità indiana sono morti nel 2012. Incidenti di lavoro “ordinari” in un paese in cui il diritto del lavoro non esiste. Quasi un migliaio di lavoratori si trovano in prigione, condannati a pene pesanti per aver chiesto degli aumenti o un miglioramento delle condizioni di lavoro.


Non sono lavoratori e scontano attualmente delle pene detentive in Qatar. Uno è qatariano, l’altro è tunisino. Il primo, Mohammed Al-Ajami è stato condannato nel novembre 2011 a 15 anni di prigione per un poema letto dalla “giustizia” come un invito al rovesciamento della dittatura qatariana; il secondo, Mahmoud Bounab, ex direttore di Al Jazeera Children, è in prigione dal settembre 2011 in attesa della revisione del processo.


Nabil Ennasri, il gentile dottorando al servizio dello spregevole piccolo Qatar
E’ a questo emirato dalle pratiche mafiose e schiaviste che è stata affidata l’organizzazione della Coppa del Mondo 2022. La famosa vicenda del Qatargate, che è stata rivelata dal magazine France Football il 29 gennaio 2013. “Come hanno fatto a comprare il Mondial 2022”? Si chiedeva questo magazine. L’11 gennaio 2013, Europe 1 rivelava già che Zinedine Zidan aveva già ricevuto quasi 11 milioni di euro per avere sostenuto la candidatura del Qatar. E non è stato il solo.


E’ tutto il contrario dello scenario qatariano che alcuni mercenari o propagandisti in Francia presentano come uno Stato rispettabile e come una democrazia in costruzione. Tra le figure più in vista di questa propaganda islamo-wahabita, il Fratello Mussulmano Nabil Ennasri, dottorando francese di origine marocchina che ha dedicato il suo lavoro “universitario” al vernissage del quadro qatariano in Francia. Dopo questa prodezza pittorica, è ormai implicitamente candidato in Europa al posto di “predicatore mediatico”, fino ad oggi occupato da Tariq Ramadan, che è stato chiamato ad altre “funzioni strategiche” presso sua altezza reale,  Sheikha Mozah! Questo inferno dello scenario qatariano è stato magistralmente descritto da Nicolas Beau nel suo ultimo libro, “Le vilain petit Qatar. Cet ami qui nous veut du bien”, pubblicato da Fayard.

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