Stampa

 

Middle east eye, 15 maggio 2021 (trad. ossin)
 
Da Balfour alla Nakba: la pulizia etnica della Palestina
Ilan Pappe
 
Nel marzo 1948, i leader ebrei produssero il piano Daleth che, penso, mirasse chiaramente alla sistematica soppressione dei Palestinesi di Palestina
 
I membri del gruppo paramilitare Haganah scortano i Palestinesi espulsi da Haifa dopo che le forze ebraiche ne avevano preso il controllo nell'aprile 1948 (AFP)
 
L'eminente specialista del colonialismo con sostituzione etnica, Patrick Wolfe, ormai scomparso, ci ha più volte ricordato che non si tratta di un evento, ma è una struttura. Anche se questa forma di colonialismo ha in molti casi un punto di partenza storico, le sue motivazioni originarie ne determinano i caratteri successivi.
 
In generale, tali progetti coloniali si ispirano a quella che Wolfe definisce « la logica dell’eliminazione dell’indigeno ». L’aspirazione dei coloni a creare una nuova patria si scontra quasi inevitabilmente con quelle della popolazione autoctona locale.
 
In alcuni casi, questo scontro produce l’eliminazione fisica delle popolazioni indigene, come è accaduto nelle Americhe e in Australia; in altri, come in Africa del Sud, i coloni isolano la popolazione autoctona in zone chiuse ed impongono un sistema di apartheid.
 
Il sionismo in Palestina è un progetto di colonizzazione con sostituzione etnica, e Israele continua ancora oggi ad essere uno Stato coloniale. Se questa interpretazione è oramai largamente accettata nel mondo accademico, essa viene ancora respinta dagli universitari israeliani tradizionali.
 
Il 2 novembre 1917, Arthur Balfour, allora ministro britannico degli Affari esteri, approvò l’idea di un « focolare nazionale per il popolo ebreo » senza « pregiudizio per i diritti civili e religiosi delle popolazioni non ebraiche in Palestina ». Per quanto questa formula lascerebbe intendere che gli ebrei costituissero allora la maggioranza in Palestina, in realtà essi rappresentavano solo il 10 % della popolazione.
 
La errata rappresentazione della realtà palestinese nella dichiarazione Balfour ci mostra fino a quel punto il paradigma colonialista con sostituzione etnica sia applicabile al caso del movimento sionista in Palestina.
 
Il movimento dei coloni ottenne l’appoggio di una potenza coloniale e imperiale – che rinnegherà a partire dal 1942 – e percepiva la popolazione locale come – nella migliore delle ipotesi – una minoranza tollerata, nella peggiore, degli usurpatori. La Gran Bretagna accordò una legittimità internazionale a questo atto di colonizzazione, gettando i semi della futura pulizia etnica della popolazione indigena.
 
Numerosi storici considerano la dichiarazione Balfour come frutto di una strategia britannica. Essa tendeva a evitare una Terra santa musulmana e anticipava le mosse di altre potenze europee che avrebbero potuto sostenere i disegni sionisti.
 
In realtà l’appoggio britannico alla creazione di una patria ebraica in Palestina affonda le sue radici nel dogma sionista cristiano evangelico, che già si diffondeva agli inizi del XIX secolo sulle due sponde dell’Atlantico. Il colonialismo con sostituzione etnica era penetrato in America del Nord e in Africa ben prima della dichiarazione Balfour.
 
Indifeso e senza leader
 
Il ramo britannico del sionismo cristiano si concentrò più particolarmente sul significato religioso di un « ritorno » ebraico in Palestina – condizione per la seconda venuta del Messia. Questa ideologia millenarista influenzava i maggiori politici britannici all’epoca della dichiarazione Balfour, compreso l’allora Primo Ministro, David Lloyd George.
 
Il legame tra Impero britannico, il sionismo e altri progetti coloniali diventò ancora più evidente negli anni che seguirono la dichiarazione Balfour. Quest’ultimo divenne un fattore cruciale nella storia del paese quando diventò parte integrante del mandato sulla Palestina, conferito alla Gran Bretagna dalla Società delle Nazioni.
 
I palestinesi fuggono dal villaggio di Qumiya durante la Nakba nel 1948 (Archive / Palestine Remembered)
 
La sua importanza crebbe ulteriormente con la nomina di Herbert Samuel, un ebreo inglese filo-sionista, alla carica di primo Alto Commissario in Palestina. Immediatamente dopo il suo arrivo nel 1920, Samuel prese delle misure che consentirono al movimento coloniale di far giungere in Palestina ancora più coloni e di ampliare la loro presenza acquistando terre, soprattutto da proprietari assenti.
 
Il movimento nazionale palestinese era all’epoca sufficientemente organizzato per resistere in diverse forme, popolari e violente. Vulnerabile, la colonia ebraica venne nei primi anni protetta dai Britannici, che svolsero un ruolo particolarmente importante nel corso della rivolta palestinese del 1936-1939, che l’Impero britannico schiacciò con tutta la sua forza.
 
La repressione violenta provocò la distruzione dell’élite militare e politica palestinese - molti dei cui elementi vennero uccisi, feriti o espulsi – lasciando la società palestinese indifesa e senza leader nel momento in cui ne avrebbe avuto maggior bisogno, nel 1948.
 
Ipocrisia occidentale
 
C’è un filo diretto che lega la vaga promessa britannica fatta al movimento sionista un secolo fa alla catastrofe (« Nakba ») che colpì il popolo palestinese nel 1948. Taluni decisori politici britannici si sono poi mostrati dubbiosi circa la validità della dichiarazione Balfour. Nel 1930, pensarono addirittura di ritirarla, ma rapidamente abbandonarono l’idea di un rivolgimento così spettacolare.
 
Nel 1939, i leader britannici tentarono di porre limiti all’immigrazione ebraica in Palestina e all’acquisto di terre, ma furono aspramente criticati a causa dell’affermazione del nazismo e del fascismo, che avevano trasformato la Palestina in uno dei rari rifugi per gli ebrei che fuggivano dall’Europa. Le critiche venivano da un mondo occidentale ipocrita che fece pochissimo per salvare gli ebrei durante l’olocausto o per aprire le loro porte ai sopravvissuti immediatamente dopo la guerra.
 
I Britannici dovettero accettare il verdetto internazionale secondo cui gli ebrei europei dovevano essere indennizzati, permettendo al movimento sionista di colonizzare ancor di più la Palestina. Diventarono ugualmente i nemici del movimento sionista. Queste pressioni, associate al declassamento della Gran Bretagna da potenza mondiale ad attore di secondo piano sulla scena internazionale, la indussero nel 1947 a devolvere alle Nazioni Unite la questione della Palestina.
 
In ogni caso, la Gran Bretagna ha continuato ad essere responsabile dell’amministrazione e del mantenimento dell’ordine dal febbraio 1947 al maggio 1948 e, in tale ruolo, essa fu testimone, restò indifferente, e si fece talvolta complice del risultato finale e disastroso della dichiarazione Balfour, vale a dire della pulizia etnica dei Palestinesi nel 1948.
 
Il piano di pulizia etnica
 
La decisione britannica fu un incitamento per i leader militari e politici della comunità ebraica a concepire la loro propria versione della « logica di eliminazione dell’indigeno ». Nel marzo 1948, i leader ebrei produssero il piano Daleth che, penso, era chiaramente inteso alla sistematica soppressione dei Palestinesi in Palestina.
 
L’importanza del piano sta nel modo in cui esso fu tradotto in un insieme di ordini operativi trasmessi alle forze ebraiche nel marzo, aprile e maggio 1948. L’essenza di questi ordini era di occupare i villaggi, le città e i quartieri, di espellere i loro abitanti e, nel caso dei villaggi, di fare esplodere le case per impedire qualsiasi ritorno.
 
I Britannici erano già in procinto di ritirarsi da talune parti della Palestina, quando fu avviata questa pulizia etnica, ma erano presenti negli spazi urbani, dove si registrarono i casi più eclatanti di pulizia etnica. I Britannici agirono come osservatori e mediatori, ma non intervennero quando gli sfollati in partenza vennero bombardati dagli ebrei sulla strada verso il porto.
 
E’ una pagina di storia vergognosa, vergognosa quanto la dichiarazione stessa di Balfour. Alla fine delle operazioni, la metà della popolazione palestinese era stata espulsa, la metà dei suoi villaggi demolita e la maggior parte delle città restavano spopolate. Su quelle rovine, Israele ha costruito i suoi kibbutz, ed ha piantato pini europei, per tentare di eliminare anche la natura araba della Palestina.
 
La strada da seguire
 
La Gran Bretagna riconobbe abbastanza presto lo Stato ebraico e contribuì ancor più alla catastrofe palestinese, sostenendo la divisione della Palestina post mandato tra Giordania e Israele. Inoltre i Britannici fecero tutto quello che era in loro potere per impedire la nascita di uno Stato palestinese, anche solo in una parte della Palestina. La distruzione della Palestina diventò la conseguenza inevitabile della dichiarazione Balfour.
 
Il piano sionista di colonizzazione con sostituzione etnica non è però riuscito bene come quello statunitense o australiano, e potrebbe fare la fine di quello sudafricano. E’ troppo presto per dirlo, ma il ricordo di quanto avvenuto consente di comprendere perché esiste un conflitto tra Palestina e Israele e quale dovrebbe essere – almeno in linea di principio – la strada da seguire per risolverlo.
 
- Ilan Pappé è professore di storia, direttore del Centro europeo di studi sulla Palestina e co-direttore del Centro di studi etno-politici di Exeter, all’Università di Exeter.
 
 
Ossin pubblica articoli che considera onesti, intelligenti e ben documentati. Ciò non significa che ne condivida necessariamente il contenuto. Solo, ne ritiene utile la lettura