Missione in Niger dal 1 al 10 settembre 2010

Dal 1 al 10 settembre 2010, OSSIN ha svolto una missione in Niger, nel corso della quale ha avuto molti e importanti incontri con esponenti istituzionali e della società civile.
Il 7 settembre il presidente di OSSIN, Nicola Quatrano, è stato ricevuto dal Presidente dell’Assemblea Nazionale (attualmente Conseil Consultatif National), Marou Amadou. L’8 settembre è stato poi ricevuto dal Primo Ministro, Mahamadou Banda  e dal Capo dello Stato, Generale di Corpo d’armata Djibo Salou.
Nel corso di tutti questi incontri, Nicola Quatrano era accompagnato da Moustapha Kadi, militante nigerino per i diritti dell’uomo, presidente del Collectif des organisations de défense des droits de l’Homme et de la démocratie (CODDHD), che i lettori di OSSIN conoscono già quale autore del libro “Un tabou brisé”, sulla schiavitù in Niger.
La missione è poi proseguita nel villaggio di Tajaé Nomade, nella regione di Tahoua (circa 600 chilometri dalla capitale), dove vi è stato un incontro con schiavi ed ex schiavi.





La situazione politica e istituzionale
di Nicola Quatrano

Il Niger è il paese più povero del mondo, ma vanta anche altri record: il più alto tasso di fecondità nel pianeta, la più grande superficie dell'Africa occidentale (due volte la Francia) per circa dodici milioni di abitanti e 789 chilometri in tutto di strade asfaltate.
Passando alle cifre, la sua superficie è di 1.267.000 Km quadrati. E’ attraversato dal fiume Niger, che scorre per 600 km all’interno del territorio, nella parte ovest. Non ha sbocchi al mare. Ha una popolazione di 1.070.000 abitanti (secondo l’ormai lontano censimento del 2001), con un tasso di crescita demografica del 3,3%.
E’ abitato da diversi gruppi etnolunguistici. Il più numeroso è quello degli Haussa, che rappresentano più della metà della popolazione. E poi a seguire: Zarma Songhai, Tuareg, Peul, Kanuri, Arabi, Gourmantché, Buduma. L’elemento unificante è costituito dalla comune religione mussulmana, praticata dal 98% della popolazione.
La maggior parte della popolazione vive nelle zone rurali e sono poche le grandi città. Le principali sono: Niamey, la capitale, Zinder, Maradi, Dosso, Tahoua, Agadez, Tillabery e Diffa, che costituiscono i capoluoghi delle otto regioni nelle quali il Niger è diviso dal punto di vista amministrativo.

Negli ultimi anni, questo paese è balzato agli onori della cronaca internazionale per il suo uranio (si ricorderà la bufala montata dai servizi di intelligence inglesi – e forse anche italiani – sulla partita di uranio nigerino acquistata da Saddam Hussein, che servì ad accelerare l’avvio delle operazioni militari contro l’Iraq), per la siccità e le successive inondazioni e per l’insediamento di AlQaida nel Maghreb islamico nel Nord del paese, ai confini con il Mali, e i sequestri di turisti occidentali cui è ricorsa per finanziarsi.
Attualmente il Niger è governato da un Consiglio Supremo per il Ripristino della Democrazia (CSRD), presieduto dal generale dell'esercito Salou Djibeo, che svolge funzioni di capo dello Stato, dopo che un colpo di Stato militare, il 18 febbraio 2010, ha rovesciato il governo legittimo presieduto da Mamadou Tandja.
Una storia singolare quella di questo putsch, nella quale - come spesso accade, soprattutto in Africa - è difficile capire dove sono i torti e dove le ragioni.
I militari che hanno realizzato il colpo di Stato accusavano il presidente, oltre che di avere isolato sul piano internazionale il Niger e di avere finanziato copiosamente i capi degli ex ribelli tuareg, soprattutto di aver tradito le regole democratiche. Ed è per questo che oggi non si considerano dei golpisti, ma si definiscono "restauratori" della democrazia.
E in effetti occorre rilevare che il governo "di transizione" che hanno formato è composto di civili, persone generalmente assai stimate, espressione della società civile. Che hanno inoltre indetto subito le elezioni presidenziali, legislative e locali (che avranno luogo nel febbraio del prossimo anno e alle quali nessun membro del governo sarà candidato), mentre in novembre di quest'anno si svolgerà il referendum per approvare la nuova Costituzione che, per la prima volta, non sarà solo in francese (la lingua ufficiale in Niger), ma sarà tradotta anche nelle tre lingue locali.

Cause prossime e lontane
Bisogna anche dire che il presidente deposto, Mamadou Tandja, aveva davvero scontentato tutti (qualcuno insiste sul fatto che aveva soprattutto messo in allarme le cancellerie occidentali). Gli osservatori indicano comunque, tra le cause prossime e quelle lontane del colpo di Stato. una serie di questioni che cerchiamo di elencare.
Tra quelle "lontane", se ne ricordano tre: la crisi "Hama", dal nome del Primo Ministro Hama Amadou, che è stato dimissionato dal Presidente Tamdja e sostituito nella carica dall'ex ministro Seyni Oumarou. Vi è poi la crisi Tuareg, dopo una nuova insorgenza, nel 2007, della ribellione Tuareg che ha fortemente destabilizzato il governo di Niamey. Infine la crisi istituzionale, che è la più recente: nel giugno 2009, il presidente Tamdja si è messo in testa di cambiare la Costituzione per potersi candidare una terza volta alle elezioni e varare un sistema di governo di tipo presidenziale. L’Assemblea nazionale si è opposta e il presidente Tamdja l’ha sciolta, il 4 agosto 2009, avviando la riforma costituzionale.
Ma si ricordano anche le cause più “vicine”, prima delle quali le sensazionali dichiarazioni di Tamdja a proposito dell’uranio e della sua intenzione di avvicinarsi all’Iran. Circostanza che ha allarmato moltissimo l’Occidente, tanto più che il Niger è il 5° produttore mondiale di uranio.  Nonché il fastidio dell’Occidente per la stretta amicizia del presidente con la Cina di Hu Jintao.
In questa situazione di grande instabilità si è dunque arrivati al fatidico 18 febbraio. Tamdja doveva presiedere un Consiglio dei Ministri importante. Due giorni prima, infatti, era stato criticato nel corso di un summit della Communauté économique de l’Afrique de l’Ouest (CEDEAO) e gli si attribuiva l’intenzione di annunciare il ritiro del Niger da questa organizzazione, aggravando in tal modo l’isolamento diplomatico del paese.

Il golpe
Verso le 10, i putschisti decidono di agire. Sono segretamente riuniti all’interno della caserma della Compagnia di appoggio di Niamey, nella parte sud-ovest della capitale. Tra essi v’è il comandante Salou Djibo.
Alle 11 Tamdja apre la riunione. Sono presenti tutti i ministri e qualche membro del Gabinetto. Alle 12.55 si ode un colpo di pistola. Uno solo, poi più niente… Sembra un colpo sparato accidentalmente. Ma poco dopo si scatena l’inferno. Il Palazzo viene bersagliato dai colpi di mitraglia, i vetri esplodono e tutti si gettano per terra. Tamdja si rifugia nel suo ufficio, chiudendo la porta a chiave.
Telefona al suo capo di stato maggiore e gli ordina di mobilitare la Compagnia di appoggio di Niamey. Non sa che è proprio questa Compagnia che ha stretto d’assedio il palazzo presidenziale. Gli restano fedeli solo le Forces nationales d’intervention et de sécurité (FNIS), ma sono deboli e male armate. Il 19 febbraio la resistenza viene debellata, gli assalitori entrano nel Palazzo presidenziale e sfondano la porta dell’Ufficio di Tamdja. Il comandante della pattuglia gli dice: “Nel suo interesse, la prego di non opporre resistenza”.
Già alle 14 il colpo di Stato può considerarsi realizzato, anche se nessuno lo sa ancora. La radio e la televisione non ne parlano. Per qualche ora i partigiani di Tamdja diffondono la falsa informazione che i l capo dello Stato è stato liberato da truppe fedeli. Solo al calar della sera, quando la radio comincia a diffondere musica militare, le cancellerie capiscono che il putsch è riuscito. Comincia allora una lunga attesa. Un portavoce dei putschisti deve parlare alla televisione, ma si fa attendere. In realtà è in corso una vivace discussione presso la Compagnia di appoggio di Niamey, tra i capi militari che hanno realizzato il golpe.
Alla fine si raggiunge l’accordo: la giunta militare viene battezzata “Conseil Supreme pour la restauration de la démocratie” e, a sorpresa, viene designato come presidente il generale Salou Djibo.

La nuova giunta è stata accolta con grande simpatia dalla società civile nigerina, anche perché ha dato immediatamente vita ad un governo composto di prestigiosi esponenti di questa stessa società civile. Ha indetto nuove elezioni, alle quali nessuno dei militari putschisti, né dei membri del nuovo governo, figura tra i candidati.
Sembra dunque davvero che questi “strani” militari intendano mantenere fede all’impegno di “servizio” di restaurare la democrazia violata dal presidente deposto, senza alcun altro interesse che non sia quello del paese e della democrazia.

Gli incontri istituzionali
Incontriamo Marou Amadou, presidente del Conseil Consultatif National (l’attuale Assemblea legislativa), nel suo ufficio di Niamey il 7 settembre in mattinata.
Il “Consiglio” non è composto di eletti (l’ultimo Parlamento legittimo è stato sciolto dal Presidente deposto), ma da rappresentanti  designati dai partiti politici, sindacati, altre organizzazioni della società civile e nominati dalla Giunta Militare.
Marou Amadou è un uomo giovane (ha solo 38 anni), con un passato di oppositore politico (“Un anno fa di questi tempi ero in prigione”). Laureato in Giurisprudenza, ha fatto uno stage per diventare avvocato, ma il Consiglio dell’Ordine ha respinto la sua domanda di ammissione per ragioni politiche.
E’ poco cerimonioso e molto concreto, infine decisamente simpatico, con un frequente sorriso sulle labbra. Ci accoglie scherzando: “Se vi occupate dei diritti umani, conviene che trasferiate la sede sociale qui in Niger. Qui non vi mancherà mai il lavoro”. Poi ci parla dei problemi del Niger e dell’Africa, vittima del neocolonialismo. Ci parla dell’insicurezza alimentare che affligge il paese e che è il primo problema cui bisogna far fronte. “La democrazia – aggiunge scherzando – è una bella cosa, ma non è commestibile”.
Ci assicura infine che il referendum per l’approvazione della nuova Costituzione si terrà, come previsto, in novembre e che le elezioni  presidenziali, legislative e locali nei primi mesi del prossimo anno. E’ uno sforzo economico considerevole per le magre casse dello Stato, tanto che l’Unione Europea aveva consigliato di rinviare almeno quelle locali, ma per la Giunta sono proprio queste ultime ad essere strategiche, perché sono quelle  dalle quali spera possa emergere una nuova classe dirigente.
Va detto che fino ad ora le regioni erano governate da prefetti di nomina governativa e che è la prima volta che vengono istituiti nel paese organismi locali di governo democraticamente eletti.
Il giorno successivo incontriamo anche Mahamadou Banda, il Primo Ministro. E’ un uomo cordiale e schivo, non è un politico, ma espressione della società civile. Con lui parliamo di tutto, anche di argomenti “sensibili” come la sopravvivenza della schiavitù in Niger. Ci conferma che si tratta di una piaga ancora presente e ci invita a lavorare per estirparla, magari approfittando del “periodo di transizione” e della presenza di una giunta che non dipende dal voto dei notabili e delle classi che praticano la schiavitù.
Infine, lo stesso giorno, veniamo ricevuti anche dal capo dello Stato, il generale Salou Djibo. E’ anche lui cordiale e tiene a precisare di non avere ambizioni politiche, ma di essersi solo prestato al compito di restaurare la democrazia.

La società civile
In effetti va detto che abbiamo ascoltato poche critiche nei confronti della Giunta. Tra queste, soprattutto quelle di Ibrahim Manzo, giornalista, direttore di “L’Autre Observateur”, uno dei trenta giornali pubblicati a Niamey.
Lamenta soprattutto il fatto che, a distanza oramai di quasi sette mesi, il presidente deposto Tamdja Mamadou e l’ex ministro dell’interno Albadé Abouba sono ancora prigionieri ed in modo illegale.
Ci spiega, nel corso di un incontro avuto il 9 settembre, che l’arresto è stato disposto dai militari golpisti e che ancora oggi i due uomini non sono stati consegnati all’Autorità Giudiziaria. Essi sono stati quindi privati illegalmente della libertà. Cosa tanto più grave in quanto l’ex presidente ha più di 70 anni ed è malato ed ha bisogno di cure.
Ibrahim Manzo non contesta le colpe dei due uomini, tra l’altro riconosce che la giunta attuale garantisce alla stampa una libertà che il regime deposto non aveva mai permesso. Però – sostiene – non si possono accettare detenzioni arbitrarie. I due uomini devono essere processati oppure liberati.
E’ quanto pensa anche il nostro amico Moustapha Kadi: “C’è una situazione di detenzione extragiudiziaria. Il presidente e il ministro degli interni deposti sono agli arresti nel palazzo presidenziale. Io ho parlato col nuovo presidente e lui mi ha detto che sono loro che non vogliono essere giudicati dalla Giustizia ordinaria, perché questo significherebbe essere tradotti in una prigione e, in Niger, le carceri sono davvero terribili”. In ogni caso – aggiunge -”la mia posizione – che ho sinceramente confidato anche la presidente attuale – è che essi devono essere giudicati o liberati. Si può anche pensare ad una legge di amnistia, ma insomma bisogna tornare alla legalità”.
Ma Moustapha Kadi (e la gran parte della società civile nigerina) non sembrano affatto nutrire  un’opinione negativa nei confronti della nuova giunta. “Naturalmente – ci dice – in quanto difensore dei diritti umani, io non posso certo approvare un colpo di Stato… però anche il presidente deposto ne aveva fatto uno. Lui civile, gli altri militare”. E aggiunge: ”Il presidente deposto ha sciolto il Parlamento perché ostacolava i suoi progetti di riforma costituzionale, ha indetto un referendum che ha vinto con la frode e gli imbrogli… ha represso nel sangue le manifestazioni degli oppositori. Inoltre ha isolato il paese sulla scena internazionale: i partner finanziari e politici del Niger avevano sospeso tutti gli aiuti. Dunque i militari sono intervenuti per restaurare la democrazia e questo intervento ha trovato largo consenso”.

Non va dimenticato che il Niger è un paese di pochi abitanti, la gran parte dei quali analfabeti e completamente fuori da ogni gioco politico ed elettorale. Dunque queste questioni agitano solo una esigua minoranza della popolazione, l’elite cittadina. Tutti gli altri devono vedersela quotidianamente con ben altri problemi: primo tra tutti l’insicurezza alimentare.
(....segue)




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