Libération, 12 agosto 2010
Il tortuoso itinerario di un ostaggio
di Thomas Hofnung
Diventato militante umanitario in vecchiaia, Michel Germaneau aveva lavorato in settori sensibili
“Generoso”, “solitario”, “ingenuo”: sono questi i giudizi degli amici di Michel Germanaeau. Fine luglio, Al-Qaeda nel magre islamico (Aqmi) ha annunciato la morte dell’ostaggio francese, rapito in aprile nel Nord del Niger. Il suo corpo non è stato ritrovato e le circostanze della morte restano poco chiare. Chi era esattamente questo pensionato di 78 anni, celibe e senza figli? Cosa faceva nel Sahel? Passata la legittima indignazione provocata dalla sua morte, restano le domande. Ritorno su un itinerario singolare.
Cosa si sa esattamente di Michel Germaneau?
Al di là degli omaggi di circostanza, il ritratto più completo fino ad oggi è stato pubblicato sul sito Lepost.fr da un suo amico . Si apprende che Michel Germaneau è nato nel 1931 in Gironda, che ha una formazione di ingegnere elettrotecnico e che si è ritrovato, contro le sue intenzioni, sotto le armi durante la guerra d’Algeria. Sarebbe stato internato in un ospedale psichiatrico dopo avere fatto in modo di “perdere” il suo fucile.
Dopo questo episodio, Germaneau entra, alla fine degli anni 1950, nella Compagnie des machines Bull, che costruiva allora dei computer a transistor a banda magnetica. Poi passa alla Compagnie des signaux, un’impresa di alta tecnologia, che progettava sistemi militari sensibili. Tahiti, Brasile, Bangladesh, Gabon: fa la maggior parte della sua carriera all’estero. Ma non in un settore qualsiasi.
Secondo nostre informazioni, questo piccolo uomo magro e resistente è associato a programmi confidenziali. Come in Polinesia, dove avrebbe partecipato, secondo alcuni ex colleghi, alla realizzazione ed alla manutenzione di un dispositivo radioelettrico automatico che copriva l’insieme delle isole Tuamotu e Gambler. Una specie di sistema di allarme “anti-cadute radioattive”. La Francia ha realizzato dei siti atomici fino agli anni 1990 sull’atollo di Moururoa.
In Gabon lavora alla realizzazione di un sistema di radio telemisurazione su una piattaforma offshore del gruppo Elf. Partecipa anche alla costruzione della trans gabonese, un asse ferroviario che collega Libreville a Franceville, il feudo del presidente Omar Bongo. Questa linea è quella che da anni permette il trasporto del manganese e dell’uranio estratto nella regione, soprattutto da parte della Cogema, predecessore di Areva. Negli anni 1970, confida lo stesso collega, decide di trasferirsi a Marcoussis, nell’Essonne, dove conosce degli agenti del Servizio di protezione dei siti della CEA (Commissariato per l’energia atomica).
Come Michel Germaneau si è interessato al Niger?
All’inizio degli anni 1990, eccolo in prepensionamento. Ma per quest’uomo sportivissimo, amatore dello sci e delle escursioni, non si pone proprio la questione di chiudersi tra quattro mura a Marcoussis. Michel Germaneau continua a viaggiare.
Nel marzo 2006 va in Niger per assistere, nel deserto del Sahel, ad una eclissi totale di sole. In questa occasione conosce Yvonne Montico. Questa racconta: “Siamo rimasti in contatto con la nostra guida tuareg Abidine Ouaghi, che in seguito è diventato il nostro grande amico Dina. (…) Quando Dina ci ha parlato dei bisogni della popolazione di In-Abangharet, il suo villaggio di infanzia, per la scolarizzazione e la sanità, ci è nata un’idea. Michel, Dina e io stesso abbiamo deciso di creare un’associazione per rispondere a questi bisogni”.
Per amicizia verso una guida, che secondo le informazioni in nostro possesso lavorerebbe per un’agenzia di turismo a Tamanrasset, in Algeria, i due francesi si sarebbero dunque impegnati in questa missione caritatevole.
Ma resta un dubbio sulla reale data cui risale l’amicizia dell’ex ostaggio con “Dina”. Secondo due fonti nigerine, Michel Germaneau sarebbe legato alla famiglia di Abdine Ouaghi da antica data. “Conosceva benissimo suo padre e avrebbe addirittura visto nascere Dina”, fa sapere un ex capo ribelle tuareg, che si trova nel nord del paese. Ma noi non siamo riusciti a entrare in contatto con la guida di Michel Germaneau, perché Abdine Ouaghi ha fatto sapere a Yvonne Montico che non intende rispondere alle domande della stampa francese.
In che cosa consiste la sua azione umanitaria?
Dopo questo viaggio, viene dunque creata l’associazione Enmilal (“Endraide” in lingua tamasheq, quella dei Tuareg) Diretta da Yvonne Montico, che risiede nell’Isère, ha l’ambizione di costruire una scuola e un dispensario a In-Abangharet. La Francese ci va all’inizio del 2007. Ma, nel febbraio dello stesso anno, i ribelli tuareg del MNJ (Mouvement des Nigériens pour la Justice) prendono le armi contro il regime del presidente Mamadou Tandja. La regione viene considerata zona di guerra e posta sotto il controllo dell’esercito. Tuttavia resta possibile, arrangiandosi alla dogana, passare la frontiera dal territorio algerino. Cosa che fanno ad esempio anche i ribelli tuareg del MNJ.
Yvonne Montico spiega a Liberation di avere portato a termine il suo progetto recandosi a Tamanrasset per incontrare “Dina”, incaricato di seguire il progetto sul posto. E precisa che Germaneau, anche lui, si è recato più volte nel villaggio di In-Abangharet “per le tappe importanti” della costruzione della scuola, per contribuire con la sua esperienza tecnica.
La scuola apre finalmente nel maggio 2009. Nello stesso periodo, dopo due anni di conflitto, il MNJ decide di deporre le armi. Nel marzo scorso Yvonne Montico ritorna infine a In-Abangharet, tre anni dopo la sua prima visita. Giusto prima di quella di Michel Germaneau.
Aveva valutato bene i rischi?
Al Parisien Yvonne Montico ha precisato: “Andava in Niger due volte all’anno e vi restava uno o due mesi. Era felice là. Mi diceva: Sono contento di partire. E’ formidabile, sto bene con loro”.
Jean-Marc Pellet, presidente di una piccola associazione, Entraide Occitan Touareg, sbotta: “Ma che cosa è andato a fare laggiù? E poi in aprile, il mese più caldo dell’anno!” Lui stesso era andato, all’inizio del 2007, a In-Abangharet. “E’ un posto completamente desolato, dove non c’è niente. Io avevo studiato la possibilità di costruire qualche cosa, ma è troppo difficile arrivarci, dunque è tutto troppo caro”, aggiunge. Vi ha rinunciato.
Situato a 280 km a nord di Agadez (la grande città del nord del Niger), ai confini con l’Algeria e col Mali, il villaggio che Michel Germaneau frequentava si trova in una zona considerata dagli osservatori locali come una delle più pericolose del Sahel. Jean-Marc Pellet ne parla come di una “babele piena di trafficanti, di ex ribelli riconvertiti in guide”. “S’è gettato nella bocca del lupo”, dice Ahmed Akoli, un dirigente ribelle in esilio a Parigi. Il responsabile di una associazione membro del collettivo Nord-Niger, presente nel paese da quindici anni, rincara la dose: “Non capisco come possano essersi stabiliti lì senza valutare i rischi. In-Abangharet si trova in un corridoio di passaggio per i trafficanti, soprattutto quelli che trasportano la droga dall’Africa dell’Ovest verso l’Europa, attraverso l’Algeria”. E aggiunge: “Nel deserto si sa tutto. Un Bianco che arriva, non sfugge a nessuno”.
Questo dirigente di associazione non ha mai incontrato Michel Germaneau, che passava sistematicamente per Tamanrasset per andare in zona, e non per Agadez. Il pacifico pensionato faceva parte di quella che viene chiamata nel gergo umanitario “un’associazione familiare”, fondata su legami personali e dedita a microprogetti. Di lui non resta che qualche foto presa nel deserto. Nessuno la ritrae in situ, nel villaggio di In-Abangharet.