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Mohamed M'Kheitir: fissata la data del processo

Speranze e timori

Nicola Quatrano

 

Nouakchott è una città polverosa e sconfinata. Cresciuta in modo straordinariamente rapido, da quando il caso la designò come capitale del nascente Stato, nel 1962. Prima era stata solo un villaggio di pescatori, coi suoi 20.000 abitanti del 1969, oggi non è facile dire quanti la abitano (gran parte sono stranieri, nomadi o schiavi, che sfuggono all’anagrafe), ma si calcola sia la più popolosa città del Sahara dopo Il Cairo. E sta rapidamente consumando le riserve d’acqua del sotterraneo Lago Trarza. 
 
Le sue strade, sabbiose e inospitali, sono un labirinto di negozietti, baracchette e minutissimi commerci informali, percorse da una popolazione (qui, a differenza che da noi, i poveri sono magri e i ricchi ben pasciuti), che affida la propria speranza di vita ai magri guadagni di qualche ricarica telefonica o della vendita di altri prodotti di scarsissimo valore.
 
 
Il panorama è piatto. Edifici bassi a perdita d’occhio, tetri e consunti, al di sopra dei quali svettano solo i più alti stabilimenti governativi, le moschee e i minareti, e i nuovi palazzi delle banche, costruiti per lo più da imprese cinesi. Rivelano il recente afflusso di danaro proveniente (almeno in parte) dal traffico della droga (la Mauritania sta diventando un percorso alternativo per la cocaina in arrivo dal Sudamerica, per la sua prossimità alle Isole Canarie, dunque alla Spagna e al mercato europeo). Segni di una modernità losca ed effimera, anch’essa destinata comunque a soccombere all’erosione del vento e della sabbia, che tutto copre in una squallida uniformità, e tutto è capace di ripiombare nell’alveo di una tradizione immutabile. 
 
Il mercato del pesce a Nouakchott
 
E saranno state più o meno di questo tenore - l’impossibilità di andare contro-corrente e i pericoli del farlo - le considerazioni che hanno occupato la mente e i giorni di Mohamed M’Kheitir, durante gli oltre due anni di detenzione, segnati dal terribile verdetto di condanna a morte per apostasia. Certamente si sarà chiesto se ne sia valsa la pena, e si sarà forse anche rimproverato per la sua leggerezza, quella di credere nella forza della sua buona fede e nella libertà delle opinioni.
 
Per i lettori di OSSIN la storia è nota. Mohamed Cheikh ould Mohamed ould M’kheitir, un contabile che aveva (al momento dell’arresto) 29 anni, è stato condannato a morte, dalla Corte Criminale di Nouhadibou (Mauritania), il 24 dicembre 2014 per apostasia (o blasfemia). Era stato arrestato il precedente 2 gennaio 2014. A tutt’oggi, M’kheitir è detenuto da oltre 2 anni e tre mesi. La sessione della Corte d’Appello di Nouhadibou, avviata il 18 aprile scorso, ha fissato la data del processo per giovedì 21 aprile. La notizia che si era diffusa alla vigilia (e che sembrava di buon auspicio per il condannato), del trasferimento del processo alla capitale Nouakchott, è stata smentita.
 
L’accusa rivolta al giovane mauritano è quella di apostasia (o blasfemia) per un articolo postato su un blog, nel quale M’kheitir esprimeva valutazioni ritenute offensive nei confronti del profeta Maometto.

L'articolo "blasfemo" e la ritrattazione

 

In realtà, M’kheitir appartiene alla casta dei “fabbri”, una corporazione diventata casta perché malvista e emarginata. In una società fortemente gerarchizzata come quella mauritana (dove sopravvive la schiavitù), ad un “fabbro” non sono consentite libertà che altri possono permettersi.
 
Il processo è stato caratterizzato da una forte mobilitazione popolare contro l’imputato, il quale è stato difeso da due avvocati di ufficio (dopo che il suo difensore di fiducia è stato costretto, dalla pressione popolare, a rinunciare all’incarico). Il dibattimento è stato sbrigativo, concentrato in un solo giorno, e il verdetto di condanna a morte è stato salutato da manifestazioni di giubilo. 
 
Condannato a morte per apostasia

 

L’Osservatorio Internazionale ha raccolto la richiesta di aiuto che gli è venuta dal condannato e dalla sua famiglia ed ha promosso in Italia una mobilitazione in favore della sua liberazione, in collaborazione con la comunità islamica di Napoli e con l’imam Abdallah Cozzolino.

Il presidente dell’Osservatorio Internazionale, Nicola Quatrano è stato audito, insieme alla sorella del condannato, Aisha M’Kheitir, dalla Commissione diritti umani del Senato. (1 luglio 2015). All’esito il presidente, Luigi Manconi, si è fatto promotore di una petizione popolare, che ha raccolto oltre 19.000 adesioni.

Ossin ha anche organizzato un crownfunding , per assistere la famiglia nelle spese legali.

Il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, ha conferito al condannato, nelle mani della sorella, la cittadinanza onoraria di Napoli (2 luglio 2015).

In attesa del processo di appello

 

Tra poco il processo
 

L’attesa, per gli amici e i sostenitori di M’Kheitir, è cauta, guardinga: si scrutano i segni dai quali trarre buoni auspici. Il fatto, per esempio, che la stampa non parli dell’imminente processo, come l’avesse semplicemente dimenticato. “Si preparano a liberarlo”, si spinge a dire qualcuno. “Il governo deve cedere alle pressioni della comunità internazionale, senza perdere troppo la faccia di fronte all’opinione interna. Ed è perciò che hanno spento i riflettori… niente a che vedere con la bagarre mediatica che ha accompagnato il processo di primo grado”. Qualcun altro assicura che, nei giorni scorsi, alcuni siti vicini al governo hanno parlato della possibilità di una liberazione del condannato, senz’altro per misurare le eventuali reazioni… che però non vi sono state.

 

Gli avvocati tunisini Nedra Ben Harida e Samir Lahzami

 

In una stanzetta dell’hotel Wissal di Nouakchott, partecipo ad una riunione tecnica del collegio di difesa. Due avvocati tunisini hanno accettato di difendere M’Kheitir, si tratta di Nedra Ben Harida e Samir Lahzami. Ad essi si aggiungono due avvocati mauritani, gente di nome. Il primo è Mohamed Ould Moine, avvocato, romanziere ed ex ministro. E di Fatimata Mbaye, un nome che è tutta una storia.

 

 

L'avvocato Fatimata Mbaye

 

Maitre Fatimata Mbaye è una donna, ed è anche nera, la prima donna divenuta avvocato in Mauritania, dopo essersi con fatica emancipata da un matrimonio forzato con un uomo di 45 anni, cui era stata costretta a 12 anni. Presidente dell’Associazione mauritana per i diritti dell’uomo, è stata anche in carcere, nel 1986. Oggi è considerata una delle donne più influenti dell’Africa e, nel 2012, ha ricevuto dalle mani di Hillary Clinton il premio statunitense Trafficking in Persons Report, che ricompensa gli eroi della lotta contro il traffico di esseri umani.

 

Mohamed aspetta nella sua cella. Recentemente ha affidato al sito www.ossin.org alcune brevi considerazioni sul suo processo e la sua esperienza carceraria:

 

Lettere dal carcere

 

La maestria dei suoi avvocati e la pressione dell’opinione pubblica internazionale saranno in grado – speriamo – di convincere i giudici della Corte d’Appello di Nouadhibou dell’innocenza o, almeno, della non “pericolosità” sociale di Mohamed M’Kheitir. Il momento è quello dei timori e delle speranze. Giovedì prossimo sapremo come va a finire.