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Le Grand Soir, 9 aprile 2012 (trad. Ossin)


La divisione del Mali : primo effetto domino dopo la disgregazione della Libia
Chems Eddine Chitour


“C’è crisi quando l’antico mondo non vuole morire e il nuovo non riesce a nascere”. Antonio Gramsci

Nello spazio di una quindicina di giorni, un conflitto latente da decine di anni ha conosciuto il suo epilogo, dapprima con la presa del potere in Mali da parte di una giunta militare di cui non si conoscono le motivazioni profonde, poi con la scissione unilaterale da parte dei Tuareg azawad in conflitto col governo maliano, praticamente dall’indipendenza del paese. Un dispaccio  ci informa che il Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla), importante componente della ribellione tuareg maliana, ha proclamato venerdì 6 aprile “l’indipendenza dell’Azawad” in una dichiarazione sul suo sito internet e, attraverso un porta parola, sull’emittente canale France 24. “Proclamiamo solennemente l’indipendenza dell’Azawad a partire da oggi”, ha dichiarato Mossa Ag Attaher, che ha precisato di voler rispettare le frontiere con gli stati limitrofi”. Il portavoce ha condannato il rapimento giovedì del console algerino a Gao “da parte di un commando terrorista”.


Per memoria, l’Azawad è una regione considerata come la culla naturale dei Tuareg. Ribelli tuareg e gruppi islamisti hanno assunto alla fine della scorsa settimana il controllo delle tre metropoli del nord – Kidal, Gao e Timbuctu – senza incontrare resistenza da parte di un esercito maliano sotto-equipaggiato, disorganizzato e in rotta, dividendo di fatto il paese in due. Gli islamisti di Ansar Dine, guidati dal capo tuareg Iyad Ag Ghaly, e alcuni elementi di Al Qaida nel Maghreb islamico (AQMI) hanno, da allora, preso il sopravvento sul Mnla, che ha annunciato unilateralmente giovedì sera la fine delle “operazioni militari” (1).


Chi sono i Tuareg?
 Sono delle popolazioni berbere nomadi mussulmane. Pastori, vivono soprattutto in Niger, in Mali, in Algeria e in Libia. I Tuareg sono organizzati in tribù. Gli uomini portano un velo indigo (tagelmust), da cui il soprannome di “uomini blu”. Sono mussulmani sunniti e parlano una lingua berbera: il tamacheq. Nomadi nell’anima, i Tuareg si chiamano essi stessi Imazeren (uomini liberi). E’ un popolo che conta da 1 a 3 milioni di individui, secondo l’Unesco; l’85% di essi vivono in Mali, del quale rappresentano il 10% della popolazione.


La mano dell’Occidente nel caos sahaliano?

Nile Bowie attribuisce questa situazione di decadenza all’intervento indiretto degli Stati Uniti. Scrive: “(…) Nonostante Sanogo abbia visitato gli Stati Uniti diverse volte dopo essere stato scelto dal Pentagono per partecipare a un programma internazionale di educazione e di addestramento militare patrocinato dal dipartimento di Stato statunitense, i rappresentanti degli Stati Uniti hanno invitato i promotori del colpo di stato in Mali a dimettersi e permettere la tenuta di elezioni(…). La giustificazione principale del colpo di stato è la inadeguatezza della risposta data dal governo civile ad una campagna permanente dei Tuareg a favore del separatismo nel nord del Mali, nonostante che lo smarrimento recente a Bamako abbia provocato il regolare avanzamento delle milizie armate tuareg verso il sud. Sotto l’insegna del Movimento nazionale per la liberazione dell’Azawad (Mnla), le milizie armate avrebbero occupato la regione nord-est di Kidal, spingendo l’esercito maliano, male equipaggiato, ad abbandonare le sue posizioni strategiche nel nord (…)” (2).


“Anche se si è attribuita ai Tuareg la destabilizzazione nel nord del Mali, è molto più probabile che sia Aqmi all’origine dell’attività degli insorti nella regione. Il Mnla ha dichiarato che l’obiettivo della sua campagna per l’indipendenza è di innalzare un bastione per difendersi dalla violenza di Aqmi, mentre Bamako ha affermato che il Mnla tenta di fondare uno stato islamista in senso stretto in partnership con Aqmi (…). Con l’accresciuta possibilità che nella regione del Sahel si verifichino rivolte generalizzate come quelle della primavera araba, un afflusso di rifugiati metterà una pressione supplementare sull’Algeria e il Niger. L’Algeria potrebbe essere ancor più destabilizzata se la situazione della sicurezza in Mali continua a deteriorarsi e la Francia potrebbe sentirsi in dovere di intervenire nelle sue ex colonie, come si è visto purtroppo in Costa d’Avorio. C’è un parallelo tra la crisi in Mali e quanto accade in Nigeria, una nazione alle prese con le attività degli insorti islamici separatisti di Bobo Haram al nord(…). L’afflusso di armi derivante dall’intervento della NATO in Libia ha creato nuove prospettive disastrose, favorendo una guerra civile in Mali, le cui parti sarebbero armate pesantemente (…). Così come l’esercito USA si oppone all’esercito di resistenza del Signore estendendo la sua presenza militare attraverso l’Africom nella Repubblica democratica del Congo, l’aggravamento della situazione in Mali e in Nigeria fornisce una giustificazione supplementare per l’intervento straniero e le azioni di guerra” (2).


Non bisogna essere un chierico per capire che, aperto il vaso di Pandora libico, si sono liberate tutte le forze centrifughe che, bisogna ben dire, erano in un modo o nell’altro tenute sotto controllo dal tempo di Gheddafi. Il caos maliano vede i suoi esordi nella dispersione dell’arsenale libico abbandonato dalle potenze occidentali, Regno Unito, Francia, NATO che, dopo aver ridotto in briciole il paese, disperso le sue forze, permesso il linciaggio atroce del suo capo, se ne lavano le mani purché il petrolio scorra e scorra senza interruzioni.


Un istitutore e direttore di scuola maliano in una lettera al presidente francese scrive: “I Tuareg che formavano una parte importante dell’esercito di Gheddafi hanno debordato in Mali e, disperando oramai di trovare l’Eldorado perduto, hanno deciso di volgere le armi contro quelli che li hanno sempre considerati come loro fratelli. Nel 2011, in attuazione del mandato 1973 dell’ONU, ch’ella ha provveduto a tradire, lei ha, con l’aiuto di alcuni suoi alleati e su consiglio del signor Levy, fatto attaccare la Libia dalle forze della coalizione (…). Il pretesto invocato per giustificare il suo personale coinvolgimento in questa campagna anti-Gheddafi era il suo impegno a proteggere la brava popolazione di Bengasi e Misrata, minacciate di sterminio dalla Guida libica. Questo ha portato al suo assassinio e alla distruzione totale delle strutture dello stato libico (…). Il problema è che, nella qualità di presidente della “Francia forte”, o lei ha agito senza avere abbastanza riflettuto sull’estensione degli immensi danni collaterali che il suo intervento avrebbe provocato; o ha previsto tutto, grazie ai suoi geo-strateghi. Nell’uno o nell’altro caso, incommensurabile è la sua responsabilità morale, perché le conseguenze sono drammatiche (…) Gheddafi è stato selvaggiamente assassinato, grazie a cui, adesso, il petrolio e i mercati libici tanto appetiti sono ai suoi piedi. Ma per contro: nuove milizie armate terrorizzano, estorcono, torturano e massacrano ogni giorno le popolazioni in questione. La Libia ridiventerà difficilmente una entità geografica, politica ed economica stabile perché essa si sta dissolvendo e dividendo. Dei gruppuscoli infinitamente più pericolosi di Gheddafi si posizionano qui e la e minacceranno oramai la quiete e la stabilità del mondo intero, anche della Francia Forte (…): Le suggerisco di porsi una semplice domanda: “Quante vite, quante famiglie ho sconvolto, distrutto con le mie azioni da Presidente della Francia Forte?” (3).

“Bisogna dire e ripetere che il fattore scatenante di tutto questo è stato l’intervento occidentale in Libia”. La sentenza è severa, riguarda il Mali ed è firmata Eric Denécé, direttore del CF2R (Centre français de recherche sur le renseignement). Co-autore nel maggio 2011 di un rapporto dal titolo “Libia, un futuro incerto”. Vi descriveva già i legami storici tra Gheddafi e i Tuareg provenienti dal Mali, attivamente protetti e finanziati dalla Guida negli anni 1990. “Gheddafi fa di nuovo parlare di lui nel 2005, accordando a tutti i Tuareg nigerini e maliani presenti sul suo territorio una carta di soggiorno di durata illimitata (…) Perché non bisogna perdere di vista che è in quanto questa stessa Francia, insieme ad altre potenze, ha deciso di scatenare una guerra il Libia, che il Mali si ritrova oggi a brandelli” (4).


In una tribuna pubblicata alcuni intellettuali maliani, tra cui Aminata Traoré, fustigano “l’imperialismo” responsabile di tutti i mali e le élite: “Evidenziato dall’amputazione di due terzi del suo territorio, il colpo di Stato del 22 marzo 2012 e l’embargo totale della CEDEAO, l’estrema vulnerabilità del Mali attiene prima di tutto al tradimento delle élite. Esse fanno finta di non vedere, rifiutano ogni discussione di fondo sulle poste in gioco della mondializzazione capitalista. Oramai tutto è chiaro: la ricolonizzazione del paese attraverso le politiche neoliberali entra in una nuova fase che obbedisce al modello libico, con in meno sol l’intervento diretto della NATO (…). La rivendicazione di due terzi del territorio maliano da parte del Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla) si realizza con la complicità della “comunità internazionale”. Dal momento che l’osso maliano era assai meno duro da spezzare dell’osso libico, bastava profittare dello stato di dissoluzione dell’esercito nazionale e chiudere gli occhi di fronte all’avanzata di assalitori armati di tutto punto di armi sofisticate provenienti dagli arsenali libici, perché la partita potesse essere vinta (…) (5)


“Le poste in gioco energetiche, securitarie, migratorie e ideologiche della guerra globale trovano la loro espressione in questa ricolonizzazione che i leader politici maliani non hanno saputo vedere e che qualcuno di essi rifiuta ancora di ammettere. La Francia spera di ottenere dalla futura Repubblica laica e democratica dell’Azawad quello che il presidente maliano Amadou Toumani Tourré non ha saputo o voluto accordarle: la base di Tessalit altamente strategica sul piano economico e militare; fermezza nella lotta contro l’emigazione “clandestina” e Al Qaida (Aqmi) (…) Di fronte al ruolo di pompiere piromane della Francia nella crisi maliana, non possiamo impedirci di pensare alla legge n. 57-27 del 10 gennaio 1957, che ha creato una Organizzazione comune delle regioni saharaiane (Ocrs)” (5).


Epilogo provvisorio
La giunta maliana ha finalmente mollato il potere. Sottoposto a intense pressioni internazionali e locali, l’effimero capo di Stato, il capitano Amadou Haya Sanago ha accettato venerdì, con un breve discorso alla televisione, di ristabilire completamente l’ordine costituzionale. E’ il presidente dell’Assemblea Nazionale, Dioncounda Traoré che assumerà provvisoriamente la guida dello stato maliano. L’Unione Africana (UA) si è “felicitata” per l’accordo. In teoria il compito di Dioncounda Traoré dovrebbe limitarsi, secondo la legge fondamentale, a organizzare le elezioni in quaranta giorni. Però lo svolgimento di elezioni è una illusione assoluta nel Mali di oggi in pieno caos e diviso in due dall’occupazione del nord del paese da parte dei ribelli tuareg. Il voto riporterebbe al massimo al potere un presidente debole perché malamente eletto e nel peggiore dei casi a ratificare la divisione del paese.  Il nord del paese è sempre occupato dai secessionisti tuareg e dai gruppi salafisti. Le nuove autorità non hanno mezzi per contrastarli. Esse non potranno contare né sull’esercito, in pieno sfascio, né sulle finanze a secco. L’aiuto può venire solo da un intervento straniero.


Il pericolo per l’Algeria

Ahmed Lagraa, ex diplomatico, fa risalire il caos attuale ad una decolonizzazione raffazzonata. “Il Sahel contiene in sé gli ingredienti della sua esplosione. E’ compito dei politici di tutti i paesi fare opera di bonifica(…) (…) Qualche mese fa, su invito di una istituzione, l’ex ministro europeo degli Affari esteri ha tenuto una relazione sul futuro dei paesi, soprattutto arabi (…) Grosso modo due parametri hanno attirato la mia attenzione: *lo spostamento del centro di interesse della grande potenza USA verso l’Asia e il secondo, *lasciare l’Atlantico alla gestione della NATO come nuovo gendarme per questa regione occidentale del pianeta” (6).


“Intorno alla regione di Hoggar (7), ricca di materie prime, abbiamo l’impressione – pensa Mohand Tahar Yala, ex generale – che vi siano delle forze che vogliono svuotare questa zona strategica per imporci delle soluzioni a nostre spese! L’Algeria non può restare muta con quello che succede alle nostre frontiere sud. Il nostro paese deve avere una reazione vigorosa. Deve avere una posizione da paese forte, che possa servire da intermediario regionale o, se i belligeranti non rispettano i loro impegni, imporre la sua forza. E’ quello che bisogna fare in Mali con gli ultimi pericolosi sviluppi. O siamo offensivi, o siamo perdenti! (8)


Al di là della necessità di fare tutto per liberare i diplomatici rapiti, il problema dell’Algeria è complesso. Alcuni la spingono a impegnarsi nel conflitto. Questo sarebbe pericoloso. Non bisogna essere ingenui, tutti attendono che l’Algeria sia la prossima pedina di questo effetto domino, a cominciare dai nostri vicini e fratelli. Il più grande paese dell’Africa, che contiene ricchezze insolenti e promettenti non può lasciare indifferente in questo tempo di penuria di energia e materie prime. Non bisogna credere che ne usciremo indenni se non faremo niente per proteggerci. E’ più che mai urgente informare e mettere in guardia e affermare più che mai questo desiderio di tenersi a un tempo lontani dal regionalismo e dalle corte vedute. Il destino dell’Algeria non si decide al mercato dei seggi parlamentari promessi da elezioni dove si vedono i partiti politici agitarsi freneticamente con sproloqui in un politichese fuori corso. I giovani che saranno il futuro devono avere, smettendola con le questioni, una prospettiva di uscita. L’ora è grave, abbiamo bisogno di unità. Solo il parlare chiaro, la serena alternanza permetteranno di aspirare ad una Algeria felice affascinata dal futuro, unita, certamente nella sua identità e perciò refrattaria ad ogni manipolazione. Amen. 



1. Mali : les rebelles touareg du Mnla proclament l’indépendance AFP 06.04.2012


2. Washington et la déstabilisation politique de l’Afrique. Après le coup d’État, une guerre séparatiste menace le Mali. Nile Bowie Traduction : Julie Lévesque pour Mondialisation.ca Le 4 avril 2012
http://www.mondialisation.ca/index.php?context=va&aid=30142


3. Mamadou Dramane Traoré :
http://www.ossin.org/mali/mali-tuareg-sarkozy-effetti-collaterali-libia.html


4. Marianne 2 Cri du Peuple 1871 :
http://www.mleray.info/article-mali-consequence-de-l-interve...


5. Forum pour un Autre Mali (Foram) Chronique d’une recolonisation programmée. Bamako, le 04 avril 2012


6. Ahmed Lagraa : Etats sahéliens nés de la décolonisation. La menace d’implosion 07.04.2012


7. Immensa regione vulcanica nel centro sud dell’Algeria


8. Général Mohand Tahar Yala.
http://www.elwatan.com//actualite/le-changement-ne-peut-etre...