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Cf2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement), 3 dicembre 2015 (trad. ossin)
 
 
Libia: il caos continua
Alain Rodier
 
 
A dicembre 2015, la situazione in Libia non sembra migliorare, né sul piano politico, né sul campo. I tentativi dell’ONU, di trovare un inizio di soluzione 

alla crisi cominciata con la caduta del colonnello Gheddafi, sono rimasti fino ad oggi vani

La Camera dei Rappresentanti (CR), che è l’organo esecutivo libico ufficialmente riconosciuto dalla comunità internazionale, sarebbe già scaduta il 20 ottobre. Però nulla è cambiato dopo questa data, col “governo di Tobruch” che continua normalmente a officiare. In effetti, i lunghi negoziati avviati sotto l’egida dell’ONU perché trovi un’intesa col “governo di Tripoli” – che si appoggia al Consiglio Generale Nazionale (CGN) dominato dal Fratelli Mussulmani – non hanno prodotto effetti.
 
Bisogna riconoscere che la stessa comunità internazionale è divisa su questo dossier. Se gli Occidentali appoggiano la Camera dei Rappresentanti, il Qatar, la Turchia e il Sudan appoggiano segretamente il CGN, che avrebbe dovuto essere sciolto nell’estate 2014. E’ facile vedervi la mano dei Fratelli Mussulmani che non hanno perso la speranza di governare un giorno il paese.
 
C’è comunque un segno di progresso: dall’inizio del 2015, le milizie che operano in Tripolitania sono riusciti a concludere dei trattati di cessate il fuoco, che talvolta sono stati accompagnati da accordi locali sulla definizione delle linee di confine e per lo scambio di prigionieri. Questo ha contribuito ad allentare un po’ la tensione. La cosa è particolarmente vera per le milizie di Zintan e di Misurata. Occorre riconoscere che l’ONU ha giocato un ruolo importante in questo processo, anche se restano eccezionali e molto localizzati.
 
Dovunque, peraltro, proseguono gli scontri sporadici, come a Bengasi – tra le milizie e l’esercito del generale Haftar – o nel Fezzan – tra tribù tubu, tuareg e arabe (1). Per il momento, nessuno sembra in grado di vincere durevolmente.
 
 
 
 
La rivalità tra Al Qaeda “canale storico” e Daesh
 
La Libia è sempre stata una terra prediletta per Al Qaeda “canale storico”. I primi jihadisti che si sono uniti alla nebulosa, soprattutto in Afghanistan, provenivano da questo paese. In seguito il Gruppo islamico combattente libico (GSCL), nato in Afghanistan nel 1995, ha tentato di ribellarsi al governo libico. La repressione è stata feroce, la maggior parte degli attivisti è stata uccisa, imprigionata (2) o costretta all’esilio (3). Il fondatore, Ammar Ashur al-Rufayi (alias Abou Laith al-Libi), amico intimo di Osama Bin Laden e del dottor al-Zawahiri, è stato ucciso da un drone statunitense nel gennaio 2008, nelle zone tribali pakistane. Molti veterani del GICL, costretti come lui a fuggire dalla Libia, sono andati in lungo e in largo per tutte le terre di jihad, per conto di Al Qaeda "canale storico". Alcuni si sono arruolati nel Gruppo salafita per la predicazione e la lotta (GSPC) algerino (il logo qui sotto), che si è trasformato poi in Al Qaeda nel Maghreb islamico (AQMI). E' con l'aiuto di queste organizzazioni che sono riusciti ad entrare discretamente in Libia, all'epoca delle "rivoluzioni arabe" del 2011.
 
Come in altri teatri di jihad, Al Qaeda “canale storico” non ha voluto comparire direttamente in Libia per scelta strategica. E’ per questo che la nebulosa ha teleguidato direttamente alcuni movimenti come Ansar al-Charia, altri ne ha infiltrato, come alcune milizie islamiche locali che girano per il paese. Questa strategia di dissimulazione è stata decisa da al-Zawahiri, che non voleva che le sue forze comparissero, perché non diventassero un obiettivo troppo allettante per gli avversari occidentali. Ciò non ha impedito che il movimento abbia talvolta riconosciuto la sua presenza, soprattutto in occasione di alcuni rovesci, come durante l’imboscata costata la vita a Hamid al-Shahiri e ai suoi uomini, lungo la strada da Derna a Bengasi, alla fine di novembre 2015. Al-Zawahiri ha presentato le sue condoglianze, riconoscendo che questo gruppo era alle dipendenze di AQMI.
 
Già Mokhtar Belmokhtar, l’emiro di al-Murabitun, questa estate trasformatasi in “Al Qaeda in Africa dell’ovest”, era sfuggito ad un attacco statunitense nella regione di Ajdabiya, a sud di Bengasi. Se già era nota la presenza di Al Qaeda nel Fezzan dopo l’inizio della rivoluzione libica, questa presenza in Cirenaica era meno evidente. Evidenzia l’arte della dissimulazione (la taqiya) utilizzata dalla nebulosa islamica.
 
Lo Stato Islamico (Daesh) è meno discreto, tagliando le gole sotto la sua bandiera. Ha allargato la sua “provincia”, a partire da Sirte, su 240 chilometri di costa nei dintorni. Si è anche spinto verso sud, sperando di impossessarsi dei campi petroliferi che potrebbero garantirgli le risorse finanziarie di cui ha bisogno. Così come nella regione di Derna in Cirenaica, ha come avversari le “Petroleum Facilities Guards”, milizie che hanno il compito di proteggere le installazioni petrolchimiche del paese (4).
 
Ma Daesh non raccoglie in Libia tutto il successo che sperava. Ciò si deve a diversi fattori. Prima di tutto non gode del consenso della popolazione, perché non propone la lotta contro un governo centrale tirannico e “apostata” – e a ben ragione, visto che un governo non c’è. Inoltre nella regione non ci sono sciiti e, quanto agli Occidentali, essi brillano per la loro assenza. Non vi sono dunque nemici da additare come il diavolo da combattere, e questa non è una situazione ideale per motivare gli attivisti. Da ricordare che, sul fronte siro-iracheno, l’IS lotta contro i poteri alauita e sciita, considerati traditori dell’islam.
 
Inoltre molte milizie locali, anche islamiste radicali, non vedono di buon occhio questi “stranieri” venuti a dare lezioni. Questa è la ragione per cui Daesh non è riuscita a conquistare Dema, perché si è trovata contro le milizie locali sostenute dalla maggioranza della popolazione. E’ stata cacciata dal centro dell’agglomerato e costretta a ripiegare in periferia.
 
C’è anche che i suoi effettivi restano abbastanza scarsi, compresi tra i 2000 e i 5000 combattenti, con pochi apporti esterni. Manca infine di risorse finanziarie, modesta essendo la fetta di popolazione che sottopone ad imposizione fiscale. Daesh non ha accesso, per il momento, alle ricchezze ricavabili dagli idrocarburi e dai traffici che sono monopolizzati dai due governi (Tripoli e Tobruch) e da diverse altre milizie.
 
Gli resta però un mezzo che utilizza abbondantemente: il terrore. E’ per questa ragione che Daesh organizza esecuzioni pubbliche, decapitazioni e crocifissioni, ed atti terroristici in tutta la Libia, ma anche nella vicina Tunisia. Infatti gli attivisti che hanno compiuto l’attentato del Bardo, il 18 marzo 2015 (22 uccisi, 21 dei quali stranieri), dell’Hotel di Sousse, il 26 giugno (38 uccisi, tra cui 30 Britannici) e di Tunisi, contro il bus della Guardia presidenziale, il 24 novembre (13 uccisi, compreso il terrorista) sarebbero stati formati in parte in un campo di addestramento situato in prossimità di Sabratha, città della costa libica. Ciò significa che, oltre Sirte e la sua regione, Daesh, approfittando dell’adesione di qualche gruppo locale, ha stabilito qualche base nelle città lungo la costa mediterranea.
 
 
Esecuzioni di Daesh

 

 
Infine, come quelli di Al Qaeda, anche i responsabili di Daesh sono nel mirino. Per esempio, gli Statunitensi hanno neutralizzato, il 13 novembre, Wisam Najm Abd zayd al Zubaydi (alias Abou Nabil), un iracheno che aveva compiti di capo militare del movimento. Si era soprattutto fatto notare in occasione della decapitazione di 21 cristiani copti egiziani nel febbraio 2015. Grande inquietudine circonda oggi la sorte di cinque ostaggi della compagnia austriaca VAOS, ancora trattenuti da Daesh dopo l’attacco al sito petrolifero di Ghani (750 chilometri a sud-est di Tripoli), inizio marzo 2015 (5)
 
Al momento, nessun paese sembra avere l’intenzione di intervenire militarmente in Libia per tentare di ristabilirvi l’ordine. Infatti questo “nido di vipere”, come lo definiva il ministro francese della Difesa un anno fa, è fin troppo pericoloso. La cosa rischierebbe di stimolare la nascita di una sorta di unione nazionale contro “l’invasore”, ed è evidente che da questo pantano sarebbe difficile in seguito uscire. Per contro, la strategia adottata sembra essere quella del “Contenimento”. I paesi vicini fanno di tutto per controllare al meglio le loro frontiere. Gli Occidentali, Statunitensi in testa, lanciano qualche operazione più o meno clandestina per neutralizzare i responsabili jihadisti-salafiti più in vista, l’Europa ha avviato l’operazione marittima Eunavfor Med, destinata a lottare contro il traffico di esseri umani. Il rischio di contagio oltre la Libia non è escluso: è avvenuto con la presa di ostaggi nell’hotel Radisson Blu in novembre, a Bamako (6). C’è anche il timore di un possibile accordo tra Daesh e Boko Haram, da un lato, e di Al Qaeda “canale storico” con gli Shebab somali, dall’altro. Infine la situazione è critica in Tunisia, che costituisce il “bersaglio molle” per i due movimenti terroristi e dove i Fratelli Mussulmani restano in agguato per riprendere il potere.
 
 
Note:
 

[1]Per una analisi dei rapporti di forza, vedi www.ossin.org, aprile 2014, http://www.ossin.org/libia-74526/1568-libia-il-nido-di-vipere

[2]La gran parte venne liberata nel 2009, in quanto il colonello Gheddafi voleva ammorbidire la contestazione nascente. Tra essi, Abdelkrim Belhadj, membro fondatore del GICL e oggi responsabile militare della regione di Tripoli.

[3]D’altronde è stato in questo periodo che Gheddafi ha cominciato a collaborare con gli Occidentali nella lotta anti-islamista. Era personalmente impegnato in questa lotta

[4]Dipendenti dalla National Oil Corporation (NOC), in realtà queste milizie dispongono a loro volta di installazioni che controllano loro stessi. Teoricamente, la NOC dell'est coopera con le autorità di Tripoli e quella dell’ovest (diretta da Ibrahim Jadhrane) con quelle di Tobruch.

[5]Due Bengalesi e un Ghanese sono stati rilasciati in aprile. La massima discrezione regna su questa vicenda per non mettere in pericolo la vita di questi sventurati.

[6]Operazione rivendicata da Al-Murabitun e Ansar Dine.