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Asie Afrique, novembre 2011


Libia, lo spettro dell’Afghanistan
Gilles Munier


Uno degli obiettivi della NATO è di trasformare la Libia in un protettorato occidentale, non certo di affrontare una guerra civile ed una resistenza patriottica di lunga durata


Rovesciare il regime di un paese straniero non è un’impresa da poco. Occorre disporre in genere di complicità interne e di una superiorità di forze schiacciante, come è accaduto in Iraq ed in Afghanistan. Fin dall’inizio dell’intervento della NATO in Libia, è apparso evidente che il regime non poteva competere con il formidabile dispiegamento di forze mediatico-militare occidentale. In febbraio Nicolas Sarkozy e i ribelli libici, peccando in ottimismo, pensavano che tutto si sarebbe risolto in quindici giorni al massimo. Si sono presto disillusi. Certo, il regime è caduto, ma dopo sei mesi di una guerra feroce. Per farla finita, diceva il CNT, bisognava uccidere Gheddafi. Lo è stato, il 20 ottobre, due giorni dopo il via libera dato da Hillary Clinton, in visita a sorpresa a Tripoli, depositaria – si dice – di informazioni provenienti da Sirte. E’ stato sufficiente poi controllare gli spostamenti di Gheddafi con il satellite e tendere un’imboscata. Resta un problema insolubile per la NATO: una parte della popolazione resiste, in maniera sufficiente a trasformare la sedicente liberazione in guerriglia patriottica.
Sono numerosi quelli, in Libia e altrove, che non avevano molta fiducia in Gheddafi. La cosa vale anche per me, e non lo nascondo. Il suo comportamento insolito, la sua incostanza politica e il suo modo di “non governare” il suo paese, gli avevano allontanato le simpatie di molti Libici e molti sostegni all’estero.
Ma dopo l’aggressione occidentale, scioccante, inaccettabile e contraria a ogni principio condiviso dalla vera comunità internazionale, vale a dire la maggioranza dei membri dell’ONU, il suo appello a resistere all’aggressione dei “crociati” è stato inteso molto al di là del cerchio dei suoi partigiani. Tutto lascia pensare che gli sopravvivrà. La Guida libica può ben essere morto, lo spettro dell’Afghanistan è ugualmente alle nostre porte.


Informazioni nascoste
Quando abbiamo rivelato che le forze ribelli erano formate da ex membri del Gruppo islamico di lotta libico (GICL), siamo stati accusati di essere dei propagandisti del regime di Tripoli. Sottinteso: Quanto ti pagano per divulgare le farneticazioni di un uomo sotto pressione? Gheddafi sapeva quello che diceva perché suo figlio, Seif al-islam, era in contatto con alcuni di loro, dopo averli liberati in cambio dell’impegno a non insorgere più. Anche noi lo sappiamo. Nel marzo scorso, sembrava brutto collegare il GICL e AQMI (AlQaida nel Maghreb islamico). Era qualcosa che nuoceva all’immagine che la NATO voleva dare del conflitto. Noi abbiamo “vuotato il sacco”, senza acrimonia, precisando anche che non bisognava confondere le due organizzazioni islamiche. Ci importava solo di sottolineare i pericoli di destabilizzazione nel Maghreb e nel Sahel e lo sviluppo del terrorismo che sarebbe stato provocato dalla proliferazione di armi ed esplosivi. Oggi la NATO riconosce che dagli arsenali libici sono spariti più di 10.000 missili terra-aria Sam 7, migliaia di bazooka e di kalashnikov. Cose mai viste!
Quando abbiamo accusato il CNT di essere composto e sostenuto da razzisti, si trattava – dicevano – di una diffamazione. Poi si sono accumulate le prove nelle sedi delle organizzazioni umanitarie su dei crimini che altrove sarebbero stati definiti un genocidio. Metà agosto, una manifestazione si è svolta ad Harlem, per chiedere che questi criminali siano giudicati.
Quando scrivevamo che la Cirenaica era il paradiso delle società militari private (SMP) occidentali, ci rispondevano che non bisogna vedere “contractor”-mercenari dovunque, che la risoluzione 1973 dell’ONU, che vietava l’intervento di terra, era rispettata. Per contro era di “bon ton” denunciare le supposte atrocità dei mercenari africani reclutati dal governo libico. Poi alcune televisioni hanno mostrato degli ex SAS inglesi sullo sfondo della bandiera di Senoussi (la famiglia reale libica, ndt). Il direttore di una SMP francese è stato assassinato a Bengasi. Finalmente la NATO ha riconosciuto a mezza voce che le forze speciali occidentali e arabe – giordane, degli emirati e del Qatar – spalleggiavano i ribelli. La morte di Gheddafi non significa che i mercenari adesso se ne vanno, anzi al contrario.


Manovre elettoraliste

Infine, quando Nicolas Sarkozy ha fatto paracadutare armi e “consiglieri” nel djebel Nefussa, abitato a Berberi, abbiamo dichiarato che la sua decisione avrebbe avuto un impatto nei paesi del Maghreb e nelle loro diaspore. Poi si sono visti dei carri armati circolare per Tripoli, con la bandiera berbera, e il Consiglio mondiale amazigh, organizzazione conosciuta per i suoi rapporti con Israele, si è riunito a Djerba e ha eletto un libico alla presidenza. Al di là del carattere militare e strategico dell’operazione realizzata nel “Nefoussa-Adrar”, ci siamo chiesti se il presidente francese non stesse per fomentare un colpo elettoralista contro l’Algeria. In caduta libera nei sondaggi, tenta di raccogliere voti per l’elezione presidenziale del 2012 tra le minoranze etniche e religiose francesi.
Se la lobby filo-israeliana garantisce già al candidato Sarkozy il cosiddetto “voto ebraico”, gli serve anche di fare di nuovo gli occhi dolci ai franco-armeni e, ultima trovata di uno dei suoi consiglieri… ai Francesi di origine kabyle. Un ricercatore dell’Università Moshe Dayan di Tel Aviv li stima in più di 500.000. A inizio ottobre, a Erevan, Sarkozy ha dunque invitato la Turchia a riconoscere il “genocidio armeno” prima della fine del suo mandato. I 600.000 Armeni francesi, cui aveva promesso la stessa cosa nel 2007, sanno quanto valgono questo tipo di impegni. Ankara, punta sul vivo, ha replicato accusandolo di ambiguità, consigliandogli di rivisitare la storia coloniale della Francia.
Roland Dumas, ex ministro degli Affari esteri di François Mitterrand, cui Afrique Asie ha chiesto a inizio ottobre se, dopo la Libia e la Siria, ci fosse anche l’Algeria sulla lista dei paesi da sconvolgere, ha risposto: “C’è da temere tutto… ma questo sarebbe per Sarkozy un altro “pezzo”.