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Morto Gheddafi, è tempo di caos, di vendetta e di resistenza!
Djerrad Amar


Bisogna resistere a un’ingiustizia, ad un’offesa, a un’aggressione. Ciò vale per un individuo o per un popolo. Gheddafi incarnava la resistenza di un popolo. La sua morte, il suo martirio erano attesi. “La vittoria o la morte” diceva Omar El Mokhtar; slogan ripetuto all’infinito dai resistenti- “Dicono che sono fuggito… io muoio qui armi alla mano” continuava a dire Gheddafi.

Ed è proprio perché egli diventa il simbolo della resistenza che le “cose” serie adesso cominciano. Il popolo libico si accorgerà della gran differenza, del valore della sua guida, dei giochi che si fanno alle sue spalle e a suo detrimento. Se si aggiunge che la popolazione ha sopportato i bombardamenti, con le loro decine di migliaia di morti, ai libici resta solo la vendetta ancora radicata nello spirito proprio della cultura beduina. La NATO e il CNT non possono in alcun modo sperare di essere accettati, perché hanno portato la morte. Al contrario, l’odio e il desiderio di vendetta si accresceranno. Non li lasceranno mai tranquilli nella loro restante vita.

Secondo le informazioni di cui disponiamo, le “brigate della vendetta”, costituitesi da qualche mese – delle quali ho già parlato nei miei precedenti articoli dicendo che la loro missione consiste nell’eliminare tutti coloro (ivi comprese le loro famiglie) che hanno contribuito al caos e ai massacri in Libia – sono state attivate per compiere la loro missione in Libia e in Europa. Essi non si chiamano “kamikaze” ma “mujaidine” nel senso religioso del termine, che significa che essi devono difendersi con ogni mezzo contro un nemico – fosse anche un correligionario – che viola il loro paese, la loro casa, uccide il loro popolo, ruba i loro beni. Per l’islam si tratta di un martirio, di un atto di alto valore.

Gli aggressori della coalizione debbono sapere che in Libia essi hanno aperto il “vaso di Pandora” della vendetta, e che questa non potrà essere fermata se non dai “Grandi Saggi” religiosi riconosciuti in Libia e solo dopo una concertazione tra di loro, da una parte, e tra loro e le famiglie delle vittime, dall’altra, e comunque dopo scuse solenni e indennizzi da parte degli aggressori, altrimenti solo Dio può fermare questa deriva. I componenti del CNT e i loro “ratti” libici conoscono perfettamente questo principio di vendetta, del quale essi stessi sono portatori, giacché la maggioranza di loro si è impegnata in questa “rivoluzione del 18 febbraio” – schierandosi sotto la bandiera della monarchia – per vendetta, 42 anni più tardi, contro Gheddafi che ha abolito il sistema del quale i loro genitori profittavano. Questi “ratti” sono i loro figli e nipoti. La grande differenza è che nella rivoluzione del 1969 non è stato versato sangue del popolo con la complicità degli stessi concittadini. Il popolo libico, il CNT e le loro famiglie, gli aggressori esterni e le loro famiglie si trovano in una situazione di estremo pericolo, in un ingranaggio infernale. Molti saranno braccati per tutta la vita.

Quando la propaganda dice, con ipocrita sollievo, che la Libia “entra in una nuova era”, si tratta in effetti di una era di grande instabilità, di terrore che investirà tutto il Mediterraneo e forse oltre. Così come stanno le cose e data la configurazione della società libica, il CNT non potrà mai formare un governo. “Niente sarà come prima in Libia, solo gli ingenui possono credere alla possibilità di un ritorno al passato, il verde ha lasciato il posto al rosso sangue. I Libici vivranno per lungo tempo in un incubo” dice un commentatore. Questa sarà una  guerra senza pietà. La NATO non reggerà a lungo. Il tempo gioca contro a causa della crisi (finanziaria) e delle elezioni. Il tempo di farla finita con Gheddafi è giunto! E allora? Vedremo bene! Lascerà il CNT a “sbrogliarsela” da solo? Impossibile perché le cose si rivolteranno presto contro, tanto più che questo “nuovo potere” non eletto, non ha né istituzioni, né leggi, né esercito. Le divergenze tra i suoi membri sono tali che finiranno con l’uccidersi tra di loro. La morte di Gheddafi contribuirà ad accentuare le divisioni e la loro cupidigia e affretterà la loro sparizione. Essi lo sanno. I loro “insorti” non fanno parte di un esercito regolare dunque non sono stabili; si tratta sia di volontari sia di persone che sono state costrette e che, in più, non hanno alcuna esperienza. La stragrande maggioranza si è impegnata per vendetta, per opportunismo, per cupidigia o per abbrutimento, si tratta di motivazioni non durabili. Per contro, i partigiani del potere legale si difendono; è la guerra che ha bussato alla loro porta. Essi hanno dunque ogni legittimità (morale e religiosa) di combattere con onore e dignità. O forse si continuerà a bombardare fino a distruggere tutto e ad uccidere fino al genocidio di un popolo, come hanno appena fatto a Sirte! Vedremo! Gheddafi e alcuni dei suoi figli se ne sono andati, “richiamati a Dio”, come dicono i mussulmani. Essi si sono gettati in questa lotta con onestà, fino al martirio, contrariamente ai rinnegati del CNT che hanno lasciato i loro familiari al riparo, in Europa, mentre utilizzano i figli degli altri come carne da cannone per conquistare il potere. Questa differenza non è solo significativa ma decisiva quando si tratta di scegliere un campo.

Ribadisco quanto ho già affermato nel mio ultimo articolo intitolato “L’impossibile vittoria degli accattoni del CNT”:

I nostri amici e fratelli Libici devono sapere che la lotta sarà aspra, dolorosa, distruttiva, ma la vittoria è certa perché il loro sacrificio viene da una guerra giusta per l’onore e la dignità contro forze del male senza principi e senza virtù. L’eliminazione di un dirigente anche carismatico non ha mai comportato la fine della volontà di un popolo di liberare il proprio paese dall’oppressione o dalla colonizzazione.