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Gheddafi ha sparato sul suo popolo? Ha ucciso 10.000 Libici? Falso!
Jean-Paul Pougala(*)

In questa espressione di “sparare sul suo popolo” già c’è l’intento di screditare il presidente libico. Si vuole manipolare l’opinione pubblica suscitandone l’indignazione. Se avesse sparato sul popolo italiano o francese, sarebbe stato più normale? No. Si tratta infatti di una associazione di parole saggiamente studiata negli uffici di ricerca strategica per trovare le espressioni appropriate per accompagnare la vera guerra che è scoppiata dopo.

Per tornare all’accusa, l’informazione principale che ha giustificato la risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è quella di una pretesa carneficina di 10.000 morti e 55.000 feriti in un mese, ordinata dal presidente libico. E’ un’affermazione menzognera e per diverse ragioni:

Logica: per uccidere 10.000 persone in un mese, bisogna essere capaci di ucciderne ogni giorno da 300 a 400. Solo Hitler ci è riuscito, ma ha avuto bisogno di ricorrere a diverse installazioni di forni crematori.
Gheddafi avrebbe utilizzato degli aerei da combattimento che normalmente volano a 5000 metri di altezza e ad una velocità di 1000 km orari. A meno di lanciare una bomba atomica, questi aerei, per quanto speciali siano, non potrebbero riuscire ad ottenere un simile risultato.

Per i feriti, il loro numero in tutti i paesi del mondo viene fornito da fonti ospedaliere. Nella gestione ottimale di un ospedale, sono previsti da 10 a 20 posti liberi per far fronte ai casi improvvisi. Per accogliere 55.000 feriti, nella misura di 20 per ospedale, sarebbero occorsi 2.750 ospedali e, anche se si fosse ricorso a tutti gli ospedali del continente africano (circa 1230), non ci si sarebbe riusciti.

Le foto diffuse di questi pretesi massacri provengono dal cimitero “Sidi Hamed Cemetery”, dove si stava svolgendo una normale operazione di ricambio del terreno, con spostamenti di resti umani, pratica del tutto abituale e comune nel mondo giudaico-islamico-cristiano per lasciare spazio ai nuovi morti, ogni 10 o 20 anni, secondo il paese.

Origine dell’informazione. Il filosofo cinese Mo Tseu (479-381 a.C.) ha scritto che per verificare la veridicità di una informazione occorre prima di tutto identificarne la fonte e domandarsi quali siano le ragioni confessate o inconfessate di colui che vi comunica un’informazione. Da dove veniva l’informazione? Dai ribelli, è naturale! Ma diffusa senza uso di condizionali dalla televisione Al Jazeera che appartiene all’emiro del Qatar. Il caso vuole che questo piccolo paese sia il solo paese arabo che oggi partecipa ai bombardamenti contro i Libici. Una coincidenza piuttosto sconcertante.

Ad oggi, diversi mesi dopo il preteso massacro, non è emersa l’ombra di una prova irrefutabile. Cosa che non ha impedito l’emissione di un mandato di arresto da parte del procuratore della Corte penale internazionale (CPI), Luis Moreno-Ocampo, che è stato attento a minacciare Gbagbo per le 7 donne uccise a Abobo l’8 marzo 2011, ma completamente muto al momento dei fatti e oggi preso da amnesia per i 1200 morti di Ouattara a Duékoué (secondo il CICR e la Caritas), quando erano presenti le truppe francesi dell’UNICORN (la missione dell’ONU in Costa d’Avorio)  e quelle dell’ONUCCI.

Il signor Moreno-Ocampo non ha ritenuto opportuno effettuare alcuna missione in territorio libico per verificare queste accuse. Cosa importa? Chiedere l’arresto di un Capo di Stato africano indocile è diventata la sola ragione di esistenza del Tribunale Penale Internazionale.



Gheddafi e i migranti africani
Quando nel 2006 Gheddafi riunì i Ministri degli interni africani per proporre loro una carta di identità unica con una codificazione comune, che servisse a consentire gli spostamenti degli Africani su tutto il continente senza eccessive formalità amministrative, tutti i presenti erano contenti ed entusiasti del progetto della guida libica. Ma al loro ritorno, una telefonata a Parigi, un’altra a Londra, ed ecco che l’idea non era più buona per taluni paesi che hanno subito fatta propria la propaganda secondo cui, se la misura fosse stata varata, la Libia avrebbe colonizzato gli altri paesi africani. Il colmo è che i clandestini africani in Libia provengono, per il 99%, proprio dai paesi che hanno rifiutato la proposta libica.

Peraltro, per ragioni di sicurezza interna, nessun paese al mondo può assistere passivamente al fatto che il proprio territorio divenga il punto di passaggio di persone che non è in grado di identificare. In Libia vige la stessa legge che è in vigore in tutti i paesi africani, il delitto di clandestinità per gli stranieri privi di validi titoli di soggiorno.

Per finire, nessun africano dotato di un minimo di discernimento può pensare che il destino della gioventù africana sia quella di mettersi in marcia verso l’illusione di un ipotetico paradiso europeo per occupare lo scalino più basso delle classi sociali in occidente. L’obiettivo per il quale vale la pena di lottare è quello di far sognare l’Africa. L’Africa deve far sognare gli Africani, perché essi abbiano la serenità e l’entusiasmo necessario per vincere le sfide che li attendono.

In conclusione, accusare Gheddafi di non aver consentito che i clandestini si muovessero liberamento sul suo territorio significa essere incapaci di comprendere la complessità dei problemi che ci circondano.



Gheddafi e la longevità del suo potere
Una delle ragioni per andare a bombardare la Libia è che la Guida Libica ha passato troppi anni al potere (42). Il record di longevità degli uomini politici al potere non è detenuto da Gheddafi, ancor meno dagli Africani, ma dagli Occidentali. Prendiamo 4 esempi di 4 paesi che bombardano la Libia per esportarvi il loro modello di democrazia:

Gli USA: L’ex membro del Ku Klux Klan, Robert Byrd, che ha ammesso, nelle sue memorie del 2005, di avere orchestrato una manovra al Congresso USA nel 1964 per ritardare la legge sui diritti civili per i Neri, ha fatto parte del Senato in modo ininterrotto per 56 anni. Nato il 20 novembre 1917, e membro del Partito democratico e senatore della Virginia-Occidentale, ha mantenuto il suo seggio in Senato dal gennaio 1959 fino alla sua morte, avvenuta il 28 giugno 2010. Sono 63 anni in totale aggiungendo i 6 anni che ha trascorso alla camera dei rappresentanti, dove è stato eletto il 20 gennaio 1953 quando il presidente Harry Truman cedeva il posto alla Casa Bianca a Dwight Eisenhower, e ne è uscito solo alla sua morte, durante la presidenza Obama. Prima di lui, il signor Carl Hayden è stato senatore per 56 anni e 319 giorni, dal 1912 al 1969. E molti altri ancora. Sapendo che un senatore USA è 10 volte più potente di un Capo di Stato africano, questo rende un’idea della profondità di questa longevità politica.

In Francia Louis Philippon è stato sindaco di Juvigny nell’Aisne per 69 anni (dal 1929 al 1998), Philippe de La Moisonnière-Cauvin è stato sindaco di La Fontalaye nella Seine-Maritime per 63 anni dal 1945 al 2008, Hubert d’Anfigné è stato per 59 anni sindaco di Champ de la Pierre nell’Orne dal 1946 al 2005. Roger Sénié, a 90 anni, è oggi sindaco di La Bastide de Bousignac nell’Ariège, posto che occupa dall’ottobre 1947, vale a dire da 64 anni, forse nel 2014 si candiderà per un  nuovo mandato. Nel paese della Rivoluzione francese, vi sarà un candidato capace di batterlo? E’ la stessa situazione di Arthuer Richier, di 89 anni e sindaco di Faucon du Caire nelle Alpes de Haute Provence, dal 1947 ad oggi.

Pierre Abelin (1909-1977), politico francese, ha cumulato le funzioni di ministro in 4 governi (da Shumann nel 1947 a Chirac nel 1974), di deputato dal 1945 al 1974, di sindaco di Chatelleraut (dal 1959 alla sua morte avvenuta nel 1977). E quando è morto, è stato rimpiazzato nella carica di sindaco dalla moglie, perché suo figlio Jean-Pierre Abelin, che aveva solo 27 anni, aveva bisogno di tempo per prendere l’eredità del padre ed arraffare tutto: gli è bastato solo un anno ed è diventato deputato della Vienne dal 1978 fino ad oggi, Consigliere generale dal 1977 ad oggi, vicepresidente del Consiglio generale dal 1982 ad oggi. E dal 2008 ha aggiunto a tutte queste funzioni il ruolo di sindaco della stessa città. A cosa è servita la rivoluzione francese? Che cosa sarebbe successo se questa saga avesse riguardato una famiglia africana? Si sarebbe semplicemente concluso che gli Africani si attaccano al potere.

Ecco i dettagli di questo sistema di dinastia democratica alla francese per esportare la quale in Libia si fa ricorso alle bombe; Roselyne Bachelot, l’attuale ministro della Solidarietà e della Coesione sociale è subentrata da 23 anni (1988) a suo padre, Jean Narquin, che era stato per 20 anni deputato di Maine-et Loire dal 1968 al 1988. Come se non bastasse avere accaparrato tutta l’eredità paterna, cerca di aggiungervi una nuova funzione: sindaco di Angers. Suo figlio Pierre Bachelot, nato nel 1970, entra in Parlamento all’età di 22 anni come Assistente di mamma. Accompagnerà sua madre come consigliere parlamentare, quando mamma diventerà successivamente ministro dell’ecologia nel 2002 e ministro della salute nel 2007. E’ in quest’anno che il giovane Pierre conquisterà la sua autonomia a 37 anni, assumendo una funzione creata appositamente per lui da mamma all’Inpes (Institut national de prévention et d’éducation pour la santé), nonostante la sua formazione in “art privé”. Non è bella la democrazia nel paese della rivoluzione francese? Bisogna subito esportarla in Libia.

In Italia Giulio Andreotti è stato eletto deputato nel 1946 ed oggi è senatore a vita, una carriera parlamentare lunga 65 anni. Siccome non aveva più la forza di fare una campagna elettorale, è stato nominato senatore a vita. Ha inoltre cumulato le funzioni parlamentari con quella di Presidente del Consiglio, posto che ha occupato 7 volte in 20 anni, dal 17 febbraio 1972 al 24 aprile 1992. Durante questo tempo, il suo partito è rimasto ininterrottamente al potere dal 1946 al 1992, vale a dire 46 anni. E ne sarà allontanato solo dalla Giustizia per corruzione. A paragone, il partito di Gheddafi è stato al potere solo 42 anni in Libia.

Nel Regno Unito la situazione è ugualmente catastrofica, se solo si pensi alla longevità di Elisabetta II, che è regina di 16 paesi indipendenti dal 1952. Nel 1942, a soli 16 anni, ella è stata già nominata capo dell’esercito e passava in rivista le truppe. Classificata dal magazine FORTUNE al 214 posto tra le fortune mondiali per il solo merito di essere nata, costa agli inglesi la somma di 43 milioni di dollari all’anno. La regina non ha poteri? E se Gheddafi fosse diventato il re della Libia? Che cosa sarebbe successo se Gheddafi avesse instaurato un emirato con la sua famiglia, come il Qatar che partecipa ai bombardamenti? Che cosa si sarebbe detto se per il matrimonio di uno dei figli di Gheddafi fosse stato decretato un giorno festivo, fermando tutta la nazione? Esattamente quanto è successo a Londra per il matrimonio del principe William e di Kate, il 29 aprile 2011??? La televisione France 24 ha calcolato il costo di questa giornata festiva in 6 miliardi di euro per il padronato inglese. Questa follia democratica che si vuole esportare in Libia è costata al comune di Londra 22 milioni di euro solo per la sicurezza. Nel frattempo i costi per l’accesso all’università pubblica inglese si sono moltiplicati per 3 (passando da 3900 a 10700 euro). Il Canada, che resta una colonia, deve pagare 50 milioni di dollari canadesi all’anno per sostenere la famiglia reale inglese; nel frattempo secondo Statistique Canada i costi di iscrizione nelle università canadesi sono aumentati dal 1996 al 2002, per esempio nella provincia di Ontario, del 141% per la facoltà di diritto, del 241% per la medicina e del 315% per odontoiatria. Ed è lecito domandarsi come possono pretendere di concorrere con la Cina penalizzando in questo modo la loro gioventù.

In Africa, ad oggi, nessun politico ha battuto un simile record di incoerenza, a qualsiasi livello della vita politica. D’altronde quello che si esige da un politico sono i risultati, e perché questo non dovrebbe valere anche per il presidente libico? E per avere un’idea del suo bilancio politico per il suo paese, basterebbe solo chiedersi come mai non c’è neppure un Libico sulle imbarcazioni di fortuna che si arenano sulle coste italiane di Lampedusa. Perché i Libici non fuggono dal loro paese? E inoltre, se Gheddafi è davvero quell’insopportabile dittatore che si dice, perché è il paese africano che ha il più alto tasso di stranieri? I residenti degli USA, Francia, Gran Bretagna si trovano meglio in Qatar o in Libia? E cosa dire del fatto che la bandiera della ribellione libica è quella del regno. E’ come se dei ribelli francesi oggi brandissero il vessillo del re di Francia, vale a dire che gli occidentali fanno la guerra in Libia per riportarla indietro di 43 anni, per passare da una repubblica certamente imperfetta, ad un regno. Speriamo che il nuovo re sia docile e che i soldi del petrolio vengano depositati nelle banche che gli saranno indicate, a queste condizioni si può essere certi che sarà accolto con tappeti rossi dovunque in occidente.



Perché gli intellettuali africani non sostengono il CNT libico?
Il CNT è una creatura della Francia. E’ stato lo stesso filosofo francese Bernard Henri-Levy a spiegare alla stampa i molti viaggi che egli ha fatto per incoraggiare i Libici a liberarsi di Ghedafi. Sempre lui ci ha raccontato che era nato un movimento. E sempre stato lui a dargli il nome di CNT. Ci ha detto che è composto da 35 membri e che, al di la di 3 o 4, gli altri desideravano mantenere l’anonimato.  Quando il signor Levy ha comunicato al mondo che Gheddafi si serviva di mercenari neri venuti dall’Africa subsaharaiana, pagati un boccone di pane, nessuno si è sognato di ricordargli che le tribù del sud della Libia sono composte essenzialmente da Neri, che dunque accedono a tutti i posti dell’amministrazione libica. Infatti, a differenza della Francia, diversi ambasciatori libici nel mondo sono neri, dei neri libici. Il razzismo può rendere ciechi. L’errore di Henri-Levy nasceva dalla concezione razzista europea del XIX° secolo che tende a separare le popolazioni africane di origine araba e i neri sulla base di una gerarchia culturale. E’ sempre a causa di questa filosofia che ha promesso al signor Sarkozy che la guerra sarebbe durata solo 3 giorni, perché – ha spiegato alla stampa – “l’esercito di Gheddafi è composto da 300 poveracci male equipaggiati”.

Bernard Henri-Levy, come ci ricorda l’agenzia di stampa russa RIA-Novosti, s’era sbagliato allo stesso modo nel 1999, dopo l’attacco contro il Daguestan da parte di Chamil Bassaiev. Levy aveva allora raccomandato all’Occidente di riconoscere l’autorità del terrorista Maskhadov in Cecenia. Quest’ultimo sarà abbattuto dai FBS russi l’8 marzo 2005. Levy recidiva nell’estate 2008, quando incoraggia il presidente georgiano Mikhail Saakachvili ad avviare una guerra suicida contro la Russia. Il seguito è noto. Il colmo del ridicolo in tutto questo è che non ha ancora capito che la politica è una scienza e, come tutte le scienze, bisogna darsi il tempo di impararne i principi e i meccanismi per evitare di sbagliarsi nelle questioni più elementari della politica internazionale, soprattutto quando si incitano dei manifestanti pacifici alla guerra.

Recentemente, per la commemorazione dei 40 anni dalla fine della guerra del Biafra, la più sanguinosa dell’Africa, con circa 2.000.000 di morti, la radio pubblica svizzera RSR ci ha proposto dei documenti inediti, rimasti a dormire negli archivi della CICR, la Croce Rossa Internazionale la cui sede è a Ginevra. Le testimonianze sono costituite da interviste realizzate 40 anni fa ai dirigenti di questa organizzazione, che spiegavano che la CICR approfittava del suo statuto di neutralità per trasportare armi a sostegno della vittoria della Francia in questa guerra falsamente fatta per l’indipendenza del Biafra, il cui popolo era stato gettato in questa situazione in virtù di una decisione presa a Parigi che voleva a tutti i costi avere un suo emirato petrolifero come gli inglesi in Kuwait o in Qatar. La rivelazione più da incubo di questi archivi è stata per me quella di scoprire che, sui 2.000.000 di morti, la metà sono stati inutili, sacrificati per impedire che Parigi perdesse la faccia perché – ci rivelano i dirigenti della CICR – già un anno prima della fine della guerra, tutti sapevano che era perduta, ma Parigi e la CICR continuavano a fornire ai Biafrani nuove armi, dicendo loro che stavano per vincere.

E’ esattamente lo stesso scenario oggi in Libia. Si pensava di vincere facilmente una guerra in 3 giorni e adesso, al 3° mese senza alcuna avanzata, e malgrado il milione di euro al giorno che costa alla Francia questa guerra (cifra fornita dal Ministero francese della difesa), si continua la NO FLY ZONE bombardando gli uffici, le scuole e gli ospedali Libici, come se questi volassero. E siccome questi atti di terrore non bastano, si ritorna alla ricetta sperimentata nella guerra del Biafra: utilizzare le proprie ONG per invocare il genocidio, invocare l’intervento del Tribunale penale internazionale, e anche se si sa che non funzionerà, che importa: meglio far morire tutta Libia piuttosto che avere il coraggio di riconoscere che ci si è sbagliati e si è persa la guerra.

Per gli intellettuali africani, il dibattito non è per niente tra sostenere Gheddafi contro il CNT o sostenere il CNT contro Gheddafi, ma sul principio di giustizia internazionale che è oggi tradito da un certo numero di paesi occidentali, che si conoscono, perché sono sempre gli stessi che erano intorno al tavolo della Conferenza di Berlino del 1884 per decidere del destino dell’Africa senza la presenza degli Africani, che oggi umiliano l’Unione africana e tutte le sue decisioni e si arrogano il diritto di scegliere al posto degli Africani il loro destino. 

Quando i presidenti di 3 paesi occidentali (USA, Francia e Inghilterra) comprano uno spazio sui giornali di diversi paesi per annunciare che Gheddafi non è un buon leader per la Libia, io credo si tratti di un insulto all’intelligenza degli Africani. Ieri i nostri genitori e i nostri antenati erano sicuramente dei primitivi che non capivano niente di quello che succedeva, ma oggi abbiamo studiato nelle stesse scuole, abbiamo  studiato le stesse cose degli occidentali e continuare a guardarci dall’alto in basso come degli eterni schiavi è un errore grave degli occidentali che richiede che noi Africani lo correggiamo e non lo assecondiamo col nostro colpevole silenzio. Noi dobbiamo fare la storia, la nostra, e non più subirla. Così come noi non diciamo agli statunitensi, agli Inglesi o ai Francesi cosa è meglio per loro, spetta a noi di batterci perché essi non interferiscano più nel processo di formazione della nostra democrazia, fosse anche imperfetta e riprovevole; e siccome si tratta di un processo, anche i fallimenti costituiscono degli elementi positivi che debbono servire a migliorare.

La rivoluzione libica è stata purtroppo fermata di colpo, il giorno in cui l’interferenza occidentale è diventata palpabile nella crisi di questo paese. Gheddafi, che sembrava essere stato messo alle corde da manifestazioni naturali in questo processo di miglioramento del genere umano, è stato miracolosamente rimesso in sella grazie all’ingerenza della Francia che ha commesso il grave errore strategico di trasformare una manifestazione pacifica in ribellione armata.

E la ricetta della ribellione armata può aver ben funzionato in Costa d’Avorio, ma non necessariamente altrove.



Conclusioni
L’ignoranza è il vero pericolo che mina la gioventù africana impedendole una presa di coscienza effettiva  delle sfide che la attendono. Contribuire a ridurre questa ignoranza è già fare qualche cosa. Perché solo quando le popolazioni saranno coscienti del loro peso e del loro valore, esse potranno pretendere dai loro dirigenti dei comportamenti più rigorosi, rispettosi dei loro interessi. Nell’ignoranza non vi è presa di coscienza e ognuno può fare quello che vuole perché non c’è nessuno che gli chiedere di rendere il conto. Il sistema di manipolazione delle masse africane da parte dell’Occidente ha portato un maledetto colpo duro al normale processo democratico dell’Africa, perché l’alibi del complotto dei bianchi assolve rapidamente agli occhi del popolo ogni disinvoltura dei loro dirigenti. Non subire queste manipolazioni è la garanzia che gli Africani sapranno distinguere tra dirigenti valorosi e mediocri.

E’ venuto per noi il tempo di dire enough is enough, il troppo è troppo. Ma per farlo bisogna risolvere il problema di questa grande ignoranza nella quale è immersa la maggioranza dei nostri fratelli che sono vittime di ogni manipolazione. Quello che ho fatto non è che l’inizio, spero, di questa nuova lotta che ogni Africano deve ora fare, e poi tutti insieme dobbiamo essere capaci di pretendere che la politica sia sufficientemente rigorosa per curare finalmente i nostri interessi e non più solo quelli dell’Occidente contro i nostri.

Noi siamo 1 miliardo di africani. Noi dobbiamo essere capaci di mettere i nostri dirigenti sotto pressione perché si faccia in modo, da un lato, che l’Africa diventi campione del mondo nel rispetto dei diritti naturali degli esseri umani (uomini e donne) e, dall’altra, per far rispettare i nostri interessi in tutti gli impegni internazionali che spesso i nostri governanti ignorano nonostante i plurimi diplomi.


Mi piace concludere con questi due pensieri:
A) “I paesi africani sono incoraggiati a dividersi affinché le potenze straniere siano in grado di consolidare la loro dominazione. Bisogna che l’Africa si unisca in un solo Stato come gli Stati Uniti d’America, con un solo esercito, una sola economia, una sola moneta”. Muammar Gheddafi (adepto convinto del panafricanismo di Marcus Garvey) – estratto dall’intervista accordata a France 24 e Radio France Internationale (RFI) il 6 luglio 2010

B) “I traditori di Marcus Garvey (17 agosto 1887, Saint Ann’s Bay, Giamaica – 10 giugno 1940, Londra)
Nella lotta per riscattarsi, gli oppressi sono sempre indeboliti da quelli tra loro che tradiscono la propria razza, vale a dire dagli uomini di poca fede, e da tutti quelli che si lasciano corrompere e accettano di vendere i diritti dei loro fratelli.
Nemmeno noi, gli uomini di razza nera, siamo totalmente al riparo da questo flagello. Se devo esprimere fino in fondo il mio pensiero, direi perfino che noi ne siamo afflitti più di tutti gli altri, perché noi non disponiamo della formazione e preparazione necessaria per occupare il posto che ci spetta tra i popoli e le nazioni del mondo. Nelle altre razze, il ruolo del traditore si limita in generale alla figura dell’individuo mediocre e irresponsabile. I traditori di razza nera, purtroppo, sono per lo più persone altolocate per istruzione e posizione sociale, proprio quelli che si arrogano il ruolo di leader. Ai giorni nostri, infatti, ogni individuo, o quasi, che tenta di affermarsi come leader comincia con il collocarsi, come un animale domestico, nei favori di un filantropo di un’altra razza: lo incontra, denigra la sua razza nei termini più vili, umilia la sua fierezza di uomo e si guadagna così la simpatia del “gran benefattore”, che gli detta quello che deve fare nel suo ruolo di leader della razza nera. In generale è: “Vai a dire alla tua gente di essere umili e sottomessi; dì loro di essere dei buoni servitori, obbedienti e leali verso i loro padroni. Se tu insegnerai loro questa dottrina, potrai sempre contare su di me ed ottenere 1000 dollari, o 5000 dollari all’anno di reddito, per il tuo giornale o l’istituzione che rappresenti. Io ti raccomanderò ai miei amici come un brav’uomo senza problemi”. “Ricco di questi consigli, e di una promessa di sostegno, il leader nero si avvia a guidare le masse sfortunate. Ci dirà tutto il bene possibile di Mister Untel, ci racconterà quanti buoni amici abbiamo nell’altra razza, e ci assicurerà che tutto andrà bene a condizione che ci si rimetta completamente a lui. Ecco il genere di direzione che noi subiamo da mezzo secolo. Io non vi vedo altro se non perfidia e tradimento della peggiore specie. Se l’uomo che mette in difficoltà il proprio paese è un traditore, quello che svende i diritti della sua razza non è diverso. Finché non ci saremo realizzato come una nazione di 400 milioni di uomini (nel 1910) e non avremo fatto comprendere a quelli che sono alla nostra testa che siamo malcontenti e disgustati; finché non avremo scelto noi stessi un leader verso il quale profonderemo il nostro impegno, saremo incapaci di uscire dal pantano e dal degrado e di volgersi verso la libertà, la prosperità, la stima umana”.

Marcus Garvey (padre del concetto di panafricanismo, Garvey era un intrepido combattente contro l’umiliazione inflitta alla popolazione di pelle nera da 1500 anni di schiavitù araba e europea)


(*) Jean_paul Pougala è uno scrittore camerunense, direttore de l’Institut d’Etudes Géostratégiques e professore di Sociologia e di Geopolitica alla Gneva School of Diplomacy di Ginevra in Svizzera.