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Middle East Eye, 6 dicembre 2017 (trad. ossin)
 
Quattro possibili spiegazioni del trasferimento dell’ambasciata USA a Gerusalemme
James Reinl
 
Quando l’ONU, gli Arabi, I Turchi e gli Europei sconsigliano di trasferire l’ambasciata USA a Gerusalemme, perché farlo?
 
Donald Trump e Benjamin Netanyahu
 
NEW YORK, Stati Uniti – L’atteso annuncio del presidente USA Donald Trump di trasferimento dell’ambasciata a Gerusalemme ha subito suscitato grande clamore, in quanto editorialisti e leader stranieri hanno espresso il timore che possa provocare una nuova Intifada e far fallire il tentativo di pace tra Israeliani e Palestinesi.
 
Tutto questo solleva un interrogativo elementare: perché annunciare questo trasferimento? Trump ha parlato del desiderio di giungere ad una « accordo definitivo » tra Israeliani e Palestinesi – il trasferimento dell’ambasciata potrebbe impedire che Washington possa giocare un ruolo di mediatore onesto nelle trattative future.
 
Nel frattempo Trump ha avuto modo di ascoltare i moniti dei leader arabi ed europei, del segretario dell’ONU Antonio Guterres, e anche dei suoi stessi scribacchini del Dipartimento di Stato. Il messaggio era chiaro: il trasferimento dell’ambasciata sarebbe una rottura con la politica che gli USA portano avanti da decenni e rischierebbe di provocare nuovi disordini in Medio Oriente.
 
 
Traduzione : « I paesi e le organizzazioni che hanno messo in guardia Trump contro il trasferimento dell’ambasciata a Gerusalemme:
•Giordania
•Francia
•Turchia
•Emirati arabi uniti
•Arabia saudita
•Egitto
•Qatar
•Palestina
•Marocco
•Kuwait
•Germania
•Lega araba
•Iraq
•al-Azhar »
 
Anche il pubblico statunitense respinge questa idea. Secondo un recente sondaggio pubblicati dalla Brookings Institution, un think tank, il 63 % degli Statunitensi sarebbe contrario all’iniziativa, mentre solo il 31 % l’approverebbe. Mentre i democratici sono più compattamente contrari al trasferimento, i repubblicani sarebbero divisi in due campi pressoché equivalenti.
 
Per trovare una risposta al rompicapo della tanto attesa virata politica che dovrà essere annunciata mercoledì da Trump, Middle East Eye ha interrogato degli esperti appartenenti all’intero spettro politico perché ci spieghino quali sono a loro avviso le motivazioni del 45° presidente degli Stati Uniti.
 
1. La teoria « Trump agisce da presidente »
 
Per primo, MEE si è rivolto a Benny Avni, falco filo-israeliano e cronista del New York Post. Secondo l’indulgente interpretazione di Avni, Trump realizza finalmente quanto il pubblico statunitense auspica e i legislatori hanno stabilito 22 anni fa.
 
Il Congresso ha adottato nel 1995 una legge che dispone il trasferimento dell’ambasciata USA a Gerusalemme. Per poterla mantenere a Tel Aviv, la città in cui attualmente si trova, I presidenti devono decretare un rinvio ogni sei mesi, come anche Trump ha fatto a giugno e avrebbe dovuto fare questo mese.
 
« Il trasferimento dell’ambasciata a Tel Aviv a Gerusalemme è stabilito per legge », spiega Avni a MEE. « Molti presidenti USA che avevano promesso di attuarla durante la campagna elettorale ne hanno poi rinviato l’esecuzione ogni sei mesi ».
 
Gerusalemme, o almeno la parte occidentale della città, ospita da molto tempo le istituzioni governative israeliane e sarebbe ormai tempo che  Washington e gli altri paesi la riconoscessero come capitale funzionale, mandandovi gli ambasciatori, ha sostenuto Avni.
 
Avni s’interroga sui risultati del sondaggio pubblicato da Brookings. « Il vero sondaggio sono le elezioni », afferma. Gli Statunitensi eleggono sistematicamente dei legislatori che votano progetti di legge che sostengono Israele sul piano militare e diplomatico.
 
Benché ancora non si sappia che cosa Trump annuncerà mercoledì, alcuni alti responsabili statunitensi hanno affermato che molto probabilmente riconoscerà Gerusalemme come capitale e darà disposizioni per trasferire l’ambasciata in futuro, ritardando il trasferimento di altri sei mesi.
 
2. La teoria « Trump vuole accontentare I suoi elettori »
 
Shibley Telhami, il ricercatore che ha curato il sondaggio di Brookings, tiene conto dei suoi numeri. Mentre i suoi dati dimostrano che i democratici sono massicciamente contrari al trasferimento dell’ambasciata e che i repubblicani « si dividono in due campi pressoché equivalenti » sulla questione, Trump potrebbe però rivolgersi ad un pezzo ancora più ristretto di elettorato.
 
Circa il 53 % dei cristiani evangelici, uno dei segmenti più favorevoli a Trump dell’elettorato statunitense, vuole il trasferimento dell’ambasciata a Gerusalemme, mentre il 40 % è contrario, dice Telhami.
 
Bisogna poi tener contro di altri pezzi di elettorato. Nel marzo 2016, Trump ha promesso all’American Israel Public Affairs Committee (AIPAC), una potente lobby israeliana, che « [avrebbe trasferito] l’ambasciata statunitense nella capitale eterna del popolo ebraico, Gerusalemme ».
 
Questa promessa si è tradotta in moneta sonante. Sheldon Adelson, il magnate del gioco di Las Vegas che ha versato diversi milioni di dollari alla campagna elettorale di Trump, sarebbe deluso da una mancanza di politiche filo-israeliane provenienti dall’ala ovest della Casa Bianca.
 
Alla fine dei conti, questi gruppi di interesse minoritari non sono veramente in grado di condizionare Trump, ha aggiunto Telhami. « Sul piano politico non ha il fiato sul collo di nessuno », spiega a MEE. « Chi potrebbe allontanarsi da lui nel breve termine su questa questione? Nessuno ».
 
3. La teoria « Trump forza la mano ai Palestinesi »
 
Trump non sarebbe il primo presidente USA a voler sentire il suo nome associato ad una svolta nelle relazioni tra Israele e gli Arabi – il Santo Graal degli accordi di pace è stato ricercato da Bill Clinton, Jimmy Carter e altri precursori.
 
Ma la tecnica di negoziazione di Trump – come testimoniano il suo approccio agli accordi commerciali e le sue transazioni immobiliari del passato – comporta che una parte potente stringa nei confronti del partner commerciale, onde strappare condizioni favorevoli.
 
 
Da Leggere: Donald Trump riconosce Gerusalemme come capitale di Israele
 
Nel caso di specie, il trasferimento dell’ambasciata – alla stregua delle iniziative che mirano a tagliare i finanziamenti ONU ai Palestinesi e a chiudere l’ufficio dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) a Washington – potrebbe essere un modo di forzare la mano al presidente Mahmoud Abbas.
 
Secondo Josh Ruebner, analista che lavora per la Campagna USA per i diritti dei Palestinesi, questo annuncio potrebbe « iscriversi in un atteggiamento complessivo mirante a minacciare i Palestinesi e spingerli ad accettare un accordo poco vantaggioso per loro » quando Trump renderà pubblica la sua proposta di pace, attesa per il prossimo anno.
 
4. La teoria « Trump è mal consigliato e parziale »
 
L’interpretazione meno favorevole della manovra di Trump è che essa non rientri in alcuna strategia pertinente – e che suo genero Jared Kushner, il suo inviato speciale Jason Greenblatt e gli altri portavoce in Medio Oriente siano orientati decisamente in favore di Israele.
 
Questi assistenti, che « dimostrano un’inesperienza senza precedenti e vivono in una bolla », conducono Trump su un sentiero pericoloso, afferma Telhami. Trump ha forse davvero voluto concludere un accordo di pace, ma adesso gli pare un compito troppo difficile e cerca una via di uscita.
 
Il trasferimento dell’ambasciata statunitense irriterà gli Arabi e costringerà Abbas ad abbandonare il tavolo dei negoziati. « Il gruppo di Trump si è reso conto che l’accordo del secolo era inaccessibile e che era meglio far ricadere la colpo su altri diversi da loro », rileva Telhami.
 
Per Ruebner, la realtà è ancora più fosca. Kushner, Greenblatt e i loro amici del gabinetto del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu non hanno mai preso in seria considerazione l’idea di proporre ai Palestinesi un accordo realista.
 
« Malgrado il loro sostegno di facciata ad una soluzione a due Stati, tutti sono ideologicamente convinti che Israele debba mantenere il controllo del 100% della Palestina storica, senza riconoscere diritti nazionali o umani al popolo palestinese », dichiara Ruebner a MEE.