Stampa

 

La Presse de Tunisie, 21 novembre 2016 (trad. ossin)
 
Ahmed Manasra (13 anni) condannato a 12 anni di reclusione in Israele
Mohamed Larbi Bouguerra
 
«Quando un governo imprigiona ingiustamente, il posto dell’uomo giusto è la prigione» (H.D. Thoreau, filosofo e naturalista statunitense - 1817-1862)
 
La Storia ricorderà i nomi di questi tre «giudici» e quello del procuratore di questo infame tribunale militare israeliano: Yoram Noam, Tivka Friedman-Feldman, Moshé Bar-Am e Yuval Keidar. Un “tribunale” che ha condannato per «duplice tentato omicidio», il 7 novembre 2016, un bambino, Ahmed Manasra, a 12 anni di reclusione senza pena sospesa. E lo ha fatto a porte chiuse, lontano dagli sguardi dei media, nell’ «unica democrazia» del Medio Oriente – come si usa dire in Occidente!
Ahmed (oggi) ha solo 14 anni.
 
Ahmed Manasra in ospedale prima di essere tradotto in carcere
 
Linciaggio e giustizia militare
Tutti sanno che «la giustizia militare sta alla giustizia, come la musica militare sta alla musica». Il piccolo Ahmed venne arrestato il 12 ottobre 2015 quando aveva appena 13 anni e 9 mesi. Lui e suo cugino Hassan, di 15 anni, avevano tentato di pugnalare due soldati nella colonia illegale di Pisgat Ze’ev, a nord di Gerusalemme est. Schiacciati quotidianamente dalla ingiustizia e dalla repressione, hanno voluto rivendicare in questo modo i loro diritti negati. Era il loro modo di resistere all’occupazione e ai suoi innumerevoli e umilianti check-point nella Città Santa; questi check-point che rendono la vita impossibile ai Palestinesi. Impossibile studiare, impossibile andare alla moschea Al Aqsa, impossibile lavorare, impossibile fare visita ai parenti in Cisgiordania o a Gaza.
I militari israeliani – che avrebbero ben potuto arrestarlo – hanno invece giustiziato sul posto Hassan, senza altra procedura che non fosse quella di premere il grilletto. Insomma come d’abitudine, quando dei bambini palestinesi brandiscono un coltello, un temperino o un giravite, in questa «Intifada dei coltelli» davanti ad una soldatesca sionista armata fino ai denti! Aveva pugnalato un giovane colono e un bambino.
Ahmed invece è stato arrestato e alcuni coloni israeliani, sicuri dell’impunità, hanno perfino diffuso un video che li mostra accanirsi sul bambino, picchiandolo e insultandolo. Di fatto un vero linciaggio, un assaggio delle torture e dell’interrogatorio muscolare subìto poi nei locali della polizia. Conciato male come era, Ahmed è stato trasportato in ospedale, prima di rinchiuderlo in carcere. Una ospedalizzazione che ha consentito a Benjamin Netanyahu di ingannare per un po’ l’opinione internazionale scandalizzata. Israele ha infatti diffuso le foto del bambino nel letto di ospedale dove giaceva, dopo essere stato oggetto di linciaggio da parte di Israeliani isterici. Netanyahu ha pensato in questo modo di contraddire la denuncia del Presidente Abbas a proposito del barbaro modo di comportarsi di Israele nei confronti dei bambini palestinesi. Contro gli Israeliani identificati come autori del linciaggio, nessuna iniziativa giudiziaria ovviamente!
 
Ecco come lo hanno conciato
 
Dodici anni di prigione per il bambino e la rovina per la sua famiglia
Davanti ai suoi «giudici» che parlavano solo ebraico, Ahmed si è dichiarato non colpevole: lui non aveva ferito nessuno! Ha dichiarato loro che lui e suo cugino avevano deciso di non colpire né donne, né bambini, né persone anziane. I giudici non gli hanno creduto quando ha detto loro che aveva tentato di impedire ad Hassan di picchiare un bambino e che, lungo il cammino, avevano evitato di attaccare un anziano signore. Il tribunale non ha preso in considerazione il fatto che, nemmeno al momento dell’arresto, Ahmed avesse confessato. Se lo avesse fatto, avrebbe potuto essere condannato prima del compimento dei 14 anni e quindi trasferito in un centro di detenzione per minori, invece che in prigione. Il tribunale non ha voluto prendere in considerazione la richiesta di una sua collocazione, fino al compimento dei 18 anni, in un centro di detenzione per minori e il «giudice» militare Yoram Noam ne ha ordinato il trasferimento alla sinistra prigione di Megiddo «oggi stesso». Decisione in flagrante violazione della Convenzione di Ginevra, giacché questa prigione si trova in Israele (e si è realizzata così una deportazione di un abitante di un territorio sotto occupazione militare) e in flagrante violazione anche delle Convenzioni internazionali sui diritti del bambino. Nel corso degli ultimi dieci anni, ben 7.500 bambini palestinesi sono stati imprigionati, interrogati e spesso posti in isolamento. L’avvocatessa Hiba Masalh, che ha visitato questa prigione di Meggido lo scorso 13 gennaio, riferisce che i 97 bambini di meno di 16 anni che marciscono nella sezione n.3 hanno tutti subìto delle perquisizioni corporali in stato di completa nudità e sono soggetti a varie forme di tortura, maltrattamenti e umiliazioni.
Cita in proposito i casi di Mohamed Aahed Shubaki, 15 anni e quello di Leith Jamal Al Husseini, 16 anni. Mohamed Daoud Dirbas, di soli sei anni, è il bambino più piccolo che è stato detenuto dai soldati israeliani. (Leggere il documento dei CAPJO-EuroPalestine). Ricordiamo che, con la sentenza del 6 settembre 1999, la Corte Suprema israeliana ha legalizzato la tortura: «Se un interrogatorio pressante e prolungato, che utilizzi anche delle strategie e suggestioni ingannevoli, non riesce a raggiungere l’obiettivo, non potranno essere evitate delle moderate pressioni fisiche, in caso di necessità».
Come se 12 anni di prigione non bastassero, il «giudice» militare Yoram Noam ha anche condannato Ahmed Manasra a pagare un risarcimento di 46.870 dollari alle vittime. Ciò che significa semplicemente la rovina per la sua famiglia!
 
Vendetta… pura vendetta!
Per la giornalista israeliana Amira Hass, si è trattato di «pura vendetta e nient’altro che di vendetta».
Nel quotidiano Haaretz del 16 novembre 2016, la giornalista suggerisce al tribunale un’altra motivazione, che dovrebbe recitare così: «Abbiamo oggi giudicato un bambino che, dal momento della sua nascita a Gerusalemme, ha subìto una discriminazione intenzionale e metodica a favore dei bambini ebrei della sua stessa età. Una discriminazione che si manifesta nell’abitazione, nell’istruzione, nelle occasioni di impiego, nelle infrastrutture, nella libertà di movimento e di scelta e nel diritto ad una identità collettiva. Abbiamo oggi giudicato un bambino che sopporta purtroppo ogni giorno la brutalità della polizia, il disprezzo delle istituzioni e quello di un sistema diabolico… Il mutamento dello stato delle cose non dipende solo da noi. E’ stato già dimostrato che le esecuzioni, le demolizioni delle case, le sentenze e le ammende spropositate non sono dissuasive. Tutto al contrario. Il messaggio che trasmettono ai Palestinesi è che gli ebrei odiano, perseguitano, opprimono ed espellono i Palestinesi per il solo fatto che sono Palestinesi».
Ciò non toglie che 7.000 Palestinesi siano oggi incriminati dallo Stato sionista in un vano tentativo di dissuadere i Palestinesi dall’impegnarsi nella lotta e nella resistenza all’occupazione. L’Unicef viene boicottata. La Corte Penale Internazionale non ha mai torto un capello ad un qualche responsabile israeliano, troppo occupata come è coi suoi imputati africani. Il silenzio internazionale è assordante. «Restare neutrali di fronte ad una situazione di ingiustizia, significa collocarsi dalla parte dell’oppressore», ha detto l’arcivescovo sudafricano Desmond Tutu. E il futuro presidente Donald Trump invitò nel 2013 a votare a favore dell’estremista Netanyahu, «un leader geniale per Israele», il quale, appena conosciuti i risultati delle elezioni statunitensi dell’8 novembre 2016, si è precipitato a felicitarsi con questo noto razzista e a dire che Donald Trump è il migliore alleato di Israele!
 
Per i bambini della Palestina, è chiaro che, come dice il filosofo Daniel Bensaïd: «E’ resistendo all’irresistibile che si diventa rivoluzionari».