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Cf2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement), 13 marzo 2015 (trad.ossin)



Iraq : le milizie sciite in prima linea
Alain Rodier

La battaglia per la riconquista di Tikrit, la città natale di Saddam Hussein, viene seguita da vicino da tutti gli osservatori, per capire come si stia collocando l’attuale governo di Bagdad. Sembra sempre di più che esso si sia posto sotto la tutela, almeno sul piano tattico, degli Iraniani. I Guardiani della Rivoluzione iraniani (i pasdaran) sono il braccio armato della politica di Teheran. E sono loro a comandare, appoggiare, equipaggiare le milizie sciite irachene, che svolgono un ruolo molto più attivo dell’esercito, confinato in un piano meramente suppletivo. Il grande problema è che questo stato di fatto non corrisponde a quanto auspicato dalla comunità internazionale: vale a dire la reintegrazione della minoranza irachena sunnita nelle strutture statali. Ciò è tanto più vero, dal momento che i sunniti continuano ad essere considerati come complici dello Stato Islamico (IS o Daech)


Comportamenti censurabili nei confronti dei sunniti

Così il Primo Ministro – sciita – Haider al-Abbadi ha dichiarato: “Non vi può essere neutralità nella lotta contro l’IS. Se qualcuno si mostra neutrale nei confronti dell’IS, allora è uno dei loro”. Questa affermazione perentoria contrasta con l’auspicio del grande ayatollah Ali al-Sistani, la più alta autorità religiosa irachena, che esorta i miliziani sciiti a “rispettare i civili e i loro beni”. Le forze impegnate nella liberazione di Tikrit dal controllo di Daech sono, per due terzi, costituite da milizie sciite. Questi ultimi potrebbero trovare “nell’assegno in bianco” emesso dal Primo Ministro – che si è però comportato con maggiore moderazione dopo questa dichiarazione bellicosa – la giustificazione per vendicarsi della popolazione sunnita, sospettata di avere appoggiato Daech durante la conquista della città nel giugno 2014. Vero è che, all’epoca, molti sciiti sono stati massacrati dagli aggressori – ivi compresi 1.600 cadetti dell’aeronautica militare che si trovavano nel campo Speicher – la cui ignominia è diventata leggendaria. Quanto agli attivisti del movimento salafista-jihadista identificati, la loro sorte sembra certa. Ahmed al-Zamili, comandante della milizia sciita irachena Al Qara’a, non usa mezzi termini: “Li troveremo, li disarmeremo, parleremo con loro, raccoglieremo le loro confessioni e poi li uccideremo”.

Già molte milizie sciite sono state accusate, da qualche associazione, di crimini di guerra, dell’assassinio di civili e di pulizia etnica. Ne risulta un esacerbamento dell’odio tra i belligeranti e, come sempre, sono le popolazioni civili che ne pagano il tributo più alto.


I metodi di combattimento delle milizie sciite irachene

Il comando delle milizie sciite irachene viene assicurato dal Comitato di mobilitazione popolare (Hachid Chaabi), guidato da Jamal Jaafar Mohammed, alias Abou Mahdi al-Monhandes. Esso è tuttavia molto decentrato, assicurando grande autonomia fino ai livelli più bassi della scala gerarchica.

I metodi di combattimento delle milizie assomigliano a quelli della fanteria leggera. Il contatto è ricercato, attirando l’avversario il più vicino possibile, con degli attacchi molto aggressivi, fino al corpo a corpo. La mobilità e la notte vengono largamente utilizzati per operare non visti e al riparo dei colpi dell’avversario. Una grande importanza viene accordata al fuoco di copertura che precede e accompagna tutte le manovre. Esso è assicurato da lanciarazzi multipli pesanti e leggeri, da mortai e da carri armati usati isolatamente come “cannoni d’assalto”. Nel fuoco diretto, i miliziani usano anche cannoni senza rinculo, mitragliatrici antiaeree, mitragliatrici pesanti si 12,7 mm, caricate con M113 A” e Humvees “recuperati” dagli stock dell’esercito iracheno. Come veicoli, i miliziani prediligono i pick-up Ford, Chevrolet, Dodge… Washington non è troppo contenta di vedere il materiale che ha fornito per ricostruire l’esercito nazionale iracheno, finito nelle mani delle milizie sciite e dei loro mentori iraniani.



Il generale Qassem Suleimani durante la battaglia di Tikrit


La logistica viene assicurata dai pasdaran che forniscono approvvigionamenti e munizioni in modo estremamente rapido ed efficiente. All’uopo, Teheran ha realizzato un vero e proprio ponte aereo quotidiano verso Bagdad, attraverso il quale assicura più di 1.000 tonnellate di rifornimenti settimanali. E’ probabile che l’aiuto logistico transiti anche attraverso le strade che attraversano le frontiere tra i due Stati. La guerra è avida di munizioni e le milizie irachene usano armamenti variegati e diversi, dai diversi calibri. L’Iran è in grado di fronteggiare la domanda, con la sua industria di armi che si è specializzata nel produrre un po’ tutto quello che esiste, dalle cartucce di fanteria fino ai razzi e agli obici di artiglieria, modello NATO o ex Patto di Varsavia. Anche la Russia partecipa direttamente a questo flusso logistico. Da parte loro gli Occidentali, bloccati nelle loro procedure politico-amministrative, non hanno uguale reattività, e ciò provoca la rabbia degli ufficiali iracheni.

Per coordinare il tutto, l’Iran ha messo in piedi dei piccoli centri di comando, di trasmissione e di logistica congiunti, situati in prossimità delle zone di combattimento. Essi hanno consentito soprattutto la circolazione delle informazioni tra le unità dell’esercito iracheno, le milizie sciite e i peshmerga. L’integrazione delle varie forze è spesso opportuna, soprattutto nella regione di Diyala e di Tikrit, dove i militari si sono ritrovati di fatto agli ordini del comando iraco-iraniano.

Occasionalmente, le milizie sciite sono state appoggiate da aerei iraniani o da Su-24 con colori iracheni, ma pilotati e organizzati dalla componente aeronautica dei pasdaran. Nella riconquista di Diyala, l’ambasciatore statunitense in Iraq, Stuart Jones, aveva discretamente proposto di fornire una copertura aria-suolo, ma il comando delle milizie ha respinto la proposta ritenendo che i rischi di errore sarebbero stati troppo alti, un modo elegante per non essere accusato di una eccessiva cooperazione con il “grande Satana”. Offesi e non volendo perdere la faccia, gli Statunitensi hanno dichiarato ufficialmente che essi non sostenevano l’offensiva contro Tikrit (1). Risultato: in caso di successo, saranno gli Iraniani a trarne i benefici. In caso di fallimento, potranno dire che la coalizione è rimasta inattiva.

Sul piano della intelligence, vengono impiegati dei droni iraniani (tra i quali, anche degli Ababil), evidentemente manovrati da pasdaran. E’ probabile che gli stessi pasdaran abbiano attivato dei centri di ascolto e di localizzazione.

In tutta evidenza, le forze armate irachene non presentano la stessa aggressività, né la duttilità necessaria allo sfruttamento rapido della situazione sul campo. Inoltre esse sembrano ancora minate dalla corruzione, almeno al livello intermedio, cosa che demotiva la truppa e impedisce che si crei un rapporto di fiducia coi comandanti.


Conclusioni

Il problema sta soprattutto nel fatto che ogni vittoria delle milizie sciite incoraggia le tensioni intercomunitarie, emarginando sempre di più le popolazioni sunnite. Inoltre, nel corso degli anni, alcune milizie sciite si sono scontrate con le forze USA. Per esempio le brigate di Hezbollah iracheno (Harakat Hizbullah Al Nujaba e Kata’eb Hizbullah) sono considerate da Washington come movimenti terroristi. Lo stesso è per la più importante milizia sciita: la Asa’ib Ahl al-Haq (La Lega dei virtuosi), che è presente sia in Iraq che in Siria.

La soluzione auspicata è la fusione delle milizie sciite e degli elementi combattenti delle tribù sunnite in un corpo unico tipo “Guardia Nazionale”. Ma un simile progetto è al momento irrealizzabile, tanto sono esacerbate le tensioni comunitarie. Infine, il grande timore degli Occidentali è che le milizie sciite, una volta avuta ragione di Daech, si rivoltino loro contro.

Il teatro iracheno non deve far dimenticare il fronte siriano, dove le forze governative, Hezbollah libanese e i pasdaran iraniani sono ripassati con successo all’offensiva, in particolare nel sud del paese, in prossimità del Golan e del Sud-Libano. Per gli Iraniani si tratta in effetti di un solo e unico teatro di operazioni, che giustifica un impegno massiccio, per quanto relativamente discreto.

Per fare delle previsioni, è utile citare le dichiarazioni di Ali Younesi, un fidato consigliere del Presidente “riformatore” Rohani: “L’Iran è di nuovo un impero (…) e la sua capitale è l’Iraq (…) l’Islam iraniano è un islam puro, immune da arabismo, razzismo e nazionalismo…”. Ciò sembra prefigurare una frammentazione dei paesi del Medio Oriente su basi religiose sunnite-sciite (Iraq, Siria, Yemen), tanto più che nella stessa dichiarazione, Touseni ha aggiunto; “L’Arabia Saudita non ha nulla da temere dall’Iran, perché gli stessi Sauditi sono incapaci di difendere i popoli della regione”. Come offesa, sarebbe difficile trovare di meglio.


Nota:

(1)    Washington si dice “preoccupata” dalla presenza di consiglieri militari iraniani a sostegno delle forze irachene nell’offensiva di Tikrit (…) Il pericolo di lotte interconfessionali in Iraq è il fattore principale che potrebbe minare la campagna contro l’IS.