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http://ww2.carta.org/articoli/articles/art_10111.html  13 marzo 2007
ore 01:56



A chi interessa la Guinea?


Sarah Di Nella - 26 gennaio 2007


Dal 10 gennaio, la Guinea Conakry è paralizzata da uno sciopero generale. Non è la prima volta che il paese sceglie di fermarsi per protestare contro condizioni di vita sempre più difficili. Solo nel 2006 lo ha fatto due volte. «Nel marzo 2006 i sindacati si sono mobilitati contro l'aumento del costo della vita - spiega Adramet Barry, ingegnere informatico e volontario a Conakry della Svolta umanista, che insieme ad altre associazioni che cooperano con la Guinea, ha organizzato a Roma, il 25 gennaio, un incontro sulla situazione nel paese - Un funzionario guadagna circa 175 mila franchi guineani al mese, 20 euro, e con questo deve pagare l'affitto, il riso e il carburante. È semplicemente impossibile. Con uno stipendio, si riesce ad andare avanti per una decina di giorni, non di più. Questo crea veri propri drammi in un paese dove la gente è costretta a fare qualunque cosa per vivere. La Guinea di oggi è un paese senza futuro».
Per porre fine a questo primo sciopero, il governo del presidente Lansana Conté aveva fatto delle promesse. A giugno però, non era cambiato niente ed è stato indetto un secondo sciopero generale. Altre promesse, altra inerzia. A dicembre, i sindacati hanno minacciato un terzo sciopero, sospeso per l'arresto del presidente della Confindustria guineana e di un ex ministro della gioventù e dello sport, condannati per avere sottratto 40 miliardi di franchi guineani [500 mila euro] e incarcerati. «La notizia - spiega Adramet Barry - è stata accolta come una svolta dalla popolazione, che con speranza ha guardato a questi arresti come all'inizio di una nuova epoca politica».
Una settimana dopo però, il presidente Lansana Conté - un anziano signore malato da tempo, arrivato al potere con un golpe militare nel 1984 e rieletto nel 1993, 1998 e 2003 con dubbie elezioni e che ha modificato la costituzione per garantirsi pieni poteri a vita - si è recato di persona alla prigione dove erano rinchiusi e li ha liberati. Conté ha poi liquidato le critiche con uno sprezzante «Io sono la giustizia, il parlamento e l'esecutivo».
Parole che hanno scatenato l'ira della popolazione e spinto i sindacati a indire un nuovo sciopero. Questa volta però, la faccenda ha assunto una dimensione diversa. «La rivendicazione di un gruppo sindacalista si è estesa al resto della popolazione, consapevole della posta in gioco con questo sciopero. Le cose devono cambiare e questa è la nostra ultima possibilità» spiega Oumou Mara, giornalista di Radio Liberté Fm, la radio libera più ascoltata del paese. La grande marcia del 22 gennaio scorso, indetta dalla società civile, ha infatti coinvolto migliaia di persone in tutto il paese, dando una nuova piega al movimento, severamente represso dalla guardia presidenziale. Solo quel giorno sono morte 49 persone, dall'inizio dello sciopero le vittime sono 59.
Mamadou Diallo, medico e volontario della Svolta umanista, racconta che «la vita è diventata un inferno a Conakry e nelle città del resto del paese. Le brigate anticriminali, create dal presidente, sono diventate brigate antipopolazione. Entrano nelle case e rubano tutto, violentano le donne. Se protesti rischi di farti sparare. Abbiamo bisogno di aiuto ora». Oumou Mara dice che «a Conakry, il prezzo riso è stato moltiplicato per quattro dall'inizio della crisi. La gente non ce la fa più. Tutti sperano in una veloce uscita dalla crisi. Il presidente, i sindacati, e gli industriali sono riuniti al Palais du peuple. Si sono già accordati su una modifica della costituzione che reintroduca la figura del premier. Resta però da definire quali saranno i poteri di questo premier». Il nome del nuovo capo del governo guineano non è trapelato ma si sussurra che potrebbe essere Sidya Touré, capo dell'Unione delle forze repubblicane, il principale partito di opposizione, ed ex premier della Guinea dal 1996 al 1999.
Sullo sfondo, c'è anche il rischio di tensioni etniche. Il potere è infatti in mano ai Soussou, un'etnia minoritaria. Una situazione che l'etnia maggioritaria Peul sopporta sempre meno. «E anche gli altri popoli che finora hanno convissuto pacificamente - spiega Oumou Mara - per questo una delle rivendicazioni del movimento è la nomina di un governo di unione nazionale in cui tutti siano rappresentati».
La Guinea, circondata da paesi politicamente instabili come la Liberia, la Costa D'Avorio o la Sierra Leone ha storicamente avuto un ruolo di paciere nella regione. «Se scoppia un conflitto qui - dice con amara ironia Adramet - dove ci rifugiamo? Dai rifugiati?».
Il paese è teatro di uno scontro, come del resto l'insieme del continente, tra la Francia che cerca di mantenere il suo controllo e gli Stati uniti, che hanno costruito a Conakry un'ambasciata gigantesca proprio di fronte al palazzo presidenziale, lasciando pochi dubbi su chi esercita il potere nel paese. Isabel Torres-Carrilho, della Svolta umanista, conosce bene la Guinea dove la sua associazione porta avanti da anni progetti di alfabetizzazione, dispensari medici e scuole, ed è piuttosto infastidita dall'indifferenza che circonda gli eventi guineani.
«Quando si tratta di costruire treni per portare la bauxite fino al porto, impiantare aziende che si impossessino del petrolio appena scoperto nel mare e non solo, speculare su diamanti, oro e risorse naturali ci sono tutti. Gli unici bianchi che ho incontrato lì, a parte qualche russo che è rimasto lì dall'epoca di Sékou Touré, sono gli impiegati della Esso, della Total, e persone che trafficano con i minerali e riescono a fare affari d'oro visto la corruzione dilagante. Chiediamo che l'interesse che si è manifestato così efficacemente per le questioni economiche, torni a farsi sentire anche per le questioni sociali».
Un'esigenza condivisa da sempre più guineani che si aspettano da questo movimento che qualcosa cambi. Per Oumou Mara le attese si concentrano soprattutto su «una gestione trasparente dei settori chiave, a partire dalle risorse naturali» per ora dati in pasto da Banca mondiale e Fondo monetario internazionale alle multinazionali straniere e agli insaziabili appetiti degli amici del dittatore.

 
 

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