Venerdì scorso (23 febbraio) i deputati guineani hanno votato all’unanimità contro la proroga dello stato di assedio, decretato dal presidente Lansana Conté.
Tutti gli 86 deputati presenti alla seduta dell’Assemblea Nazionale hanno rifiutato per alzata di mano di prolungare lo stato di assedio, che dovrebbe dunque essere cessato nella serata di venerdì.
Dall’inizio di gennaio è in corso in Guinea uno sciopero generale illimitato, segnato da numerosi atti di violenza che hanno provocato almeno 113 morti. Il presidente Conté aveva decretato il 12 febbraio lo stato di assedio per dodici giorni e giovedì scorso aveva chiesto all’Assemblea nazionale di autorizzarne la proroga. L’Assemblea, nella quale pure il Partito dell’unità e del Progresso (PUP) di Conté ha una larghissima maggioranza, disponendo di 90 deputati su 114, non ha accolto la richiesta del capo dello Stato.
Rabiatou Serah Diallo, la combattiva segretaria generale del sindacato CNTG, ha dichiarato che lo sciopero continuerà fino alla nomina di un nuovo primo ministro che goda di un consenso generale. Ha ribadito tale posizione anche nel corso dell’incontro con la delegazione della Cédéao (Comunità economica degli Stati dell’Africa dell’ovest)

Nella situazione di relativa calma seguita all’applicazione dello stato di assedio, era stato il presidente dell’Assemblea Nazionale, Aboubacar Somparè ad annunciare giovedì alla Radio-televisione della Guinea (RTG) di avere ricevuto la richiesta del presidente della Repubblica di autorizzare il prolungamento dello stato di assedio.
Somparé aveva aggiunto: “Questo non vuole dire che sia già deciso, occorre che si svolga un ampio dibattito in aula, ma l’obiettivo è unicamente di garantire la sicurezza della popolazione per permetterle di attendere alle proprie occupazioni in tutta tranquillità”.
I deputati guineani erano stati convocati per venerdì mattina in seduta plenaria. L’Assemblea nazionale è la sola competente a decidere il prolungamento dello stato di assedio e ha respinto, come si è visto, la richiesta del presidente.
I sindacati, dal canto loro, rifiutano di revocare lo sciopero indetto il 10 gennaio e ripreso il 12 febbraio, fino a quando non avranno ottenuto la sostituzione del primo ministro, giudicando quello nominato dal presidente, Eugène Camara, troppo vicino a Lansana Conté.

La situazione guineana desta preoccupazione anche nei paesi vicini, dove viene considerata un fattore di destabilizzazione per l’intera regione.
Sempre giovedì è giunta a Conakry una delegazione della Comunità economica degli Stati dell’Africa dell’ovest (Cédéao) per incontrare sindacati e autorità e manifestare l’inquietudine crescente della comunità internazionale di fronte alla situazione della Guinea.
Le dichiarazioni dell’ex capo di stato nigeriano Ibrahima Babangida e del presidente della Commissione della Cédéao, Mohammed Ibn Chambas, giunti in tarda mattinata, sono state tuttavia improntate all’ottimismo.
Questa missione, la decima in meno di una settimana, è sostenuta dalla Francia e dalle Nazioni Unite.
Lo Stato maggiore dell’esercito francese ha annunciato la partenza venerdì da Dakar di una nave della marina militare, Le Sirocco, verso le acque internazionali al largo della Guinea, pronta a intervenire in caso di necessità.

L’agenzia PANA (Pan-African news agency) ha riferito che diverse ONG della diaspora guineana, raggruppate in una “Piattaforma”, intendono ottenere il deferimento del presidente Lansana Conté davanti a una corte di giustizia, considerandolo il “principale responsabile” dell’uccisione di oltre 113 persone dall’inizio della crisi politica.
Il portavoce della “piattaforma”, Cissé Campel, ha dichiarato in proposito: “Quando un presidente ordina di sparare sul suo popolo vuol dire che non lo ama. Lansana Conté per noi è colui che ha ordinato le uccisioni e per questo deve essere giudicato”.
In una intervista rilasciata alla Pana, lo stesso Campel ha assicurato che “il presidente Conté sarà giudicato, quando sarà il momento, sia davanti alla giustizia guineana che davanti a un tribunale europeo o davanti alla Corte penale internazionale”.
Ha aggiunto ancora: “Lansana Conté si è spesso vantato di amare la Guinea. Ha avuto l’occasione di provarlo dimettendosi di fronte alla contestazione popolare e non l’ha fatto. Ha scelto invece di far aprire il fuoco contro la gioventù del suo paese. Deve rispondere di questo”.
Campel ha ancora accusato la comunità internazionale di “complicità e connivenza”.
“L’Europa ci riempie le orecchie di discorsi sull’immigrazione clandestina proveniente dall’Africa. Nello stesso tempo non fa niente per proteggere la gioventù guineana che desidera restare nel suo paese”.
Ricordando i rapporti privilegiati tra la Francia e la Guinea, Campel ha criticato la posizione ufficiale francese sulla Guinea e la dichiarazione del presidente Jacques Chirac, secondo cui la Francia si limiterà a evacuare i suoi circa tremila cittadini residenti in Guinea se la situazione dovesse degenerare.
Campel ha protestato: “E’ inaccettabile questa compiacenza verso Conté. Non è normale che un dittatore come Conté venga a nascondere del denaro in Francia, che la sua famiglia venga a curarsi e a comprare degli immobili”.



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