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Legrandsoir – 25 maggio 2010

La resistenza sociale in Grecia: bilancio e prospettive

di Dimitris Fasfalis


Nonostante il successo della mobilitazione del 5 maggio, la resistenza sociale in Grecia fa fatica a rompere il cerchio della censura mediatica. Quando non sono le menzogne, infatti, è il silenzio che le viene riservato dai media, come è stato nell’editoriale di Liberation dello scorso 6 maggio: “La spirale del peggio. Uno sciopero generale che degenera, una banca incendiata, tre vittime e manifestazioni destinate a ripetersi”.
La selezione delle notizie e le sintesi ingannevoli riusciranno senza dubbio a screditare il movimento sociale agli occhi di molti. E’ utile dunque approfondire la breve storia del movimento di resistenza in Grecia.

Lo sciopero generale del 5 maggio
Il successo di questa giornata di sciopero interprofessionale e di manifestazioni non consente dubbi. Lo sciopero proclamato dalla Confederazione Generale dei lavoratori greci (GSEE) e dal Sindacato della funzione pubblica (ADEDY) ha visto una massiccia adesione dei salariati pubblici e privati. A eccezione di Larissa, in tutte le grandi città greche vi sono state manifestazioni contro il piano di austerità: Tripoli, Patrasso, Volos, Ioannina, Igoumenitsa, Hérakleion, e anche Salonicco, dove migliaia di manifestanti hanno marciato. Ma è stato ad Atene che vi sono state le manifestazioni più importanti: la marea umana che ha invaso le strade della capitale ha riunito quasi 250.000 persone. I cortei riflettevano la diversità della classe operaia della metropoli: salariati del settore privato, come quelli del cantiere navale di Skaramanga, i salariati dei servizi pubblici, come gli insegnanti e i dipendenti dell’ex impresa pubblica di elettricità (DEH), disoccupati e pensionati, studenti e liceali, lavoratori immigrati e collettivi di sans-papier. Gli slogan dei diversi cortei esprimevano il rifiuto dei lavoratori di pagare per la crisi provocata dal capitale finanziario: “No alla marea antioperaia”, “No alla flessibilità, sì alle 35 ore”, “Salariati, ribellatevi! Ci prendono tutto”, “Noi abbiamo pagato i loro profitti, non vogliamo pagare anche la loro crisi” (Avgi, 6 maggio 2010).
Johanna, trent’anni, è venuta a manifestare per “dire NO al FMI. Ci vogliono far credere che sia necessario che sbarchi qui, ma non ci credo nemmeno un poco. La situazione va peggiorando: abbassano i nostri salari, sopprimono i posti di lavoro dei precari, riducono le pensioni. Chi può accettare un tale trattamento?” Un sentimento profondo di ingiustizia anima i manifestanti. Yannis, trent’anni, professore in una grande scuola: “Tutti capiscono che questa non è giustizia. Il denaro c’è, ma non vogliono andare a prenderlo dove ce n’è di più… Io non so che cosa si dovrebbe fare: non ci hanno proposto alcuna alternativa” (L’Humanité, 6 maggio 2010)
Ilias Vretakou, vice presidente di ADEDY, ha spiegato gli obiettivi del movimento contro il piano di rigore nel suo discorso ai manifestanti:
“Noi mandiamo da Atene un messaggio di lotta e resistenza ai lavoratori di tutti i paesi d’Europa, contro la barbarie dei mercati capitalisti, dei governi e dell’Unione Europea. Il governo, il FMI, l’Unione Europea hanno deciso di portare i lavoratori, la società greca, alla barbarie sociale più selvaggia che si sia mai vista. Spianano i lavoratori e la società. Ci rubano il lavoro, ci rubano le pensioni, ci rubano il diritto al lavoro e alla protezione sociale, ci rubano il diritto alla vita. Impongono la giungla delle relazioni di lavoro, aboliscono i minimi salariali, privilegiano i contratti di prima assunzione, liberalizzano i licenziamenti, diminuiscono i sussidi sociali, diminuiscono la percentuale oraria delle ore supplementari. Danno la possibilità ai padroni di gettare nella strada un vecchio operario e con gli stessi soldi assumere 3 o 4 giovani precari” (Avgi, 6 maggio 2010).
Sono stati soprattutto accolti da vivi applausi il messaggio di solidarietà di Claus Matecki, responsabile del sindacato tedesco DGB, e quello di Paul Fourier della CGT (Francia), che ha dichiarato: “Oggi noi siamo tutti Greci! Grazie e auguri”. (L’Humanité, 6 maggio 2010).
Se la Coalizione della sinistra radicale (Syriza) e il Partito comunista greco (KKE) hanno segnato una importante presenza nella manifestazione, i socialisti del Pasok sono stati assenti, anche se il piano di austerità ha suscitato gravi turbamenti nell’ala sinistra del partito. Tra i manifestanti sono numerosi quelli che hanno votato socialista nell’ottobre 2009. Oggi sono delusi e arrabbiati nello scoprire che la sinistra vittoriosa alle elezioni legislative ha capitolato di fronte alla politica neoliberista del capitale. Dimitra, pensionato della regione di Atene, non riesce a trovare parole abbastanza dure per parlare di Georges Papandreu (primo ministro socialista). Sperava che con la vittoria dei socialisti “le cose  sarebbero migliorate”. “Quando penso che ho votato per questo imbecille!”, esclama oggi (L’Humanité, 11 maggio 2010).
Prendendo a bersaglio i simboli della cultura mercantile e del capitalismo finanziario, alcuni giovani in passamontagna (i cosiddetti “koukoulofori”) hanno attirato l’attenzione dei media. La banca Marfin sull’avenue Egnatia è stata incendiata e tre impiegati sono morti. Obbligati dal padrone a lavorare nonostante lo sciopero generale, erano chiusi a chiave nello stabilimento ed è stato questo, oltre alla mancanza di un’uscita di soccorso, a impedire loro di sfuggire alle fiamme. La risposta del movimento sociale è stata senza ambiguità. La stessa sera del 5 maggio, il presidente dell’ADEDY ha spiegato che “queste pratiche fasciste hanno l’obiettivo di impaurire la gente proprio quando la lotta di massa è necessaria per sbarrare la strada a misure sciagurate per la vita dei Greci” (Avgi, 6 maggio 2010). Il giorno dopo una folle triste si è formata in piazza Syndagma, davanti al Parlamento greco, per opporsi all’adozione del piano di rigore da parte dei deputati dell’Assemblea nazionale (Avgi, 7 maggio 2010).
L’esasperazione popolare nei confronti del governo socialista di G. Papandreu non è estranea a queste violenze. Il piano di austerità imposto alla Grecia dai mercati finanziari, FMI e Unione europea, è una flagrante negazione della sovranità nazionale e della democrazia. D’altra parte il governo resta inflessibile da febbraio e rifiuta di ascoltare il messaggio della strada. Rafforza addirittura l’autoritarismo del piano. L’attuazione del piano è affidata ad ordinanze del ministro delle Finanze da adottarsi senza interferenze parlamentari. L’Assemblea nazionale sarà solo consultata per l’ applicazione del piano adottato il 6 maggio scorso. E’ così che un simile disprezzo per il popolo e la democrazia rendono legittima agli occhi di qualcuno il ricorso alla violenza. Vale a dire che il partito dell’ordine diretto dai socialisti ha per proprio corollario la violenza dei “koukouloforoi” nel corso delle mobilitazioni sociali. Al di là dei giovani incappucciati, l’assenza di legittimità democratica nel piano di austerità alimenta un antiparlamentarismo fortissimo in seno ad una parte del movimento. Slogan come: “Bruci! Bruci il Parlamento!”, “Bruci quel bordello che è il Parlamento!”, o ancora “Date i ladri al popolo!” si sono sentiti a più riprese nel corso della manifestazione del 5 maggio. Qualche decina di manifestanti han peraltro tentato di superare la barriera di sicurezza del Parlamento, prima di essere violentemente respinti dalla polizia (Avgi, 6 maggio 2010).

Prima e dopo il 5 maggio
Il 5 maggio è stato un successo perché è stato preparato: la mobilitazione unitaria e massiccia non è stata una risposta spontanea della popolazione, ma piuttosto il risultato di due mesi e mezzo di giornate di azione dei sindacati operai. Fin dal 24 febbraio, il movimento sindacale si è impegnato nell’opposizione al piano di rigore annunciato, contrastando così il monopolio della informazione e della politica delle classi dirigenti e dei loro portavoce. E’ stato proprio questo lavoro critico, fatto di mobilitazioni nelle strade e nei luoghi di lavoro, che ha permesso al movimento sociale di rappresentare altre soluzioni possibili rispetto a quelle dettate dal capitale finanziario. In questo modo è stata messa in discussione l’idea reazionaria secondo cui il piano sarebbe un male necessario, aprendo la porta ad una risposta popolare.
Il 24 febbraio vi è stata una prima risposta alle misure di austerità proposte dal governo con uno sciopero interprofessionale. Ha costituito allo stesso tempo un’accoglienza adeguata per gli emissari dell’Unione Europea inviati ad Atene per controllare i conti del paese. Ad Atene sono scese in piazza 45.000 manifestanti; a Salonicco 10.000. In uno dei cortei di Atene, Dimitri, ventotto anni e ingegnere del genio civile, spiega le ragioni della mobilitazione: “Noi vogliamo un lavoro, un salario giusto e una vera sicurezza sociale. Il nostro paese non deve rispettare le norme dell’Unione Europea che sono ingiuste”.(L’Humanité, 25 febbraio).
Un secondo sciopero generale di 24 ore vi è stato l’11 marzo, accompagnato da manifestazioni nelle città principali.
Se le giornate dello sciopero interprofessionale – del 24 febbraio, dell’11 marzo e del 5 maggio – costituiscono indubbiamente i momenti forti delle mobilitazioni popolari contro l’offensiva neoliberale, tutta una serie di manifestazioni più limitate hanno giocato un ruolo determinante per costruire una dinamica di mobilitazione e per assicurare la continuità del movimento. Fabien Perrier, inviato speciale de l’Humanitè, descrive l’atmosfera di agitazione sociale che regnava ad Atene a fine aprile: “Ad Atene ogni giorno le strade risuonano delle grida dei manifestanti e della rabbia dei diversi corpi professionali” (L’Humanité, 27 aprile). Molte di queste mobilitazioni hanno preparato lo sciopero generale. Il 5 marzo è stata per esempio una giornata di manifestazioni in diverse città per avviare la mobilitazione in vista dello sciopero interprofessionale dell’11 marzo. La manifestazione del 5 marzo a Volos ha visto la presenza non solo dei sindacalisti ma anche dei dipendenti licenziati dalla METKA ed è terminata con un concerto di solidarietà di molti artisti. Allo stesso modo il 1° maggio è stata un’occasione per rilanciare la mobilitazione di massa prima dello sciopero generale del 5 maggio. Il Sindacato della funzione pubblica (ADEDY) ha proclamato lo sciopero del 4 maggio per la stessa ragione. Lo sciopero è stato partecipato ed ha dato luogo a diverse manifestazioni.
Queste mobilitazioni hanno anche consentito di portare avanti la lotta per allargare il consenso. Molte delle azioni del movimento sono state delle risposte rivolte al governo ad ogni sviluppo della crisi. Così, quando il primo ministro Georges Papandreu ha annunciato ai media il 25 aprile l’attivazione del meccanismo europeo di sostegno finanziario, centinaia di manifestanti hanno risposto nelle strade del centro di Atene con lo slogan: “La lotta popolare distruggerà il mattatoio del FMI!” (Avgi, 25 aprile 2010). Due giorni più tardi, il 27 aprile, i funzionari pubblici erano in sciopero e gli insegnati erano accampati in piazza Syndagma, davanti al Parlamento, per denunciare il salasso imposto all’educazione. Nello stesso tempo il porto del Pireo era bloccato da uno sciopero di 24 ore dei marinai.  Poco a poco, ciò che era apparsa come una fatalità agli occhi della maggioranza è diventata una questione di rapporti di forza. Un sondaggio del giornale To Vima ha stimato al 79,5% il numero di coloro che sono in disaccordo coi provvedimenti di riduzione dei salari. In seno al movimento sociale, i partecipanti acquistano sicurezza e si allarga l’idea che la lotta può dare dei risultati. Despina, ventisette anni, non è andata a manifestare il 4 maggio insieme ai funzionari, Ma sottolinea comunque che “gli scioperanti hanno ragione; hanno capito tutto. I funzionari sono i primi (a trovarsi nel mirino del governo); è tutta la Grecia che ne pagherà le conseguenze. I sindacati sono uniti, il potere comincia a tremare” (L’Humanitè, 5 maggio 2010).
Salutiamo questo movimento di resistenza contro la dittatura del capitale finanziario. Le mobilitazioni dei due ultimi mesi sono stati degni della lotta contro la dittatura dei colonnelli (1967-1974) e della Resistenza. Molte questioni restano tuttavia in sospeso. Prima di tutto quella della strategia delle grandi centrali sindacali: di fronte a un governo che rifiuta di dare ascolto al grido di protesta del popolo e che, in più, imbavaglia il Parlamento pur di realizzare un piano scritto dai mercati del capitale, gli scioperi interprofessionali di 24 ore non rischiano essi stessi di diventare la dimostrazione dell’impotenza del movimento? Quanto tempo il governo socialista e i suoi alleati dell’Unione Europea potrebbero invece tenere testa ad uno sciopero generale illimitato diretto da assemblee generali popolari?
Dopo viene una seconda questione: come assicurare la continuità del movimento senza un organo centrale democratico che rappresenti le sue diverse componenti nelle strade, i luoghi di lavoro, la stampa e i quartieri?
Queste due questioni ci sembrano cruciali perché determineranno nelle settimane a venire la riuscita o il fallimento del movimento per allargare il campo del possibile e così battere la fatalità della regressione sociale la cui sorte è legata a quella della barbarie neoliberale.  L’obiettivo è ambizioso: l’avvenire immediato dello stato sociale in Europa si decide oggi nelle strade di Atene.




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