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Le monde diplomatique, settembre 2014 (trad. ossin)


In Sinai una "sporca guerra" che non si dichiara

Ismail Alexandrani


Secondo il rapporto da poco pubblicato di Human Rights Watch, almeno 800 Fratelli Mussulmani sono stati uccisi il 14 agosto 2013 al Cairo dopo la destituzione del presidente Morsi, vale a dire "uno dei più imponenti massacri di manifestanti della storia recente". Nel Sinai la popolazione paga il prezzo della guerra che si combatte tra le milizie jihadiste e l'esercito egiziano


Aveva 31 anni. Mohammed Youssef Tabl è stato abbattuto da un soldato egiziano alle porte della città di Cheikh Zouayyd, a trenta chilometri a est di Al-Arich, in Sinai. Componente di una missione ufficiale incaricata di raccogliere informazioni sulla situazione nella regione, era noto, e la sua morte non è passata inosservata. La simpatia e la solidarietà hanno aiutato la famiglia e i suoi amici a contenere la rabbia. Altre migliaia di vittime anonime non hanno avuto la stessa fortuna. Tabl è cresciuto in ambiente urbano e si è formato ad Al Arich, mentre la popolazione di questa zona di frontiera con Israele è essenzialmente beduina, emarginata e poco considerata. Vittima della politica di terra bruciata che viene praticata in quei luoghi, ha preso le armi solo quando vi è stata costretta.


Dal 1948 la resistenza contro Israele

Quando, nel gennaio 2011, la rivoluzione è scoppiata un po' dappertutto in Egitto, Al-Arich, capitale del governatorato del Sinai del Nord, non è stata da meno. Ma la reazione alla prima uccisione di un manifestante, sulla piazza principale di Cheikh Zouayyd, vicina città beduina, è stata particolarmente violenta. I militanti per i diritti umani e politici si sono ritirati. Ma le donne si sono messe a rompere pietre per farne dei proiettili che i bambini hanno lanciato; gli uomini hanno ripreso i loro kalashnikov e i loro lanciarazzi.

I tre decenni precedenti di ingiustizie, di oppressione e di menzogne da parte del governo non avevano suscitato una sete di vendetta paragonabile a quella degli ultimi anni del regno del presidente Hosni Mubarak. Come risposta alla prima grande ondata di attentati terroristici nel sud del Sinai (2004-2005), la popolazione aveva subito una repressione brutale; si era assistito ad una recrudescenza senza precedenti degli stupri commessi dai poliziotti a Rafah e a Cheikh Zouayyid, che avevano perfino superato il triste record dell'esercito di occupazione israeliano (1967-1982). Questa violenza aveva consolidato la determinazione dei gruppi armati, e soprattutto delle milizie salafite e jihadiste come Anaìsar Beit Al-Maqdis (ABM).

La resistenza contro Israele su base confessionale risale al 1948, quando i Fratelli Mussulmani crearono dei campi di formazione militari per volontari a Al-Arich e a Sad Al-Rawafaa. Quando Gamal Abdel Nasser e gli Ufficiali Liberi presero il potere al Cairo, nel 1952, la presenza dei Fratelli in Sinai declinò, fino a sparire completamente due anni dopo, dopo la messa al bando dell'organizzazione e l'esilio di molti dirigenti soprattutto in Giordania.

Nello stesso tempo, lo sceicco Eid Abou Jerir, erede della confraternita (tariqa) dello sceicco Abou Amad Al-Hazawy, originario di Gaza, creò il primo gruppo sufita (1). Una corrente dello jihadismo sufita apparve durante la crisi di Suez e della guerra che ne seguì nel 1956. Operò in cooperazione con l’esercito egiziano e dei servizi di informazione nella lotta contro Israele che, alla fine del conflitto, occupò la regione insieme alla striscia di Gaza (2) – fino al marzo 1957. Alcuni dei leader attuali sono ex combattenti decorati, che hanno ricevuto gli onori ufficiali dello Stato, come nel caso dello sceicco Hassan Khal, del villaggio di Al-Joura, a sette chilometri a sud di Cheikh Zouayyid.

Nonostante gli indissolubili legami storici del sufismo con l’esercito regolare, la popolazione del Sinai considera il trattato di pace egiziano-israeliano, stipulato nel 1979 da Anouar El-Sadat e Menahem Begin (dopo gli accordi di Camp David del 1978), come un tradimento. Israele resta il nemico. Un discorso religioso che non distingue tra ebraismo e sionismo sottolinea la minaccia permanente che essa rappresenta.

Tra il 2001 e il 2010, l’organizzazione di Osama Bin Laden non è riuscita a stabilire contatti in questo paese da cui pure proviene il suo capo attuale, Ayman Al-Zaouahiri. La creazione di Al Qaeda nel paese di Canan (Egitto) risale al 2006, ma il suo capo, Mohammed Al-Hakayama, venne ucciso due anni più tardi. Nel giugno 2010, degli sconosciuti perpetrarono il primo attentato con bombe contro un gasdotto in Sinai. Dopo la caduta di Mubarak, tredici altri attentati prenderanno di mira, in diversi punti della penisola, lo stesso gasdotto, che fornisce a Israele il gas naturale egiziano. Finalmente, nell’aprile 2012, il governo ha deciso di interrompere l’approvvigionamento. Conformandosi in tal modo ad una sentenza che aveva stabilito che l’accordo violava la sovranità nazionale e danneggiava gli interessi dell’Egitto.

E’ stato allora che ABM ha rivendicato per la prima volta pubblicamente la sua esistenza, attraverso un video intitolato “If you hare back, we are back” (Se voi ritornate, torniamo anche noi), vale a dire: “Se voi riprendete le esportazioni di gas verso Israele, noi torneremo”. Nel video si dichiara esplicitamente il proprio appoggio ad Al Qaeda e si afferma di essere riconosciuti da quest’ultima organizzazione.

La tappa seguente per ABM e gli altri gruppi salafisti, come la Choura dei mujaheddin-Aknaf Beit Al-Maqdis (CMS-ABM), è consistita nel prendere di mira le forze israeliane nella stessa Israele. Hanno realizzato qualche colpo di mano compiuto da jihadisti originari dell’Egitto (beduini e non beduini) e di altri paesi arabi.

I funerali solenni, secondo i riti tribali, di uno di questi jihadisti beduini ucciso da un drone israeliano, il 9 agosto 2013, ha attestato la simpatia di cui godeva ABM. Ma quando gli attentati hanno cominciato a prendere di mira l’esercito regolare egiziano, la popolarità sua e degli altri gruppi si è affievolita.

Gli abitanti della regione avevano molto bene accolto gli attacchi contro gli obiettivi israeliani oltre la frontiera, vera e propria sfida lanciata alle autorità del Cairo. Essi erano convinti che gli intrallazzi di Mubarak con gli Israeliani avevano costituito il principale ostacolo allo sviluppo della regione. Le tribù frontaliere hanno decine di prigionieri in Israele, arrestati da poco e sempre considerati come prigionieri di guerra”. Temevano tuttavia di vedere la resistenza contro lo Stato ebraico trasformarsi in ribellione armata contro lo Stato egiziano.

E’ quanto è accaduto, è ciò ha fornito a Israele un pretesto per entrare in azione, Nell’agosto 2012, un commando è penetrato in territorio egiziano per assassinare Ibrahim Eweida, dirigente beduino di ABM, nel villaggio di Khereza, a 15 Km a ovest della frontiera. Nel maggio 2013 un altro, Mahdou Abou Deraa, veniva ucciso nel villaggio di Goz Abou Raad, vicino a Rafah, nel nord del Sinai, da elementi locali che cooperano con gli Israeliani. Nell’agosto dello stesso anno, Tel Aviv non esitava a mettere l’esercito egiziano in imbarazzo annunciando il massacro con un drone, ad Al-Ajraa, di un intero gruppo jihadista che sarebbe stato sul punto di lanciare missili suolo-suolo sul suo territorio.


Villaggio raso al suolo per rappresaglia

Questa escalation ha indotto l’esercito egiziano ad attaccare, il 10 agosto 2103, due villaggi dove vivevano dei militanti di ABM. Per la prima volta dal 1967, un elicottero da combattimento egiziano è penetrato nella zona C (3) per colpire Al-Toumah e Al-Moqataa. E’ a questo punto che si può dire che la situazione è generata in una vera e propria guerra.

I Fratelli Mussulmani non dispongono di alcuna presenza organizzata a est di Al-Arich, e non sono riusciti a creare dei legami con i gruppi armati del Sinai durante la presidenza di Mohamed Morsi (giugno 2012 – luglio 2013). Ma, nonostante la ostilità ideologica nei loro confronti, ABM deve comunque testimoniare la propria solidarietà nei loro confronti nel contesto della violenta repressione che li ha colpiti dopo il colpo di Stato militare del 3 luglio 2013. I suoi comunicati abbondano di riferimenti religiosi, non contenti di accusare i militari di mancare ai loro doveri verso la nazione, hanno cominciato ad accusare tutti i componenti dell’esercito di essere dei miscredenti, coscritti di base come graduati. E ABM ha esteso la sua azione fuori dal Sinai, prendendo di mira obiettivi in altre regioni d’Egitto.

Esasperata dalle violenze (4) e dai crimini di guerra commessi nel corso delle operazioni militari, cominciate il 7 settembre 2013 – e tuttora in corso – ABM ha cominciato a reclutare più combattenti. Il peggiore scenario possibile non sarebbe tanto quello dell’estensione della violenza al resto dell’Egitto, ma il rafforzamento dei legami, fino ad ora tenui, tra ABM e gli jihadisti in Siria.

La repressione senza precedenti seguita alla destituzione di Morsi costituisce una provocazione permanente agli occhi dei combattenti di ABM. Gli assalti contro i Fratelli Mussulmani e gli altri manifestanti islamisti durante il ramadan del 2013 (all’ora della preghiera nelle moschee), i sospetti permanenti nei confronti dei credenti, accreditano ai loro occhi l’idea di una guerra contro l’islam.

Il tentativo di assassinio del Ministro dell’Interno al Cairo, nel settembre 2013, ha segnato una svolta decisiva. Prima ABM aveva avuto nel mirino l’esercito e le forze di polizia; a questo punto è passata ad azioni terroriste in senso stretto: quelli che le pianificano non si preoccupano dei danni provocati ai civili. Nell’ottobre 2013, un militante di ABM ha lanciato un camion imbottito di esplosivo sull’edificio che ospita la Direzione per la sicurezza nel Sinai Sud. In novembre l’ufficio per la sicurezza militare della provincia di Ismailiyya viene attaccato con la dinamite. Un mese dopo, poche ore dopo che una potente esplosione aveva distrutto l’edificio delle forze di sicurezza di Alo-Mansoura, capoluogo del governatorato di Dakahleya, il governo di transizione designa ABM come una “organizzazione terrorista”.

Le atrocità degli ufficiali e dei soldati dell’esercito regolare nei confronti della popolazione civile beneficiano oramai di una totale impunità. In Sinai si fa tutto senza autorizzazione dei tribunali, l’incendio delle capanne dove abitano i più poveri e, soprattutto, le persone anziane, lo sradicamento degli alberi di olivo, gli spari contro le case private, l’uccisione di donne e bambini, l’arresto a casaccio di centinaia di sospetti, la chiusura di centinaia di bottegucce e magazzini, i trasferimenti forzati e le sparizioni organizzate e, ovviamente, le molestie nei confronti di giornalisti e studiosi, tra cui l’autore di queste righe.

Dopo quattro mesi di questa guerra aperta, ABM ha ancora dato prova della sua vitalità con tre operazioni spettacolari realizzate nel gennaio 2014. La prima è consistita nel lancio di un razzo Grad sulla città israeliana di Eilat, il 21 gennaio. La seconda è stata un attentato contro la direzione dei servizi di sicurezza in pieno centro al Cairo, all’indomani dell’avvertimento lanciato dal ministro dell’interno nei confronti di chiunque avesse intenzione di festeggiare in qualche modo l’anniversario della “rivoluzione del 25 gennaio”, davanti ad un posto di polizia; la terza – la più mediatizzata – la distruzione in pieno volo, il 25 gennaio, di un aereo militare egiziano, che ha comportato la morte di tutto l’equipaggio. Per rappresaglia, i soldati, ebbri di rabbia, hanno raso al suolo il villaggio di Al-Lifitat e lanciato dei raid notturni contro la cittadina di Al-Barth.

Nel corso di questi lunghi mesi, l’esercito egiziano è riuscito ad imporre in black-out su tutto quanto accadeva nel nord del Sinai. I giornalisti e i militanti della regione sono stati molestati, arrestati e torturati, oppure perseguitati e costretti a nascondersi, mentre i loro colleghi stranieri venivano, alla fine, espulsi. Ogni giorno le reti di comunicazione subiscono delle interruzioni e il coprifuoco comincia un’ora prima del tramonto. Peraltro tutte queste misure, ivi compresa la punizione arbitraria e collettiva delle popolazioni, non hanno impedito a ABM di lanciare ancora dei razzi su Israele durante la guerra di Gaza, nel luglio-agosto 2014. Li ha lanciati da quelle stesse zone dove un drone israeliano aveva ucciso quattro jihadisti l’anno scorso.

Quando l’esercito egiziano è riuscito ad impedire un secondo lancio, il 13 luglio 2014, ABM ha rilanciato prendendo di mira un accampamento militare a est di Al-Arich. Uno dei due proiettili ha raggiunto il bersaglio, ma l’altro è caduto su delle abitazioni vicine, uccidendo sette civili, tra cui una bambina di 10 anni, e ferendone altri nove.

Oggi ABM si è allontanata da Al Qaeda per allearsi con lo Stato islamico (IS). E la politica feroce delle autorità egiziane ed israeliane ha fatto nascere una nuova generazione di combattenti, più motivati dalla sete di vendetta che da convinzioni ideologiche.


Note:

(1)    Il sufismo è una forma di misticismo che affonda le sue radici nell’islam sunnita. Considerato pacifico, influenza di fatto diversi movimenti, compresi talvolta alcuni di natura jihadista.
(2)    Leggere Alain Gresh, “Gaza l’insoumise, creuset du nationalisme palestinien”, Le Monde Diplomatique, agosto 2014.
(3)    Il trattato di pace israelo-egiziano ha diviso il Sinai in tre zone. In ciascuna di esse è possibile la presenza di un limitato numero di soldati egiziani. La zona C, frontaliera con Israele, è loro interdetta (ma non ai poliziotti).
(4)    Cfr: “Sinai: Destined to suffer?”, Integrated Regional Information Networks (IRIN), Nairobi, 9 dicembre 2013, www.irinnews.org