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L’Expression, 6 luglio 2013 (trad. ossin)



Il secondo atto della rivoluzione egiziana

Il caos costruttore?

Chems Eddine Chitour


“I mussulmani non vogliono andare in paradiso a pancia vuota” – Houari Boumedienne (Summit dell’Organizzazione dei paesi islamici a Lahore, 1976)

“Dare a Cesare quel che è di Cesare e a dio quel che è di dio” – Gesù di Nazareth


Come atteso e sperato, l’esercito ha fermato il processo democratico. “Abilmente – si legge sul giornale La Croce – il generale al-Sissi era accompagnato, durante la sua apparizione televisiva, dalle più alte autorità religiose, lo sceicco di Al-Azahr, Ahmed Al Tayyb, e il papa della chiesa copta ortodossa, Tawadros II, che hanno ripetutamente denunciato l’aumento delle violenze settarie in Egitto, sotto la presidenza Morsi. Era anche accompagnato da Galal Morra, un islamista ultraconservatore (salafista), e da Mohamed El Baradei, rappresentante dell’opposizione. Tutti hanno approvato la “road map” del capo di stato maggiore dell’esercito, legittimando così il colpo di Stato” (1)


La caduta di Mohamed Morsi, primo presidente democraticamente eletto, conclude un anno di governo islamista caratterizzato da crisi a ripetizione ed una forte contestazione popolare. Adly Mansour, presidente dell’Alta Corte Costituzionale, designato dall’esercito per sostituire Mohamed Morsi, ha prestato, giovedì 4 luglio, giuramento quale presidente ad interim dell’Egitto. In una breve allocuzione, egli ha promesso di “proteggere il sistema repubblicano” e di essere il “garante degli interessi del popolo”.   Questa situazione apre la strada ad una delicata transizione in un paese profondamente diviso tra pro e anti- Morsi. Prima del suo arresto, Morsi aveva invitato i suoi sostenitori a resistere pacificamente a ciò che egli considera come un colpo di Stato militare. Il leader della confraternita è stato arrestato dalla polizia militare egiziana. L’opposizione, attraverso il Fronte di salvezza nazionale, si è pronunciata contro l’esclusione dei partiti politici che si richiamano all’islam. Secondo il quotidiano Al-Ahram, non meno di trecento mandati di arresto sono stati emessi contro esponenti dei Fratelli Mussulmani.


Le reazioni all’estero
Ricordiamo che la presidenza egiziana aveva respinto, nella notte tra lunedì 1° e martedì 2 luglio, l’ultimatum posto poco prima dall’esercito al capo dello Stato Mohamed Morsi, lasciando a quest’ultimo 48 ore di tempo per accogliere le “richieste del popolo”, in mancanza di cui avrebbe imposto una road map. (…) Khaled Dawoud, portavoce del Fronte di salvezza nazionale (FNS), aveva subito annunciato che non sarebbe stato possibile alcun dialogo con Morsi, in quanto “noi non lo consideriamo più legittimo”.

Barack Obama aveva telefonato a Mohamed Morsi per invitarlo a dare risposte alle rivendicazioni dei manifestanti. Ha invitato “tutte le parti alla moderazione”. Non si può “parlare di manifestazioni pacifiche, quando si registrano aggressioni contro le donne. Ciò che oggi appare chiaro e che, anche se Morsi è stato eletto democraticamente, occorre fare di più per creare le condizioni nelle quali ciascuno senta di essere ascoltato” in Egitto, ha aggiunto il presidente USA (2).


Un colpo di Stato legittimato dall’Occidente e dagli altri potentati arabi
Lo si è capito, Morsi è stato mollato, d’altro canto il generale Martin Dempsey, capo di stato maggiore USA, si era messo in contatto col suo omologo egiziano. Curiosamente questo colpo di Stato militare non ha suscitato reazioni di indignazione nei paesi occidentali. Essi non condannano l’arresto del processo democratico, come avvenne in Algeria nel 1991. Tutt’al più “si interrogano”. Il presidente statunitense Barack Obama ha invitato ad esaminare le conseguenze di tali avvenimenti sull’importante aiuto militare USA all’Egitto. Come è noto, secondo le leggi degli Stati uniti, l’aiuto non può essere fornito ad un paese dove vi sia stato un colpo di Stato.


Da parte sua, la Russia invita alla moderazione e l’Unione Europea auspica immediate elezioni presidenziali, mostrando di accettare il fatto compiuto.


Mentre è l’ora dell’esultanza popolare, amplificata da alcuni media occidentali che sono tutti in sintonia e che si rallegrano senza alcuna riserva né sfumatura per la destituzione “dell’islam politico”, non vi è tuttavia alcun dubbio che la messa al bando del presidente Morsi, uscito vincitore dalle urne, rischi fortemente di radicalizzare i suoi più ferventi sostenitori. Non si può non sentirsi feriti per avere visto e inteso degli Egiziani che vivono in Francia – bene al caldo – applaudire il colpo di Stato illegale e anticostituzionale. Il trattamento politico-mediatico di questo colpo di Stato militare da parte dei media occidentali e degli autoproclamatisi specialisti dell’islamismo, soprattutto in Francia (Antoine Basbous, Antoine Sfeir, Gilles Keppel, Sifaoui, BHL) è lì per ricordarci che non vi è morale, e tanto meno etica, quando si tratta di mussulmani. Questi habitué degli studi televisivi sono lì per legittimare, seguendo le istruzioni, agli occhi dei cittadini occidentali ciò che è successo, come se fosse normale. Morsi ha avuto quello che si meritava. I Fratelli Mussulmani che erano coccolati dall’Occidente non rispondono più all’agenda. Ce ne si è sbarazzati giocando sulle paure, sulla disperazione di quei milioni di Egiziani che hanno manifestato e dimenticandosi degli altri, quelli che sostengono l’ordine costituzionale e che difendono la necessità che gli eletti democraticamente giungano alla fine del mandato.


L’esempio più tipico è quello dei milioni di persone che scendono in piazza in Grecia, Spagna, Portogallo. In questo caso non si chiede di rifare le elezioni. In qualsiasi democrazia ci si piega alla decisione sovrana della maggioranza, sennò è la guerra civile. Sarebbe stato giudizioso che fosse stato consentito a Morsi di giungere  al termine del suo mandato, per giudicarne poi il bilancio. Inoltre non si può certo raddrizzare l’economia di un paese in un anno o con la bacchetta magica.  E’ vero peraltro che il 48% degli Egiziani non aveva votato e che Morsi era stato eletto col 51% e qualche cosa dei voti espressi. Praticamente solo il 25% degli Egiziani aveva votato per lui (uno su quattro). Ma questa è la democrazia e, come diceva Winston Churchill, la democrazia è il meno peggio dei sistemi, a eccezione di tutti gli altri.


Quello che accade in Egitto ha un’aria di dejà vu, ricorda quanto accadde in Algeria. Il seguito lo si conosce, fu il decennio rosso (di sangue) con l’aggiunta di migliaia di dispersi e, si dice, 200.000 morti, per arrivare ad una situazione ancora latente, più di venti anni dopo.


“Come – si legge sul sito Oumma.com – non stabilire un parallelo storico con il colpo di mano dei generali algerini che spinsero, senza tanti complimenti, il presidente Chadi alle dimissioni, respingendo l’idea di coabitazione con il FIS, sostenuta da quest’ultimo? Si fecero allora parlare le armi e si impose il governo di una giunta militare, si inviarono i carri armati nelle strade di Algeri, per meglio calpestare la democrazia e le urne che avevano parlato.  Su uno scacchiere mondiale che non sperava di poter raggiungere così tanto in così poco tempo, la sollecitudine dell’Arabia Saudita a felicitarsi caldamente con il presidente ad interim dell’Egitto la dice lunga sui rapporti di forza in gioco, così come il silenzio del Qatar, il solo paese del Golfo ad avere sostenuto senza riserve i Fratelli Mussulmani egiziani e l’economia del paese, è rivelatore del cocente senso di fallimento che deve avere preso i suoi alti dignitari” (3).


Le ragioni del fallimento di Morsi
Jean-Marc Ferrié, direttore di ricerca al CNRS, specialista dell’Egitto, enumera tre ragioni: “C’è prima di tutto – scrive - la sua incapacità a risolvere la situazione economica e sociale dell’Egitto. Era difficile fare qualcosa di sostanziale, vista la situazione di partenza e il poco tempo che gli è stato concesso, ma niente gli impediva almeno di tentare. Invece la situazione non ha fatto altro che peggiorare. I prezzi delle derrate di prima necessità sono molto aumentati: gli Egiziani stanno molto peggio oggi di quanto non lo fossero nel periodo di Mubarak. Il degrado della pace civile e della sicurezza, cui gli Egiziani tengono molto, ha avuto gravi effetti sul turismo, il polmone economico del paese. A ciò si aggiunge un pessimo clima per gli affari e gli investimenti. Gli Egiziani sanno che le vere riforme hanno bisogno di tempo, avrebbero dunque sopportato con pazienza le avversità, se avessero almeno intravvisto qualche progresso. Il presidente ha d’altronde perso la fiducia di molti suoi elettori perché non ha rispettato le sue promesse”.


“Il secondo errore è stato, per i Fratelli Mussulmani, di credere che essi rappresentassero tutto l’Egitto, senza tener conto delle opposizioni e delle minoranze. Fin dal loro accesso al potere, hanno fatto come se le altre forze non esistessero, invocando la legittimità delle urne (…) Ciò che li ha indotti a commettere un terzo errore: fare approvare la nuova Costituzione a tutti i costi, senza tenere conto della magistratura. In una situazione di crisi, occorreva un atteggiamento propenso al compromesso (…) E’ stata l’arroganza di Morsi che ne ha provocato la caduta.


Non si può ancora dire se questi avvenimenti avranno delle conseguenze in altri paesi in cui vi è stata la ‘primavera araba’. Ma una cosa è certa: è stato un monito per i partiti islamo-conservatori della regione. Il fallimento di Morsi è il fallimento di questo tipo di partiti che dovranno rendersi conto che volere il potere, ottenerlo e governare sono tre cose diverse”. (4)


Come spiegare questa brusca fiammata al termine di un solo anno? Per Gilles Kepel, oltre alla pessima gestione dell’economia e alla persistenza dei problemi sociali, ciò che ha caratterizzato prima di ogni altra cosa le rivoluzioni arabe è stata la volontà degli Arabi di conquistare la libertà di espressione. Ciò dopo cinque decenni nel corso dei quali essa era stata soppressa da parte di partiti autoritari. Morsi, dando l’impressione che l’Egitto era oramai caduto sotto il controllo dei Fratelli Mussulmani, ha trascurato questa esigenza che pure era stata una delle ragioni della sua vittoria. Il 51% dei voti non erano di adesione al programma islamista, ma in gran parte era il sostegno di quelli che avevano fatto la rivoluzione. Ma tal consenso è stato velocemente dissipato a causa degli atteggiamenti liberticidi e autoritari dei Fratelli Mussulmani” (5).


E’ la fine dell’influenza degli Stati Uniti?
Per Ahmed Halfaoui,  il governo degli Stati Uniti deve sentirsi in imbarazzo. E’ già stato piuttosto difficile con la Turchia, ma qui (…) sembra che questo possa rappresentare la fine della “primavera” degli Arabi e assimilati e dei  Fratelli e del wahabismo e dell’egemonia atlantica nella regione.  Il contraccolpo è impressionante. Mai il popolo egiziano si era mobilitato in modo così massiccio, nemmeno ai tempi del nazionalismo nasseriano. Maree umane dimostrano l’ampiezza del rifiuto del programma devastatore portato avanti da Mohamed Morsi e dalla sua Confraternita. La grande stampa  ha cercato di far credere ad un divario “laici contro islamisti”, ma non riesce a nascondere la realtà di un popolo intero che, al di là delle convinzioni politiche, si mette in movimento contro la dittatura della “democrazia di mercato”, contro la subalternità dei Fratelli agli Stati Uniti, contro la messa all’incanto della sovranità del paese e contro l’impegno, al fianco della NATO, contro la Siria” (6).


Ahmed Halfaoui vede nella contestazione una formidabile comunione di milioni di donne, uomini e ragazzi, animati dalla certezza che niente si debba e si possa più fare contro di loro. Egli “dimentica” però quelli che non appaiono in televisione, che sfilano su altre piazze ignorate dai media occidentali. Questi non si lasceranno fare. Dal nostro punto di vista, niente di nuovo sotto il sole, l’Occidente “tenterà un altro cavallo”, dopo quello islamico.


Che cosa succederà adesso? E’ la fine della gestione religiosa degli Stati arabi?
I Fratelli Mussulmani non accetteranno tutto questo, nonostante abbiano subito un rovescio importante per il fatto che il tempo benedetto in cui potevano guadagnare consensi con la duplice promessa di un migliore avvenire temporale e spirituale sia oramai alle loro spalle. Mentre il sito internet dei Fratelli Mussulmani egiziani annuncia la mobilitazione ferma dei membri della Confraternita per difendere la legittimità elettorale di Mohamed Morsi, il quotidiano liberale Al-Masri Al-Youm racconta delle divisioni nel seno stesso dell’organizzazione. La posta in gioco, secondo il giornale, è di evitare la dispersione della struttura internazionale della confraternita, dopo il crollo dell’organizzazione-madre in Egitto. Questo gruppo di moderati è guidato da Rached Ghannouchi, leader di Ennahda (il partito al governo in Tunisia, ndt). Egli avrebbe chiesto ai Fratelli di organizzare elezioni presidenziali anticipate (…). Nei paesi del Golfo, negli Emirati Arabi Uniti, “gli adepti dei Fratelli Mussulmani locali sono in stato di shock”, riferisce il sito saudita Elaph. “Il crollo dell’organizzazione in Egitto cancella definitivamente il sogno dei Fratelli di giungere al potere in uno qualsiasi dei paesi del Golfo”, “L’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e la Giordania si felicitano per l’intervento dell’esercito”, scrive Tareq Al-Moutairi, ex membro dei Fratelli kuwaitiani e oggi militante politico in favore di una monarchia costituzionale. (…) Egli nota che “un militare destituisce un presidente civile”, e che la religione è stata strumentalizzata per il tramite del “presidente dell’università Al-Azhar e del papa copto”, che hanno assistito al discorso di Abdelfattah Al-Sissi, che annunciava la destituzione del presidente egiziano. Pur ammettendo che i “torti stanno da entrambe le parti”, ritiene che l’attualità riporti in primo piano un vecchio dibattito arabo: su cosa fondare la legittimità dei regimi politici in questa regione del mondo?” (7)


Al di là del fatto che nessun presidente potrà con un colpo di bacchetta magica rimettere in sesto una situazione economica disastrosa. Con ironia nei giornali occidentali si legge che “la sharia non dà da mangiare al popolo”. Bisogna sapere infatti che l’Egitto è il primo importatore di grano del mondo, l’Algeria essendo il secondo… triste primato! I partiti che si richiamano all’islam dovranno seguire l’esempio dei paesi asiatici, la religione non è uno strumento di selezione della classe dirigente che richieda competenze aggiornate al XXI° secolo.


Sarebbe rendere un pessimo servizio all’islam coinvolgerlo nella gestione del temporale. I cittadini del mondo, al tempo del web, sognano la libertà, la democrazia e il libero arbitrio, in tutti i casi è questo il messaggio subliminale lanciato dal presidente iraniano Rouhani, parlando della libertà di ciascuno e della non ingerenza negli affari privati.



Note:

1. 
http://www.la-croix.com/Actualite/Monde/ L-armee-reprend-le-pouvoir-en-Egypte-2013-07-04-982463


2. Egypte: la présidence rejette l'ultimatum de l'armée, AFP e Reuters | 02.07.2013


3. 
http://oumma.com/17339/mohamed-morsi -victime-dun-coup-detat-militaire?utm_ source= Oumma+Media&utm _campaign= 2c8ac9f9e0-RSS_EMAIL_CAMPAIGN&utm_ medium= email&utm_term =0_8d43878bbe-2c8ac9f9e0-80765081


4. 
http://www.lexpress.fr/actualite/monde/ proche-orient/egypte-les-trois-echecs-de-mohamed-morsi_1263788.html?xtor=EPR-181-[XPR_Quotidienne]-20130704-1789313@ 250797955-20130704144552#fQO34DIgIc 1F8aQJ.999


5. Gilles Kepel,http://www.ladepeche.fr/article/2013/07/02/1663445-le-parti-islamiste-une-desillusion.html Propos Recueillis par Emmanuel Delpix


6. Ahmed Halfaoui
http://www.lesdebats. com/editions/020713/les%20debats.htm


7. Philippe Mischkowsky
http://www.courrierinternational.com/revue-de-presse/2013/07/04/ les-freres-musulmans-ebranles-dans-tout-le-monde-arabe