Un associazione interessata ai problemi della decolonizzazione, del neocolonialismo, delle economie in transizione, dei diritti sociali e politici non può non affrontare un problema scottante come quello della modernizzazione economica.
Numerosi paesi poveri sono diventati officine del mondo, senza riuscire a fare quel salto di qualità che consentisse loro di realizzare una propria industria nazionale. Lo strapotere delle multinazionali e dei loro stati di origine ha fatto del Sud una terra di conquista di risorse naturali e di mercati. In queste condizioni gli stati del Sud non hanno nessuna speranza di uscire dalla povertà, la battaglia è impari. Se questi stati, rassegnati, cercassero almeno di affidarsi alle esportazioni agricole, comunque si troverebbero di fronte alle altissime barriere doganali con cui l’Occidente tutela la sua agricoltura. Quale speranza allora? Stando al FMI questi paesi dovrebbero essere solo officine di assemblaggio per le multinazionali. Ma non tutti possono essere premiati, solo coloro che assicurano salari bassissimi, mano di ferro con gli “esagitati” e  assenza di contratti fissi.
Forse l’unica alternativa credibile per i paesi del Sud è la violazione del copyright proprio come fa la Cina che, proprio in questo modo, sta riducendo il suo gap tecnologico con l’Occidente. Produrre merci contraffatte è illegale solo per colui che produce merci originali. L’illegalità è un concetto dinamico cambia da paese a paese e di epoca in epoca. Forse tra un secolo coloro che hanno violato questa legalità saranno apprezzati. Si fa l’apologia dei Romani come popolo intraprendente che copiava la tecnologia dei suoi vicini, che non temeva di battersi in campi a loro estranei. Vengono definiti “l’allievo che supera il maestro”. Dagli Etruschi hanno rubato lo scudo di bronzo, dai Cartaginesi la tecnica navale, dai Greci le macchine d’assedio.
Copiare è il primo passo verso la modernizzazione, non si può chiedere ad un paese sottosviluppato di giocare ad armi pari con un paese industrializzato, devono prima raggiungere lo status di eguali.
Se dovessimo essere giusti, dovremmo risarcire i Cinesi per il furto del baco da seta che l’Occidente organizzò diversi secoli fa. Secondo la legge del copyright dovremmo pagare gli Arabi ogniqualvolta scriviamo un numero.
La Cina ci dimostra che si può avere un approccio diverso alla globalizzazione, Samir Amin lo chiama “sganciamento”, il che significa aderire, ma a modo proprio e in maniera critica.
Lo Stato cinese non rispetta il copyright perché non riconosce questa legalità “occidentale”, la cui forza proviene dal colonialismo.
Fino al 1800 l’economia cinese e quella indiana erano più ricche di quella occidentale, ma con la Rivoluzione industriale è cambiato tutto. Gli Occidentali hanno usato questa “rivoluzione” non per competere commercialmente con le altre nazioni, ma per costruire eserciti in grado di sottometterle distruggendo così anche le loro economie. Oggi questi paesi stanno ancora soffrendo di questo shock e solo adesso stanno recuperando il gap, ma con 200 anni di ritardo.
In questi 200 anni l’Occidente ha avuto il tempo di plasmare il mondo a sua immagine. L’Occidente che ha dettato le regole per tanto tempo ha una sua identità ed è costituito dai paesi colonialisti (Francia, Inghilterra, Germania) e neocolonialisti (USA).

 


Valerio Quatrano
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