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ProfileCrisi siriana, 31 dicembre 2017 - Corre insistentemente voce di un prossimo invio di elementi delle forze speciali cinesi in Siria per dare una mano alle unità governative nella guerra contro i ribelli (nella foto, patrioti siriani ringraziano Russia e Cina)

 

Cf2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement), dicembre 2017
 
Siria/Cina: un’intesa discreta ma reale
Alain Rodier
 
Corre insistentemente voce di un prossimo invio di elementi delle forze speciali cinesi in Siria per dare una mano alle unità governative nella guerra contro i ribelli. Pechino infatti monitorizza con attenzione il migliaio di combattenti stranieri uiguri (1) che militano nel Movimento islamico del Turkmenistan orientale (East Turkestan Islamic Movement, ETIM), soprattutto nella provincia di Idlib, posta nella parte nord ovest del paese. Questo movimento, che ha come obiettivo finale l’indipendenza della provincia dello Xinjiang dove intende introdurre la sharia, è tradizionalmente legato ad Al Qaeda « canale storico ». I suoi combattenti si sono visti dapprima in Pakistan e in Afghanistan al fianco del Movimento Islamico dell’Uzbekistan (IMU), poi sono apparsi in Siria, verosimilmente convogliati e sostenuti dai Servizi segreti turchi, che si sono serviti per questo di organizzazioni « umanitarie » non governative. Ufficialmente tutto questo ha avuto termine il 3 agosto 2017 quando l’ETIM è stato alla fine riconosciuto come « terrorista » da Ankara.
 
Patrioti siriani manifestano con cartelli che ringraziano Russia e Cina
 
Pechino avrebbe designato per questa missione in Siria elementi delle forze speciali della provincia del Liaoning, le « Tigri della Siberia » – che dipendono dalla marina – e della provincia di Gansu, le « Tigri della notte ». Esse dovrebbero integrarsi nelle diverse unità operative nei dintorni della provincia di Idlib : l’esercito regolare, ma anche le milizie straniere presenti da anni (Hezbollah libanese, Iracheni, Afghani, Pachistani, Iraniani).
 
Di fatto, circa 300 istruttori cinesi sono già discretamente presenti nell’ovest della Siria e a Damasco da più di un anno. Sono stati ufficialmente inviati per formare i Siriani in ambiti “non combattenti“, come quello medico o logistico. Qualche stagista siriano sarebbe stato anche inviato a istruirsi in Cina. E’ da notare che armi cinesi – come i missili antiaerei portatili FN-6 – sono stati fin qui visti soprattutto nelle mani degli insorti. Sarebbero stati oggetto di diversi traffici, perché le autorità cinesi non controllano puntualmente le certificazione di utilizzazione finale (End user certificates) che teoricamente dovrebbero essere firmati coi paesi acquirenti.
 
Dall’inizio della Guerra civile siriana, Pechino ha unito i suoi veto a quelli di Mosca contro tutte le risoluzioni coercitive che sono state presentate al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite contro il governo di Bachar El-Assad. Pechino ha d’altronde sempre mantenuto relazioni diplomatiche con Damasco. E’ stato anche designato un inviato speciale, nella persona di Xie Xiaoyan, che fa la spola tra i due paesi. Detto ciò, la Cina è stata attenta a non offendere i paesi del Golfo Persico, dai quali è molto dipendente per gli approvvigionamenti di idrocarburi.
 
La Cina propone oramai di partecipare alla ricostruzione delle zone « liberate » della Siria, soprattutto insieme alla Russia, all’Iran e al Brasile. Questi ultimi paesi erano molto rappresentati da loro industriali durante la prima fiera commerciale internazionale tenuta lo scorso agosto a Damasco. L’aspetto positivo per Pechino sta nel fatto che quattordici paesi – soprattutto occidentali e del Golfo Persico – rifiutano di partecipare a questa ricostruzione dal costo stimato in più di 300 miliardi di dollari. In quanto esigerebbero che prima fosse avviato un processo di cambiamento politico, in parole povere che Bachar el-Assad lasciasse il potere. Il consigliere per la Sicurezza nazionale USA, H.-R. McMaster, ha perfino dichiarato il 19 ottobre che « ci assicureremo che nemmeno un dollaro andrà alla ricostruzione di qualsiasi cosa, se ciò dovesse avvenire sotto il controllo di un regime brutale ». Che è come dire che si chiudono molte opportunità alle società straniere che effettuano i loro scambi in dollari! Ma si tratta di una vera occasione per Pechino, che vede così molti concorrenti commerciali fuori gioco!
 
Conclusioni 
 
Le sanzioni statunitensi importano poco a Pechino, che intende fare della Siria uno dei terminali mediterranei del suo titanico progetto chiamato One Belt One Road, meglio conosciuto col nome di “Nuova via della seta“. Questo progetto lanciato nel 2013 dal presidente Xi Jinping si propone di collegare la Cina all’Europa attraverso vie marittime e terrestri.
 
Fino ad oggi la Cina è stato l’unico paese membro del Consiglio di Sicurezza dell’ONU a non essere impegnato militarmente in Siria. Se la voce (2) – naturalmente smentita da Pechino – di dispiegamento di forze speciali cinesi si dimostrerà esatta, non sarà più così.  Ma non dovrebbe comunque avere una importanza strategica significativa. Quando Raqqa è caduta, gli Statunitensi hanno ritirato 400 artiglieri non più utili; ugualmente i Russi hanno annunciato una riduzione dei loro effettivi. I Cinesi che arrivano non vanno ad occupare gli stessi ruoli tattici rimasti vacanti. Quel che sembra certo, è che i servizi cinesi, siriani, iracheni e russi coopereranno strettamente per identificare gli jihadisti, in modo da poterli neutralizzare prima che rientrino nei rispettivi paesi.
 
Note:
 
(1) Le autorità siriane avanzano la cifra di 5 000 uomini, ma sembra che questa sia sensibilmente esagerata per ragioni di propaganda
(2) Era già circolata una falsa informazione a dicembre 2015 a proposito dell’arrivo della portaerei Liaoning (CV-16) sulla costa siriana. Si trattò all’epoca di una grossolana bufala messa in circolazione dalla stampa israeliana