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Crisi siriana, giugno 2015 - A meno di due settimane dalla possibile firma di un accordo sul nucleare tra l’Iran e i P5+1, la strategia della danza sull’orlo dell’abisso in quel deserto a specchi che è diventato il Medio Oriente raggiunge livelli parossistici. La manipolazione impera. E niente è quel che sembra


Russia Today, 19 giugno 2015 (trad. ossin)


Lo smembramento di “Syraq”

Pepe Escobar


A meno di due settimane dalla possibile firma di un accordo sul nucleare tra l’Iran e i P5+1, la strategia della danza sull’orlo dell’abisso in quel deserto a specchi che è diventato il Medio Oriente raggiunge livelli parossistici. La manipolazione impera. E niente è quel che sembra


Certamente, nell’accordo sul nucleare con l’Iran, molto ha a che vedere con la questione degli oleodotti. L’Iran, supponendo che le sanzioni saranno rapidamente tolte, sarà finalmente posta in grado di vendere il suo gas naturale all’Unione Europea – teoricamente in competizione con Gazprom; ma ci vorrà molto tempo prima che l’infrastruttura iraniana (fatiscente) sia rimessa in sesto.

Poi si profila all’orizzonte l’importante progetto del gasdotto Iran-Iraq-Siria, 10 miliardi di dollari – in concorrenza con un progetto del Qatar. Viene facile capire chi è che in questa situazione non vuole un Iraq stabile, in grado di garantire la sicurezza di oleodotti che corrano lungo il suo territorio. Il Qatar si vanta di disporre di una maggiore quantità di gas (esportabile) – e di migliori infrastrutture – dell’Iran.  La fattibilità di un gasdotto che parta dal Qatar e passi per l’Arabia Saudita, la Giordania e il Libano (o la Turchia) è stata già studiata. Se Teheran vuole risultati rapidi, farebbe un migliore affare esportando il suo gas verso l’UE, direttamente attraverso la Turchia piuttosto che attraverso l’Iraq e la Siria.

Quanto all’egemonia, le cose erano tanto più facili nel 2003, dopo lo Shock and Awe (shock e terrore). Washington era allora padrona del mondo; doveva marciare dritta e prendere (e distruggere) tutto quello che voleva. Era una supremazia in tutti i campi. Ma è durata solo una frazione (storica) di secondo.

Adesso l’amministrazione – non facciamo stronzate – Obama, come essa stessa si definisce, può a mala pena essere descritta come uno specchio rotto in un deserto di specchi.


Dunque andiamo ad arare il deserto di Syraq

I responsabili NATO a Bruxelles sembrano credere che il Pentagono abbia addestrato i sunniti della provincia di Anbar all’uso di armi pesanti per togliere di mezzo l’ex governo del Primo Ministro al-Maliki a Bagdad – che ha provocato problemi a Washington. Fatto sta che l’addestramento ha facilitato l’accordo tra questi sunniti e ISIS/Daech.

Il Pentagono – o la NATO, d’altra parte – potrebbero facilmente prevalere sul falso Califfato. Ma non vogliono; è molto meglio lasciare che monti il caos, la tattica perfetta del divide et impera che conviene ai soliti sospettati. La Siria è in rovina. L’Iraq è in rovina. I convogli di ISIS/Daech attraversano le frontiere della NATO tra la Turchia e la Siria, sotto la protezione delle forze aeree turche; di conseguenza la NATO – e la CIA – sostengono di fatto il falso Califfato. L’Egitto è in fallimento. L’Iran è quasi sfinito. I soliti sospettati non si sono mai mossi così bene.

Passiamo adesso ad una eccellente fonte dei servizi segreti sauditi per complicare ancora di più l’imbroglio. Secondo questa fonte, Palmira è stata regalata a ISIS/Daech in Siria, esattamente come le importanti città della provincia di Anbar in Iraq: “Daech non è più un segreto e gli Stati Uniti sono inyteressati ad esso come lo erano all’(ex) Asse del Male”.

Il fatto che ISIS/Daech, dopo ogni vittoria sul campo, riesca a integrare nelle sue dotazioni una grande quantità di armamento statunitense sofisticatissimo, che necessita di mesi di addestramento per imparare ad utilizzarlo, dimostra con certezza che i bruti del Califfato hanno ricevuto un serio addestramento da parte dei formatori occidentali.

Nello stesso tempo, la fonte saudita evoca il fantasma di un Califfato a due teste: una in Siria, direttamente legato al governo di Assad a Damasco – cosa assurda - mentre in Iraq il Califfato combatte contro l’Iran.

Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, nel frattempo temporeggia; ha detto che ISIS/Daech può essere vinto, ma nell’arco di tre anni. Ancora una volta, perché non lasciare il caos crescere?

Un’altra fonte saudita si mostra positivamente scoraggiata: “Gli Stati Uniti non permetteranno mai un cambiamento di regime” in Siria. Questo agente ritiene che il Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) stia tentando di “salvare la Siria”, e accusa la CIA di “interferire nei loro trasferimenti di armi all’Esercito siriano libero (ESL)”. Alla fine, le petro-monarchie del Golfo “hanno dovuto re-inviare le loro armi, per aggirare gli ostacoli posti dalla CIA”. Dunque attualmente tutti gli islamisti fanatici del genere di Jabhat al-Nusra sono debitamente armati.

La Casa dei Saud resta ossessionata dall’idea di far cadere Assad (relegandolo in una “enclave di una Siria divisa”). Questo sarebbe un colpo fatale per Hezbollah, oltre alla divisione dell’Iraq, “rendendo impossibile il sogno di Teheran di ricostituire l’Impero persiano che Obama è tanto ossessionato dal favorire”.

I Sauditi sembrano dunque credere alla favola diffusa dai sunniti della provincia di Anbar, secondo cui ISIS/Daech sia stata incaricata – simultaneamente dall’Occidente e dall’Iran – di “alimentare i conflitti settari e accelerare la divisione”. Infatti la Casa dei Saud non vuole la divisione della Siria. Vuole che vi si insedino due regimi fantoccio per controllare il tutto. Per ricorrere ad un eufemismo, Riyadh è piuttosto delusa dalle lungaggini di Washington, che pure costituiscono il suo marchio di fabbrica.


La nostra strada è il caos

A parte la propaganda, la riconfigurazione post-Sykes-Picot del Medio Oriente prosegue senza sosta.

Jabhat al-Nusra e Ahrar al-Sham – ancora un’altra organizzazione di frenetici jihadisti – continuano ad essere totalmente armati dalla Turchia, dall’Arabia Saudita e dal Qatar. Ciò dipende direttamente dal proverbiale ruolo “attivo” del capo della nuova Casa dei Saud, il re Salman. Dunque, a Damasco, Assad si batte contro un movimento che lo prende a tenaglia: ISIS/Daech a est, che controlla almeno la metà del paese (va bene, la maggior parte è deserto) e Jabhat al-Nusra, che controlla una coalizione di “volontari jihadisti” a nord e al centro. E tutte le armi fornite dal Pentagono ai cosiddetti “ribelli moderati” hanno finito col cadere nelle mani di al-Nusra.

Sappiamo che, nel corso di un incontro della coalizione dei volenterosi il 2 giugno a Parigi, co-patrocinati dagli Stati Uniti e dalla Francia per parlare di ISIS/Daech, si è svolta una discussione segreta a porte chiuse tra le petro-monarchie del Golfo per valutare qualche ipotesi di accordo con la Siria.

La Russia è stata dunque attivissima su questo fronte, specialmente con l’Arabia Saudita e il Qatar, tentando di spingerli a forzare le loro organizzazioni terroriste a sedersi alla tavola del negoziato.

Il problema è che il Consiglio di Cooperazione del Golfo ha come unico obiettivo l’esilio di Assad – in Russia o in Iran. E Washington, in modo prevedibile, preferirebbe un colpo di Stato, un piccolo cambiamento di regime perpetrato da ufficiali alauiti, provenienti dall’apparato statale siriano.

Niente di tutto questo sembra realizzabile a distanza, giacché l’Arabia Saudita, il Qatar e la Turchia hanno progetti tutt’affatto diversi e sono obnubilati dalla volontà di assicurarsi che i “loro” ribelli – dai jihadisti estremi fino ai falsi moderati – saranno i prossimi a prendere il potere, senza contestazioni.

Tutto ciò ci riporta al possibile accordo Iran/P5+1 sul nucleare del prossimo 30 giugno. La Siria è un elemento chiave nei negoziati che si fanno a porte chiuse. Ma giacché c’è di mezzo l’Impero del Caos – senza dimenticare le petro-monarchie del Golfo – la situazione attuale, in continua mutazione ed estremamente ingarbugliata, al meglio può produrre quanto segue: Syraq totalmente indebolita, la guerra su due fronti, l’Iran sulla difensiva, e il falso Califfato che di fatto decide la spartizione del territorio sul campo.