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 Crisi siriana, settembre 2013 - Dale Gavlak è corrispondente dal Medio Oriente per Mint Press. Lo è stata anche per l'Associated Press, NPR e BBC. Ha intervistato alcuni abitanti del sobborgo di Damasco (Ghuta), dove si sarebbe verificato il famoso attacco chimico, e anche medici e "ribelli". Tutti costoro hanno dichiarato che sono stati i "ribelli" a provocare le esplosioni, manipolando incautamente le armi chimiche provenienti dall'Arabia Saudita, per il tramite del principe Bandar bin Sultan (nella foto)







Le Grand Soir, 30 agosto 2013 (trad. Ossin)



Testimonianze siriane a Ghuta: sono stati i ribelli, riforniti dall’Arabia Saudita, a usare armi chimiche

Le prove ci sono, ma contro i “ribelli”

Dale Gavlak, Yahya Ababneh



I ribelli e gli abitanti di Ghuta accusano il principe saudita Bandar bin Sultan di avere fornito le armi chimiche ad un gruppo ribelle legato ad AlQaida


Mentre la macchina da guerra USA si mette in moto dopo l’attacco con armi chimiche della settimana scorsa, gli Stati Uniti e i loro alleati stanno probabilmente per sbagliare bersaglio.


E’ quanto sembra emergere dalle interviste con la gente di Damasco e Ghuta, un sobborgo della capitale siriana dove, secondo l’ONG umanitaria Médecins sans frontières, almeno 355 persone sono rimaste uccise la settimana scorsa da quello che l’organizzazione ritiene essere un agente neurotossico.


Gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia, oltre alla Lega araba, hanno accusato il regime del presidente Bachar el Assad di avere lanciato un attacco con armi chimiche contro la popolazione civile. Navi da guerra USA stazionano nel Mediterraneo, pronte a lanciare attacchi militari contro la Siria per punirla. Gli Stati Uniti e gli altri non sono interessati a prendere in considerazione tutti gli elementi di prova contrari, tanto che il segretario di Stato USA John Kerry ha dichiarato lunedì che la colpevolezza di Assad è “un giudizio… già chiaro agli occhi del mondo”.


Tuttavia, da numerose interviste a medici, residenti di Ghuta, combattenti ribelli e le loro famiglie, emerge un quadro differente. Molti di loro credono che alcuni ribelli abbiano ricevuto delle armi chimiche per l’intermediazione del capo della intelligence saudita, il principe Bandar Sultan, e siano loro i responsabili dell’attacco col gas.


“Mio figlio è venuto a trovarmi due settimane fa per chiedermi cosa ne pensassi delle armi che gli avevano chiesto di trasportare”, dichiara Abou Abdel-Moneim, il padre di un ribelle che lottava per cacciare Assad, che vive a Ghuta.


Abdel-Moneim dice che suo figlio e dodici altri ribelli sono stati uccisi all’interno di un tunnel utilizzato per stoccare armi fornite da un militante saudita, conosciuto col nome di Abou Ayesha, comandante di un battaglione. Il padre descrive queste armi come aventi una “struttura a forma di tubo”, mentre altre “assomigliavano a enormi bombole di gas”.


Alcuni abitanti di Ghuta dicono che i ribelli usavano le moschee e delle case private per rifugiarvisi, mentre usavano dei tunnel per stoccare le armi.


Abdel Moneim dice che suo figlio e gli altri sono morti durante l’attacco chimico. Nello stesso giorno, il gruppo Jabhat al-Nusra, legato ad AlQaida, aveva annunciato di voler attaccare allo stesso modo dei civili a Latakia, all’interno della regione controllata dal regime di Assad sulla costa ovest della Siria, sembrerebbe per rappresaglia.


“Non ci hanno detto che tipo di armi erano, né come dovevano essere utilizzate”, lamenta un combattente chiamato “K”. “Noi non sapevamo che erano armi chimiche. Non avremmo mai immaginato che erano armi chimiche”.


“Quando il principe saudita Bandar fornisce simili armi, deve consegnarle a chi sa come manipolarle e come usarle”, dice una donna. Questa, come altri siriani, non vuole rivelare il suo nome e cognome per timore di rappresaglie.


Un capo dei ribelli ben conosciuto a Ghuta, chiamato “J”, annuisce. “I militanti di Jabhat al-Nusra non collaborano con gli altri ribelli, salvo che durante le azioni sul campo. Non condividono informazioni segrete. Si sono solo serviti di ribelli ordinari per trasportare e utilizzare questo materiale”, dice.


“Noi eravamo assai curiosi a proposito di queste armi. E purtroppo alcuni combattenti hanno mosso queste armi in modo inappropriato e provocato le esplosioni”, dichiara “J”.


Alcuni medici che hanno curato le vittime degli attacchi chimici ci (a noi intervistatori) hanno messo in guardia dal porre domande su chi siano stati esattamente i responsabili dell’aggressione mortale.


Il gruppo umanitario “Médecins sans frontières” ha anche detto che all’incirca 3600 pazienti hanno accusato sintomi simili, come schiuma alla bocca, difficoltà respiratorie, convulsioni e abbassamento della vista. Il gruppo non è stato in grado di verificare l’informazione.


Più di una dozzina di ribelli interpellati ha dichiarato di ricevere un salario proveniente dal governo dell’Arabia Saudita.


Coinvolgimento saudita
In un recente articolo di Business Insider, il giornalista Geoffrey Ingersoll ha posto in evidenza il ruolo del principe saudita Bandar nella guerra civile siriana che dura da due anni e mezzo. Molti osservatori  ritengono che sia stato proprio Bandar, legato da solidi rapporti con Washington, ad avere influenzato la decisione di guerra degli Stati Uniti contro Assad.


Ingersoll ha fatto riferimento ad un articolo apparso sul quotidiano inglese The Daily Telegraph a proposito dei negoziati segreti russo-sauditi, affermando che Bandar aveva offerto al presidente russo Vladimir Putin petrolio a buon mercato se quest’ultimo avesse abbandonato Assad.


“Il principe Bandar si è impegnato a proteggere la base navale russa in Siria se il regime di Assad fosse stato rovesciato, ma ha anche alluso a possibili attacchi terroristici ceceni durante i Giochi olimpici invernali a Sotchi, in Russia, se i Russi non avessero accettato l’accordo”, scrive Ingersoll.


“Io sono in grado di offrirvi garanzie per proteggere i Giochi olimpici invernali del prossimo anno. I gruppi ceceni che minacciano la sicurezza dei giochi sono controllati da noi”, avrebbe detto Bandar ai Russi.


“Oltre alle autorità saudite, anche gli Stati Uniti avrebbero dato via libera al capo della intelligence saudita per portare avanti questi negoziati con la Russia, cosa che non costituisce una sorpresa”, scrive Ingersoll.


“Bandar ha ricevuto la sua formazione negli Stati Uniti, sia militare che universitaria, ed è stato un ambasciatore saudita molto influente negli Stati Uniti, e la CIA lo adora”, aggiunge.


Secondo il giornale inglese The Independant, è stata proprio l’agenzia di intelligence del principe Bandar ad avere, per prima, posto all’attenzione degli alleati occidentali l’accusa di uso del gas sarin da parte del regime siriano, nel mese di febbraio.


Il Wall Street Journal ha recentemente scritto che la CIA si è convinta che l’Arabia saudita aveva “serie” intenzioni di rovesciare Assad, quando il re saudita ha nominato il principe Bandar per dirigere l’operazione.


“Riteneva che il principe Bandar, un veterano degli intrighi diplomatici di Washington e del mondo arabo avrebbe potuto offrire quello che la CIA non poteva: tonnellate di danaro e armi, e, come ha detto un diplomatico USA,  wasta, vale a dire bustarelle”, dice.


Secondo il Wall Street Journal, Bandar persegue l’obiettivo prioritario della politica estera dell’Arabia saudita, vale a dire il rovesciamento di Assad e dei suoi alleati, l’Iran ed Hezbollah.


A tal fine, Bandar ha convinto Washington a sostenere un programma per armare e addestrare i ribelli in una base militare in Giordania.


Il giornale riferisce che ha incontrato “i Giordani non a proprio agio con una base di tal genere”:


“Gli incontri ad Amman col re Abdallah di Giordania duravano a volte otto ore di fila. Il re si lamentava: ‘Oh, viene di nuovo Bandar? Preventiviamo due giorni di riunione’, dice una persona che le seguiva da vicino”


La dipendenza finanziaria della Giordania dall’Arabia Saudita ha probabilmente fornito un forte argomento ai Sauditi. Un centro di operazioni  in Giordania ha cominciato ad essere operativo nell’estate 2012, fornito di una pista di atterraggio e di depositi di armi. Secondo il Wall Street Journal, che cita responsabili arabi, i Sauditi hanno fornito degli Ak-57 e munizioni.


Nonostante l’Arabia Saudita abbia ufficialmente affermato di sostenere i ribelli più moderati, il giornale ha riferito che “fondi e armi sono stati discretamente trasferiti  a gruppi radicali, per contrastare l’influenza degli islamisti rivali appoggiati dal Qatar”.


Ma i ribelli intervistati hanno detto che il principe Bandar viene chiamato “al-Habib”, ovvero “l’amante” dai militanti di AlQaida che combattono in Siria.


Peter Obome, in un articolo apparso sul Daily Telegraph giovedì, ha messo in guardia contro la precipitazione di Washington nel punire il regime di Assad con sedicenti attacchi “limitati” non destinati a rovesciare il leader siriano, ma a ridurre le sue capacità di usare armi chimiche:


“Considerate questo: i soli beneficiari dell’atrocità sono i ribelli, che stavano perdendo la guerra, e che hanno adesso la Gran Bretagna e gli Stati Uniti pronti a intervenire al loro fianco. Per quanto non sembra vi siano molti dubbi che armi chimiche sono state utilizzate, è invece dubbio chi lo abbia fatto.
Bisogna rammentare che Assad era stato già accusato di utilizzare gas tossici contro i civili. Ma in questa occasione Carla Del Ponte, commissaria dell’ONU per la Siria, ha concluso che erano stati i ribelli, e non Assad, ad essere i probabili responsabili.