Siria, luglio 2012 - Martedì 26 giugno a Bruxelles il Consiglio dell’Atlantico Nord – la più grande istanza di comando del blocco militare della NATO (Organizzazione del trattato dell’Atlantico del Nord), dominato dagli Stati Uniti – deve affrontare la questione della Siria dal punto di vista delle clausole del suo testo di fondazione che, lungo tutto il corso del decennio scorso, ha giustificato spostamenti preliminari di forze armate che hanno provocato lo scoppio di guerre totali







Mondialisation.ca, 28 giugno 2012 (trad.ossin)



Consiglio di guerra della NATO contro la Siria
Rick Rozoff (*)


Martedì 26 giugno a Bruxelles il Consiglio dell’Atlantico Nord – la più grande istanza di comando del blocco militare della NATO (Organizzazione del trattato dell’Atlantico del Nord), dominato dagli Stati Uniti – deve affrontare la questione della Siria dal punto di vista delle clausole del suo testo di fondazione che, lungo tutto il corso del decennio scorso, ha giustificato spostamenti preliminari di forze armate che hanno provocato lo scoppio di guerre totali.


Questo Consiglio è costituito dagli ambasciatori dei 28 Stati membri, che rappresentano una popolazione totale di 900 milioni di abitanti. I suoi membri fondatori contano tre potenze nucleari – gli USA, la Francia e l’Inghilterra – la prima delle quali si è autoproclamata unica potenza militare mondiale.


Fino  alla vigilia di questa riunione, la NATO doveva esaminare la richiesta di uno dei suoi membri, la Turchia, di fare un approfondimento sull’applicabilità dell’articolo 4 del Trattato del Nord Atlantico, che autorizza ciascuno Stato membro a chiedere a tutti gli altri di rispondere a quello che esso considera come un attacco alla sua sicurezza e alla sua integrità territoriale.


Il 25 giugno, tre giorni dopo che il caccia bombardiere supersonico F14 è stato abbattuto sulle acque territoriali siriane, la Turchia ha annunciato che avrebbe chiesto che l’alleanza militare applicasse l’articolo 5, che stabilisce che “ogni attacco armato contro uno o diversi Stati membri in Europa o in America del Nord debba essere considerato come un attacco contro tutti”, dovendo gli alleati della NATO “portare assistenza alla o alle parti attaccate, impegnando sul campo, individualmente o in concertazione con le altre parti, ogni azione ritenuta necessaria, ivi compreso il ricorso alla forza armata…”


All’articolo 5 si è ricorsi nell’ottobre 2001, per la prima e unica volta in ordine di tempo, e tutt’oggi esso è alla base, dopo una decina d’anni, dell’invio in Afghanistan delle truppe dei 28 Stati membri e dei loro 22 partner.


L’articolo 4 venne applicato per la prima volta il 16 febbraio 2003, di nuovo dal Consiglio dell’Atlantico del Nord e ancora a proposito della Turchia, alla vigilia dell’invasione anglo-Usa dell’Iraq. Ciò determinò l’avvio dell’operazione “Display Deterrence” (impiego di una forza di dissuasione), e il trasferimento in Turchia di cinque batterie di missili di intercettazione ‘Patriots’ – tre tedeschi e due statunitensi – oltre a quattro apparati di sorveglianza aerea AWACS (Airborne Warning and Control Systems) congiunti al Sistema di Difesa Aerea Allargato Integrato della NATO.


La NATO inviò, secondo quanto essa stessa ha indicato, “1000 tecnici specializzati ed estremamente competenti” per condurre l’operazione.


I primi aerei AWACS arrivarono il 26 febbraio, e tre settimane più tardi cominciò l’invasione e il bombardamento dell’Iraq. Nonostante non vi fossero all’epoca in Iraq che 25 milioni di abitanti, contro i 70 della Turchia, e nonostante che l’esercito turco sia il meglio equipaggiato della regione – mentre l’Iraq usciva indebolito da otto anni di guerra contro l’Iran negli anni 1980, dalla campagna di bombardamenti degli Stati Uniti e dei loro alleati nel 1991 e poi da dodici anni di sanzioni gravose - la NATO non ha risparmiato elogi per l’operazione Display Deterrence, che avrebbe “testato e provato la capacità delle forze della NATO a rispondere immediatamente e con la forza offensiva appropriata, ad una minaccia rapidamente crescente contro uno dei membri dell’Alleanza”.


In che modo un Iraq così mortalmente indebolito avrebbe realmente potuto rappresentare per la Turchia “una minaccia rapidamente crescente”, non è stato mai precisato.


I AWACS effettuarono un centinaio di missioni e le batterie di Patriots tedesche furono soprattutto equipaggiate con missili Patriot Advanced Capability-2, un “missile più moderno fornito dalla Germania” ha spiegato la NATO.


L’operazione terminò il 3 maggio, vale a dire 65 giorni dopo il suo avvio e 45 giorni dopo l’inizio dell’invasione dell’Iraq. Per dare un’idea di quello che la NATO potrà dichiarare all’esito di questo incontro la vertice, riportiamo quanto l’ambasciatore turco presso la NATO dell’epoca dichiarò dopo avere invocato l’articolo 4 : “Ancora una volta voglio testimoniare della sincera gratitudine del popolo e del governo turco per la solidarietà di cui l’Alleanza ha saputo dare prova rafforzando la difesa del mio paese in risposta all’ultima crisi irachena. Noi siamo convinti che, attraverso il dispiegamento di una forza di dissuasione così attiva e collettiva, la NATO non ha solo teso la mano e offerto un aiuto infinitamente apprezzabile ad uno dei suoi membri in grande difficoltà, ma ha anche provato una volta di più la propria credibilità e la propria adeguatezza, come prova del nove della sicurezza collettiva nella zona Euro-Atlantica”.


La Turchia era allora, come d’altronde oggi, presentata come la vittima – “in grande difficoltà” per di più – mentre l’Iraq, in stato di assedio e sul punto di essere annientato, era considerato come l’aggressore.

La popolazione siriana si trova attualmente nella stessa posizione dell’Iraq all’epoca, salvo che la Turchia è questa volta una nazione quasi tre volte più grande. La Siria è isolata e le sue forze militari sono derisorie a paragone di quelle del vicino turco. Quest’ultimo può inoltre contare sull’aiuto dei 27 alleati, tra i quali le più grandi potenze militari del mondo. Gli Stati Uniti dispongono già di circa 90 bombe nucleari tattiche B61 stazionanti nella base aerea di Incirlik, a 35 miglia dalle coste mediterranee della Turchia.


E’ inoltre almeno la seconda volta dall’aprile scorso che il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan chiede l’attivazione della clausola di assistenza militare mutua dell’articolo 5 – che comporta lo scoppio di una guerra. La prima risalendo a più di due mesi prima della distruzione del caccia bombardiere turco sopraggiunto la settimana scorsa.


Il 25 giugno il vice primo ministro Bulent Arinc aveva annunciato che la sua nazione aveva “depositato presso la NATO tutte le richieste relative all’articolo 4 e all’articolo 5”.


Secondo l’agenzia di stampa Associated Press, avrebbe aggiunto: “E’ importante capire che, nell’ambito di ciò che è legale, noi utilizzeremo certamente fino alla fine di tutti i mezzi garantiti dal diritto internazionale.
Soprattutto inclusa l’autodifesa. Questa comprende ogni forma di rappresaglia applicabile allo Stato aggressore in virtù del diritto internazionale. La Turchia non trascurerà assolutamente nulla…”

Gli Stati Uniti e la NATO avevano assolutamente bisogno di un pretesto per attaccare la Siria, e la Turchia, unico membro della NATO confinante con la Siria, è sempre stato il pretesto ideale al quale ricorrere per attaccare una nazione araba.


L’incidente di venerdì scorso e la riunione della NATO che è seguita segnano l’inizio del quarto atto di una tragedia che il resto del mondo ha troppo poco tempo per impedire.



(*) Autore di molti articoli documentatissimi sulle attività militari delle Grandi Potenze occidentali nel mondo, Rick Rozof è ricercatore e attivista, fondatore dell’organizzazione Stop NATO       

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