Siria, maggio 2012 - Un nuovo piano dettagliato di USA, Israele, Paesi del Golfo e... AlQaida contro la Siria. Viene rivelato da Mohamed Khalil Roussan, pseudonimo dietro il quale non si sa chi si nasconda. Però fu proprio questo personaggio che scrisse per primo, nel marzo dell'anno scorso, quello che si stava preparando in Siria... e che si è poi puntualmente realizzato (nella foto, attentato terroristico a Damasco)






Mondialisation.ca, 18 maggio 2012 (trad. Ossin)
Arabi-Press



Siria: nuovo piano nemico per ancor più terrorismo e distruzione
Mohamed Khalil al-Roussan

Alleanza saudita-qatariana-israeliana con l’obiettivo di silurare una eventuale intesa russo-statunitense sulla Siria
Una personalità bene informata sul dossier delle relazioni inter-arabe, perché vicina ai Servizi di informazione russi dipendenti dal Ministero degli Affari Esteri, ha affermato che i recenti pourparler russo-statunitensi hanno realizzato una sorta di intesa tra il presidente Medvedev e il presidente Obama sul futuro della crisi siriana. Secondo questa fonte, il presidente russo è stato chiarissimo su questa questione durante il Summit di Seul, dove ha precisato la posizione della Federazione russa, sia agli Stati Uniti che alle altre Potenze mondiali che considerano oramai le vicende siriane come parte integrante degli affari interni della NATO.

Il meno che si possa dire è che Medvedev non si è limitato ad un linguaggio tattico, ma ha fatto sapere che si tratta di una questione strategica russa, che pesa gravemente sulle relazioni tra Russia ed USA e tra Russia ed Unione Europea (UE) e la Turchia. Così il discorso di Medvedev di fronte a Obama e alla UE è stato breve e conciso: “La Siria è alle prese con una guerra combattuta da terroristi contro i suoi cittadini, e ad una crisi interna che non può risolversi in altro modo che attraverso il dialogo tra il governo, le autorità siriane e gli oppositori.


Sempre secondo la stessa fonte, l’impegno della Russia e la sua ripulsa per una ingerenza straniera in Siria sarebbero stati decisivi per convincere gli Stati Uniti che, nel caso decidessero di appoggiare un intervento militare della NATO, della Turchia o di qualche paese arabo (cosa che è da escludersi), non si confronterebbero solo col presidente Assad! Gli Stati Uniti hanno recepito perfettamente il messaggio russo: “Damasco è il test scelto per precedere la messa in opera degli stessi scenari di colpi di stato che avete fomentato in altri paesi, e non si può escludere che abbiate immaginato di far subire la stessa sorte alla Russia”.


La dimostrazione della volontà della Russia di arrivare a un accordo con gli Stati Uniti si è avuta con l’accettazione da parte di Russia e Siria della dichiarazione presidenziale del Consiglio di sicurezza, ed è stato a partire di là che si è adottato un primo piano politico e di sicurezza da realizzare con la supervisione del Consiglio di Sicurezza, della Russia e degli Stati Uniti: “il piano Kofi Annan”. Ma questo piano comune non ha impedito gli attacchi armati contro i civili e i militari siriani. Questa essendo la premessa, ecco le risposte che questa stessa fonte ha fornito a diverse domande essenziali.


Perché gli attacchi armati sono continuati nonostante il piano Annan?


“Cercate sul versante di Israele e della sua amicizia evidente e di lunga data con l’Arabia Saudita e il Qatar!” Questi tre paesi, come la Turchia, non hanno gradito che gli Stati Uniti abbiano deciso di cercare un accordo coi dirigenti politici russi invece di attaccare la Siria, perché questo significa che gli Stati Uniti sono ormai obbligati a cessare ogni forma di sostegno, militare o logistico, accordato alle milizie conosciute dai servizi segreti russi per essere più vicine ai terroristi di AlQaida che ai Fratelli Mussulmani ed ai wahabiti estremisti che imperversano in alcune campagne e villaggi siriani. Ma gli Stati Uniti, costretti ad una cooperazione basata sulla ricerca di compromessi in numerosi dossier che dovranno essere completamente risolti dopo le prossime elezioni presidenziali, non hanno rispettato la promessa fatta alla Russia per la buona ragione che, per quanto concerne il dossier siriano, i Sauditi e i Qatariani si sono rifugiati dietro la politica israeliana che vede nel rovesciamento del Presidente siriano e del suo governo, prima di ogni altra considerazione,  una vittoria strategica. E in Siria gli islamisti wahabiti e la maggioranza dei movimenti islamici, tra cui i Fratelli Mussulmani, sono più vicini al wahabismo saudita che al messaggio di Hassan al-Banna o Sayed Qotb!


I Sauditi e i Qatariani oserebbero andare contro le decisioni degli Stati Uniti?
 
Potranno farlo solo se Israele se ne assumerà la responsabilità, sostenuta dai suoi fondamentali e influenti alleati delle lobby e della stampa sionista, così tanti alleati che il presidente Obama non si può permettere di contrariarli in questo periodo elettorale a causa delle sue necessità di ottenere l’appoggio dei media e  finanziamenti.


Vuol dire che gli Stati Uniti rinunceranno a un accordo con la Russia per accontentare le lobby sioniste che proteggono le scelte saudite e qatariane in Siria?


Gli Stati Uniti hanno un sicuro interesse a rovesciare il governo del presidente Bachar al-Assad, ma esso si scontra con la volontà della Russia e con il reale rapporto di forza sul campo in Siria. Il presidente siriano si è rivelato essere il più forte a più di un livello: locale, popolare, istituzionale, militare, securitario e diplomatico. Ha anche dimostrato la sua capacità al livello militare e securitario contro i gruppi armati, capacità che non avrebbe ancora raggiunto il suo apogeo. Però l’impegno saudita-qatariano-israeliano si intensifica e si sforza di generalizzare i massacri settari nelle grandi città siriane per realizzare una situazione di anarchia che andrà crescendo verso ancora più massacri, con l’obiettivo di mettere in difficoltà la Russia e di accrescere la pressione su Assad, per paura che il suo governo possa scampare alla guerra combattuta dai paesi del Golfo per conto degli Statunitensi e degli Israeliani, attraverso i sostenitori di AlQaida e della stessa organizzazione.

Il governo USA è obbligato a cooperare col governo russo, ma si scarica da questa responsabilità in quanto non è in grado di costringere Israele, l’Arabia Saudita e il Qatar a obbedire alle sue direttive; scusa inaccettabile per i russi che, come gli statunitensi d’altronde, sono convinti che l’origine del problema non è solo in Israele, ma in Arabia Saudita e più precisamente nel palazzo della famiglia degli Al-Saud, che teme, al pari dell’Emiro del Qatar, che Assad possa riprendere a giocare bene il suo ruolo regionale, una volta che riesca a superare la crisi e che raggiunga un compromesso storico coi suoi oppositori. Se dovesse succedere questo, i paesi del Golfo, e prima di tutto l’Arabia Saudita e il Qatar, sono convinti che Assad cercherebbe di far pagare un prezzo alto ai suoi nemici e a tutti quelli che hanno sostenuto le gang armate in Siria.

Per l’insieme dei principi sauditi, Al-Assad è l’incubo del quale non sanno come sbarazzarsi. Hanno tentato tutto ma hanno sempre fallito, e anche l’opposizione siriana, che sicuramente è riuscita a destabilizzare il paese, non è riuscita ad ottenere nessuna ulteriore penetrazione né al livello dello Stato, né a li livello del dispositivo militare e di sicurezza; al contrario sono stati i Siriani che sono riusciti ad ottenere considerevoli penetrazioni tra i ranghi dei terroristi armati.


Perché questo odio dei Sauditi e dei Qatariani nei confronti della Siria?

Prima di tutto perché non è sfuggito ai due paesi che Al-Assad sa bene che il Qatar e l’Arabia Saudita hanno finanziato la guerra contro il popolo siriano e contro di lui. Poi perché il presidente siriano è perfettamente cosciente che, se i leader di questi due paesi avessero potuto assassinarlo, lo avrebbero senz’altro fatto. Infine perché questi stessi leader, e con loro anche gli Israeliani, cercano con tutte le loro forze di arrecargli danno, fisicamente e direttamente, essendo tutti e tre convinti che, se Bachar al-Assad dovesse sopravvivere a questa crisi, sarà mille volte più pericoloso e chiederà loro il conto, una volta tornata la stabilità.

D’altronde le relazioni tra Siria e Arabia Saudita non sono guastate solo da problemi conosciuti e dichiarati, la realtà del sostegno dei Sauditi agli insorti è chiara ma il fatto che essi cerchino di inondare l’opposizione siriana di denaro e capitali non ha una finalità politica esclusiva, vi sono dei rancori di ordine personale conosciuti da tutti.


Da cui la strategia adottata per distruggere la Siria


Tutti i tentativi di rovesciare il governo siriano sono falliti e non resta altra scelta, agli USA e ai loro alleati, che di scendere a patti con questo Stato protetto da un esercito di mezzo milione di soldati, un servizio di sicurezza di almeno mezzo milione di ufficiali e quadri, assistiti da un esercito di volontari su tutto il territorio; il Presidente siriano gode inoltre dell’appoggio di una parte molto ampia del popolo siriano, molto superiore a quella di cui godevano Mubarak, Ben Ali o Gheddafi, per non dire dell’appoggio della Russia e dell’Iran.

Di conseguenza i colpi inferti alla opposizione armata hanno convinto l’amministrazione statunitense e i suoi alleati a preparare un nuovo piano adeguato alla nuova situazione, con due obiettivi che dovrebbero costringere Al-Assad a negoziare con gli USA in una posizione di debolezza. Il primo obiettivo è di indebolire l’esercito, imponendo al popolo siriano, al suo presidente, alle sue forze armate ed ai servizi di sicurezza la sensazione che sono tutti prigionieri della forza distruttrice degli Stati Uniti e che la pace, la sicurezza, la riconciliazione e la stabilità dipendono solo dalla buona volontà degli USA. Il secondo obiettivo è di sfiduciare i sostenitori del governo con una guerra psicologica che toglierà loro ogni speranza di poter ritornare alla situazione ante-crisi, facendoli diventare un peso per il governo e non più un sostegno come oggi.


Quanto alle ragioni che hanno spinto gli USA ad abbandonare definitivamente l’idea di rovesciare il governo con la forza, esse derivano dalle conclusioni che sono stati costretti a trarre dagli ultimi quattordici mesi. Per prima cosa, l’esercito siriano non si sfalderà e il presidente Al-Assad controlla sempre tutti i centri delle forze armate siriane, che sanno adattarsi sempre di più alle varie situazioni e sanno infliggere colpi decisivi alle forze nemiche. Sebbene l’opposizione armata indebitamente chiamata “esercito libero” non sia ormai niente più che un’accozzaglia di gang demoralizzate, prive di una vera strategia, ostinate a non arrendersi, perché ciascuno consapevole del destino funesto che lo attende. In secondo luogo gli organi della sicurezza siriana sono padroni del terreno anche nelle regioni controllate dagli insorti in armi, in ragione delle infiltrazioni in lungo e in largo da parte di elementi lealisti.


L’economia siriana è sfinita ma è in via di miglioramento perché l’economia di guerra ha sostituito quella ipotecata dall’economia finanziaria e commerciale dell’Occidente, e le somme colossali che i paesi del Golfo offrono agli insorti armati finiscono in un modo o nell’altro per entrare nel circuito economico interno, perché “le regioni dette rivoluzionarie” restano dipendenti dal ciclo economico che comincia dallo Stato siriano e finisce alla Banca centrale di Siria.

Alcuni settori si sono adattati alla situazione sviluppando una economia di libero scambio con Russia, Cina, Iran, India, Brasile e paesi vicini come l’Iraq, il Libano e la Giordania; questi ultimi giocano un ruolo maggiore nell’attenuazione delle sanzioni.


La grande maggioranza delle “minoranze” e del popolo siriano sostengono il governo, e la popolazione “silenziosa” è sempre di più al fianco delle autorità siriane piuttosto che della “rivoluzione”.


Ciò non impedisce che gli Stati Uniti e i loro alleati ritengano di avere una occasione di sfiancare il governo e ridurne la popolarità per raggiungere i loro obiettivi politici e concludere un accordo imposto dalle circostanze, le cui clausole essenziali garantirebbero gli interessi degli Stati Uniti e dei suoi alleati dei paesi del Golfo. E’ dunque urgente per gli Stati Uniti sfruttare questa occasione unica perché il tempo non lavora a loro favore, né in favore degli insorti, tenuto conto della gestione securitaria e politica dei problemi da parte delle autorità siriane, che rischia di mettere definitivamente gli insorti armati e gli oppositori radicali fuori dal gioco locale e internazionale guidato dal presidente siriano da un lato e dalla Russia dall’altro.



Organizzazione dei pianificatori della strategia di distruzione della Siria


Il comitato politico

- Hillary Clinton (supervisore)
- Hodrick Cholet (PDG)
- Robert Ford (componente e ambasciatore Usa a Damasco)
- Frédéric Hoff (componente)
- Jeffrey Feltman (coordinatore) e supervisore di una commissione politica parallela composta da Seud Ben Payçal (ministro saudita degli affari esteri) e dal ministro qatariano Hamad Ben Jassem. E’ anche supervisore dell’Ufficio di coordinamento specifico della Siria con sede a Doha, che comprende un rappresentante della CIA e rappresentanti dei servizi di informazione dell’Arabia Saudita, della Turchia e della NATO… cui si è aggiunta recentemente la Libia; Bandar ben Sultan è il grande esperto degli affari siriani e consigliere particolare di Feltman.


Il comitato militare
- Generale Martin Dempsey (presidente)
- Generale Charles Cleveland
- Generale Frank Gibb
Questo comitato lavora in coordinamento con gli altri comitati, ma ad esso spetta la decisione finale per tutto ciò che concerne l’informazione e l’assistenza logistica da fornire ai gruppi armati che imperversano in Siria, le informazioni essendo assicurate dalle agenzie statunitensi o alleate.


Il comitato per la sicurezza
- Tom Danelon (presidente e consigliere per la sicurezza nazionale)
- James Clapper (componente e direttore per la sicurezza nazionale)
- Generale David Petraeus (decisore, direttore della CIA)
Questo comitato comprende rappresentanti delle sette agenzie di informazione USA, secondo le necessità e le competenze. Si suddivide in diversi sotto-comitati che hanno il compito di approvare le strategia, di rendere conto al presidente Obama con rapporti settimanali, di mettere in esecuzione le strategie che si ritengono idonee a costringere le autorità siriane ad abdicare, ed anche ad evitare ogni pericolo che possa portare ad una guerra regionale con Israele.


Linee generali della strategia di distruzione della Siria
- Sottomettere il governo siriano e obbligarlo ad accettare la volontà degli USA
- Impedire alla Russia di radicarsi in modo permanente in Siria
- Rompere l’alleanza della Siria con l’Iran in modo tale che il governo siriano possa cercare salvezza solo dagli USA e non da parte russa e iraniana
- Spingere al massimo grado la guerra psicologica e la propaganda anti-siriana da parte degli USA, dei loro alleati regionali (arabi) e internazionali (NATO) per imporre l’abdicazione del governo siriano
- Assicurare una transizione politica (democratica) in Siria senza entrare in conflitto con la Russia e senza mettere in pericolo la sicurezza di Israele (clausola formale e piuttosto vaga perché si accetta oramai che il presidente siriano resti al suo posto, a condizione che la Siria si trasformi in uno Stato cosiddetto moderato…)
- Rompere i legami tra Siria, Teheran e gli Hezbollah libanesi


Tappe esecutive della strategia di distruzione della Siria

- Azioni militare realizzate da battaglioni di terroristi volontari entrati in Siria attraverso tutte le sue frontiere e resi capaci di cooperare in tutta libertà con gli insorti armati locali (frontiere: Nord ed Est Libano, Turchia, Giordania, Golan, Kurdistan iracheno e zona irachena adiacente alla regione al-Jaziré nel nord ella Siria)
- Azioni violente di tipo guerriglia urbana in tutte le regioni siriane, quelle già infiltrate dai cosiddetti rivoluzionari e le grandi città non ancora coinvolte
- Operazioni speciali al cuore stesso delle istituzioni siriane a Damasco e nei grandi centri urbani (attentati suicidi, attacchi armati, esplosioni con bombe…)
- Azioni paramilitari (infiltrazioni dei manifestanti da parte di elementi armati inviati per attaccare le regioni ancora indenni e controllate dalle autorità militari siriane)
- Destabilizzazione finale con una guerra psicologica associata a tutto quello che precede


Rischi messi in conto da parte degli autori della strategia di distruzione della Siria
- Guerra generalizzata tra Siria, Hezbollah, Iran da una parte e Israele, Turchia, paesi del Golfo… dall’altra ( da cui il governo di Unione nazionale precipitosamente costituito dagli Israeliani per timore di una risposta congiunta Siria, Iran, Hezbollah che potrebbe abbattersi su Israele se gli USA persistono a lavorare per una escalation del terrorismo in Siria)
- Attacco iraniano diretto o indiretto contro la navigazione nella regione del Golfo
- Attacco militare iraniano contro Qatar, Bahrein e Arabia Saudita
- Attentati terroristici contro le forze USA in Turchia e nei paesi del Golfo
- Lancio di missili su Israele a partire da Libano, Siria e dalla striscia di Gaza
- Propagazione incontrollata della destabilizzazione verso il Libano, seguita da scontri che potrebbero portare gli Hezbollah, alleati della Siria, a controllare tutto il territorio libanese
- Escalation del terrorismo del PKK in Turchia, proveniente da Siria, Iraq e Iran
- Scontro militare tra Turchia e Siria
- Caos e perdita definitiva di ogni controllo sulla situazione in Siria


Articoli che definiscono la strategia di distruzione definitiva della Siria


Articolo 1

Approvazione preliminare da parte degli Stati Uniti di un accordo di cooperazione tra i servizi di informazione del Qatar e dell’Arabia Saudita da una parte ed una agenzia di sicurezza israelo-statunitense con sede a Ginevra dall’altra, per la gestione dell’aggressione senza che gli altri Stati coinvolti debbano compromettersi con l’invio di propri truppe. Coloro che dirigeranno le operazioni sul campo saranno degli esperti in pensione che applicheranno l’ideologia di AlQaida (centinaia di essi sono già sul campo e migliaia di altri sono pronti ad essere inviati, la maggior parte rilasciati dalle prigioni dell’Arabia Saudita, Iraq, Libano, Giordania, Maghreb… tutti simpatizzanti o membri di AlQaida e professionisti della guerriglia; senza contare gli arruolati takfiristi che pretendono di battersi in nome della Jihad e che sono anche loro tutti esperti di questo tipo di guerra, dopo avere partecipato a quanto successo in Iraq, Cecenia, Afghanistan, o Nahr al-Bared in Libano).
Questa cooperazione tra dirigenti ed esecutori è guidata effettivamente sotto l’egida del Qatar e dell’Arabia Saudita (ad esempio di quella conclusa ultimamente tra i Talebani e il Qatar), tutto in nome della lotta contro il nemico comune, vale a dire contro Bachar al-Assad, il suo governo, i suoi sostenitori in Siria e nella regione (Iran-Libano-Iraq).


Articolo 2
Gli Stati Uniti, grazie a taluni loro alleati libanesi, si impegneranno ad assicurare delle zone cuscinetto, piccole ma sufficienti a realizzare dei campi di riposo e di addestramento a nord e ad est del Libano (in particolare con un centro di informazione sotto la copertura discreta e compiacente di personalità politiche o militari complici, e dell’assistenza umanitaria agli sfollati).


Articolo 3
Cooperazione tra USA, Arabia Saudita, Qatar e Turchia per l’istallazione di campi di base riservati ai componenti di Al-Qaida e dell’opposizione siriana armata, all’interno del territorio iracheno e sotto la protezione delle tribù sottomesse ai Sauditi, come quelle di Anbar e del Kurdistan, sotto gli auspici di Massud Barzani e del suo servizio di informazione strettamente legato a Israele.


Articolo 4
L’Arabia Saudita si incarica di spingere alla sedizione le tribù restate fedeli al governo, in particolare a Deir el-Zor, al-jaziré e nei dintorni di Damasco, andando verso Homs.


Articolo 5
L’Arabia Saudita e il Qatar si impegnano a finanziare e orientare il loro media ufficiali, i canali satellitari e quelli degli oppositori siriani, con l’obiettivo di ampliare la cerchia di influenza degli attivisti presenti in Siria, diffondendo voci che possano portare militari e agenti della sicurezza a rompere i loro rapporti di solidarietà con le rispettive autorità. Peraltro tutti gli alleati dovranno realizzare un piano media il cui obiettivo principale è quello di bloccare i diversi sostenitori del presidente per mezzo di un approccio adattato a ciascuna delle loro categorie e l’utilizzo di agenti già infiltrati nei loro ranghi, che dovranno creare uno stato d’animo disfattista. Così il piano media dei prossimi mesi concentrerà gli sforzi degli esperti di Siria (statunitensi, libanesi, sauditi e siriani) nella divulgazione di scandali veri o costruiti ad arte che coinvolgano tutte le componenti istituzionali che circondano il presidente, la sua famiglia, i capi dell’esercito e dei servizi di sicurezza; mentre altre reti di agenti più discrete lavoreranno per istillare e diffondere un sentimento di frustrazione che dovrà spingere allo scoraggiamento nei confronti della sedicente incapacità delle autorità civili e militari e del presidente a risolvere in modo decisivo il problema del terrorismo e dei pretesi rivoluzionari.

D’altronde queste voci già circolano: “Il Presidente non è abbastanza severo. Perché è così paziente? Non vuole spargere il sangue degli oppositori, ma non si rende conto dell’ampiezza dei massacri? Si disinteressa di noi? Questa crisi è gestita male. Per noi la morte, per gli oppositori il perdono. I nostri giovani vengono assassinati e presto verrà il nostro turno. Un governo che non riesce a proteggere se stesso può proteggere noi? Dove sono quelli che hanno sempre assicurato la nostra sicurezza e perché il Presidente non fa più appello a loro? Meglio sarebbe uno Stalin piuttosto che un Bachar! Il Presidente pensa di avere a che fare coi cittadini svizzeri mentre questo popolo avrebbe bisogno di un buon colpo in testa piuttosto che di dialogo e buoni discorsi. Perché non torna a indossare la sua uniforme militare? Se ci fosse Hafez el-Assad, saprebbe come risolvere la faccenda”.


Altre voci diffuse dall’apparato mediatico corrono più veloci ancora:
“Gli attentati sono opera dei Mukhabarat (i servizi siriani di informazione)! Il Presidente è in combutta con gli USA e Israele, sennò la NATO sarebbe venuta in nostro soccorso. Sono i Mukhabarat che fanno esplodere le auto nei quartieri residenziali per seminare paura e dolore e spingerci ad abbandonare la rivoluzione”.


Articolo 6
L’Arabia Saudita, il Qatar e gli USA devono ottenere la liberazione di alcuni combattenti esperti, detenuti nelle prigioni di qualche paese della regione.
La Giordania si è impegnata a dare esecuzione a una parte del piano concernente la promessa fatta dagli Statunitensi ai Sauditi, i quali si sono impegnati nei confronti di AlQaida a far liberare, dagli Inglesi, il n. 3 dell’organizzazione: Abou Qatada Mohamad Omar Ousman di origine giordana. I combattenti di AlQaida in Iraq e in Siria lo considererebbero come il loro capo religioso e come un jihadista di prima categoria. Sarebbe destinato a diventare “l’Emiro della Jihad nei paesi del Levante”, principato che dovrebbe essere proclamato su qualsiasi particella della terra siriana che sarà liberata dalle milizie di AlQaida, meglio conosciuta come “Esercito Siriano Libero”, o “Fronte della vittoria” (Jabhat el-Nasra) o qualsiasi altra sigla che Abou Qatada sceglierà al suo arrivo sul campo della vittoria!
In Libano Elizabeth Dibble, assistente di Jeffrey Feltman, avrebbe fatto pressione su Wissam el-Hassan (Capo del dipartimento dei servizi di intelligence delle forze di sicurezza interne) per ottenere la liberazione anticipata di 238 combattenti wahabiti fondamentalisti attualmente detenuti nelle prigioni libanesi col pretesto che potrebbero beneficiare della legge dell’anno di nove mesi.


Articolo 7
La Turchia assicura la più grande libertà di movimento possibile agli estremisti libici, in particolare il  passaggio sul suo territorio verso Idlib ed Aleppo.


Cosa che innegabilmente è riuscita, soprattutto nel campo dell’escalation degli attacchi armati in Siria!



Articolo originale in arabo in più puntate:
http://filkkaisrael.blogspot.fr/2012/05/blog-post_9825.html

Tradotto dall’arabo in francese da Mouna Alno-Nakhal pour Mondialisation.ca e dal francese in italiano da Ossin.


Informazioni sull’autore fornite da Arabi-press :

http://www.arabi-press.com/?page=article&id=35890
 
I lettori sono pregati di mettere a confronto quello che ha scritto Al-Akhbar (
http://www.al-akhbar.com/node/64510) citando il Washington Post e le informazioni fornite da Khalil el-Roussan, che abbiamo pubblicato su Arabi-press.

Il 29 marzo 2011, Mohamed Khalil Roussan ha pubblicato il suo celebre articolo “Piano Bandar ben Sultan per sabotare la Siria”, che non venne preso sul serio; da un lato perché di autore sconosciuto e senza foto disponibili, ciò che suggeriva dovesse trattarsi dello pseudonimo di qualcuno che non voleva assumersi la responsabilità dei suoi scritti o che intendeva proteggere le sue fonti; d’altro canto perché il testo era lungo e dettagliato senza contenere alcuna prova delle affermazioni che vi comparivano.

Qualche mese più tardi molti lettori, soprattutto in Siria, sono ritornati su questo rapporto per constatare che i gruppi di rivoluzionari, le loro organizzazioni e gli Stati che li sostenevano lo avevano posto in esecuzione punto per punto: sedizione armata realizzata dal Consiglio Nazionale (CNS), dettagli sulla sua leadership… Tutti elementi riferiti dall’autore nella sua descrizione del piano di cui sopra.

Ieri è stato pubblicato un nuovo articolo di Khalil Roussan (qualsiasi sia il suo vero nome) che rivela un nuovo piano statunitense, scritto come un rapporto diplomatico con definizione di comitati di lavoro ed individuazione dei loro rispettivi componenti: ciò che merita lettura e riflessione in ragione della puntuale realizzazione dei suoi precedenti scritti. Saranno un’altra volta confermati?
Arabi-press ha lasciato un messaggio sul solo indirizzo mail conosciuto dell’autore chiedendogli un documento che dimostri la veridicità di quanto da lui affermato. Fino a questo momento non abbiamo ricevuto alcuna risposta. E’ per questo motivo che abbiamo il diritto di dubitare, e quello di lasciare al lettore di giudicare. Qualsiasi cosa sia, diciamo però che questo articolo merita almeno… una lettura.

Direttore della redazione di Arabi-press, 14 maggio 2012, ore 2,41

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