geopolis.francetvinfo.fr, 26 settembre 2015 (trad. ossin)


Intervista esclusiva
Il padre di Ali al-Nimr ha incontrato il figlio in carcere e spera ancora che possa salvarsi
Eléonore Abou Ez Alain Chémali

 

 


Mohammed al-Nimr, il padre di Ali, condannato a morte in Arabia Saudita

 


Mohammed al-Nimr, padre di Ali, il giovane saudita di 21 anni condannato alla decapitazione e alla crocifissione, ha rilasciato una intervista esclusiva a Géopolis dopo aver reso visita a suo figlio in prigione, venerdì 25 settembre. Fa appello alla saggezza del re Salman e chiede moderazione, in caso di esecuzione della sentenza

Ha appena incontrato suo figlio. Come l’ha trovato?

Ho fatto visita ad Ali insieme alla mia famiglia venerdì 25 settembre, per soli 10 minuti in occasione dell’Aid (la festa mussulmana del sacrificio).
All’inizio la madre ha cercato di informarlo in qualche modo del fatto che l’esecuzione era stata confermata, ma lui ha subito detto: «Lo so già e non sono il primo a subire un’ingiustizia in questo mondo». Poi è stato lui a calmare la madre. Dimostra una forza incredibile e si rimette interamente a dio.
Per quanto mi riguarda io non tacerò. Parlerò con franchezza, trasparenza e obiettività, per difendere mio figlio.

Sono apparse sulla stampa notizie su torture che avrebbe subito e si dice che sia sofferente. Cosa ci può dire in proposito?


Ali aveva solo 17 anni quando è stato arrestato nel febbraio 2012. E’ stato detenuto per sei mesi in una casa di correzione per minori, senza che nessuno potesse vederlo. Quando la madre ha potuto incontrarlo per la prima volta nel dicembre 2012, lui le ha confidato: «Ho desiderato più volte la morte piuttosto che sopportare quello che mi facevano qui» e questo la dice lunga.
Ali ha detto al giudice di essere stato torturato, terrorizzato e costretto a firmare la confessione, ma il giudice non ha attribuito alcuna importanza alle sue parole. Ali non è stato arrestato in esecuzione di un mandato di arresto. E’ stato investito da una macchina della polizia segreta in una notte senza luna, con le multiple ferite e fratture che una cosa del genere comporta. E’ rimasto diversi giorni in ospedale, prima che venisse accusato di azioni immaginarie degne di Rambo o di un commando di marine.


Lei ha rivolto un appello al re Salman affinché non firmi l’ordine di esecuzione, il presidente francese François Hollande, l’ONU e altre organizzazioni internazionali hanno fatto lo stesso. Pensa che questi appelli saranno ascoltati?


Il regno fa parte della comunità internazionale. Cura i propri interessi e le relazioni con le altre nazioni. La Francia è un paese amico e io credo che gli amichevoli interventi del presidente Hollande, del dipartimento di Stato USA, del Parlamento inglese o delle Nazioni Unite, eserciteranno qualche influenza. I miei concittadini hanno apprezzato la rapidità dell’intervento del presidente francese, che è stato il primo a reagire. Io e la mia famiglia lo ringraziamo. Speriamo che il re Salman tenga conto di questo e che scelga una soluzione politica.

La mobilitazione internazionale in favore di Ali aiuta o nuoce alla causa?


Tengo prima di tutto a precisare che la mia famiglia e io non abbiamo nulla a che vedere con questa mobilitazione. Non siamo stati noi a lanciarla e nemmeno a incoraggiarla, ma non l’abbiamo neppure vietata. Noi ringraziamo tutti coloro che si sono espressi per chiedere una soluzione. Io penso che nel governo saudita vi siano delle persone sagge che non hanno remore a rivedere i casi sospetti. Io non desidero ovviamente che si intervenga per nuocere al mio paese e ai suoi leader, nemmeno se si tratta di salvare Ali.

Che cosa, secondo lei, potrebbe salvare suo figlio?

Io punto ancora su una soluzione interna di carattere politico. Sia per quanto riguarda Ali, ma anche per gli altri otto condannati a morte. Un numero che rischia di elevarsi a 30 nei prossimi due mesi. E questo sarebbe un segnale pericoloso, mentre la vera soluzione sarebbe quella di liberare tutti i detenuti politici e di opinione, come il dottor Abdallah al-Hamed, Mohamed al-Qahtani, al-Bajjadi, o gli sceicchi Nimr e Taoufic al-Aamer, Fadel al-Mounassef e migliaia di altri.
Lancio un appello affinché le prigioni siano svuotate da coloro che non hanno le mani lorde di sangue. E a questo punto è indispensabile ricordare che il defunto re Fahd, un uomo politico di rara esperienza, ha in varie occasioni appianato le tensioni, a est e ad ovest del regno, usando della sua saggezza politica. L’ultima volta fu in occasione dell’accordo firmato tra lui e la comunità sciita in esilio, nel 1994, che ha consentito a quest’ultima di rientrare in condizioni dignitose. La mia idea è che avremmo bisogno di una simile iniziativa coraggiosa con quelli che reclamano una riforma nazionale.

Lei ha incontrato anche suo fratello, lo sceicco Nimr, in prigione. Cosa ci racconta dopo questa visita?

Io mi reco in visita a mio fratello, lo sceicco Nimr, insieme alla mia famiglia, ogni 35 giorni, alla prigione di al-Haer de Riyad. L’ultima volta che l’ho incontrato è stato giovedì scorso (24 settembre). Il morale è buono. E’ cosciente di quanto ha fatto prima dell’arresto ed è pronto a sopportare le sanzioni più dure, convinto come è delle sue idee riformatrici. E tuttavia sarebbe disposto a cambiare completamente opinione in presenza di reali cambiamenti politici. Ritiene che le accuse rivoltegli siano nulle e inesistenti e che la sua condanna a morte abbia, alla fine dei conti, natura prettamente politica.

 

Manifestazioni della comunità sciita per la liberazione dello sceicco al-Nimr


All’annuncio dell’esecuzione, lei ha lanciato un appello alla calma. Teme una reazione violenta da parte della popolazione sciita?


Non sono l’unico. Tutti gli osservatori e dirigenti si aspettano qualche reazione. Esse rischiano di essere disordinate e incontrollabili, e che dio non voglia si passi dalle iniziative pacifiche alla violenza. Essa affonderebbe il nostro paese in una spirale nella quale finiremmo tutti con l’essere perdenti. Io, la mia famiglia, e tutte le persone sagge, rifiutiamo la violenza e la contro-violenza. E dico molto francamente che, se le cose dovessero andare male per Ali al-Nimr, per lo sceicco al-Nimr o altri, io invito tutti all’auto-controllo, alla moderazione, e respingo ogni azione violenta, che sia diretta o segreta. La denuncia e l’indignazione debbono manifestarsi con mezzi legali, soprattutto attraverso i social network.

Lo sceicco Nimr, fratello di Mohammed al-Nimr (e zio di Ali) è stato uno degli animatori del movimento di contestazione nel 2011 nella provincia orientale dell’Arabia Saudita. E’ stato condannato a morte con le accuse di sedizione, disobbedienza al sovrano e porto d’armi, il 15 ottobre 2014

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