El Moudjahid, 20 gennaio 2013 (trad. Ossin)



Negoziare, dite?
M. Koursi


Diversi paesi europei hanno pagato dei riscatti per liberare degli ostaggi, incoraggiando di fatto nuovi sequestri. Perché oggi ci si meraviglia di fronte alle armi pesanti e sofisticate di cui dispongono i terroristi del Sahel? Chi li ha armati? Con quale denaro?


Perché negoziare con una entità  il cui unico scopo è quello di trarre profitto dalla negoziazione stessa, per meglio rafforzarsi e ampliare la sua capacità di arrecare danni? Come si può accettare di aiutare, fornire danaro e armi o di liberare dei terroristi, sapendo che tutto ciò servirà solo a rendere più forti i criminali? Con quali argomenti si può giustificare la scelta di liberare dei prigionieri che andranno a rafforzare i gruppi islamisti, di accattivarseli pagando, mentre occorre invece annientarli? Accettare di negoziare, di piegarsi al ricatto a vita dei terroristi, accettare di diventare un ingranaggio nell’industria terrorista non finisce con l’incoraggiare questi ultimi a recidivare, perfino ad essere complici? Bisogna chiamare la torre di controllo per entrare in contatto col pilota di un aereo dirottato, a bordo del quale vi sono dei kamikaze decisi a farlo schiantare su una città nei minuti che seguono? Bisogna rispettare questa regola: “Non si può salvare la vita di una persona in cambio della programmazione della morte di altre migliaia”. Chiedetelo agli Algerini durante il decennio nero, chiedetelo agli Statunitensi dopo gli attentati dell’11 settembre, chiedetelo agli abitanti di Bagdad, di Nairobi, di Dar Essalam, chiedetelo ai Malieni oggi… Chi può rispondere a queste domande senza lasciare adito ad alcun dubbio? Quando un gruppo terrorista, in tempo di guerra, attacca un sito strategico, uccide al passaggio dei civili e ne prende altri in ostaggio, quando questo stesso gruppo tenta di darsi alla macchia con armi e bagagli, eventualmente minando le istallazioni, bisogna aprire i negoziati?


Il terrorismo non ha un territorio
Quando faceva fronte a questa Idra di Lerna, e prima di ogni altro paese, l’Algeria, scrutata da lontano da alcune cancellerie curiose di osservare una situazione inedita “lontano da casa loro”, ha chiarito che il terrorismo non ha alcun territorio, non rivendica alcuno spazio e non è mosso da alcun valore, salvo quelli che si sviluppano sul terreno della paura, della distruzione e dell’asservimento. Prima di ogni altro paese, l’Algeria ha avvertito che il terrorismo è e sarà, sempre di più, transnazionale, planetario, tessendo pazientemente le sue reti con l’insieme dei gruppi che vivono ai margini della legalità. Il caso del Sahel è d’altra parte il caso più sinistro di questa collusione tra questi gruppi. Tutti questi misfatti, tutti questi crimini hanno come risultato solo di ammassare fortune colossali, facendo leva sulla miseria sociale della popolazione, spargendo il terrore, imponendo il racket alle persone, alle imprese  e perfino agli Stati. Fondamento di questa costruzione criminale, il negoziato, il pagamento di riscatti per la liberazione degli ostaggi. Bisogna rendere omaggio all’Algeria. La risoluzione 1904 adottata dall’ONU, che criminalizza il pagamento di riscatti, lo è stata in effetti per l’iniziativa del nostro paese. E’ assolutamente questo uno dei pilastri dell’atteggiamento sostenuto dall’Algeria, di diniego di qualsiasi negoziato coi gruppi terroristi. L’Algeria è riuscita a convincere i membri permanenti del Consiglio, soprattutto gli USA, la Gran Bretagna e la Russia, perché la si facesse finita coi finanziamenti, i negoziati, le concessioni e le trattative col terrorismo internazionale. Tuttavia in alcuni paesi si assiste ad un discorso ambiguo, dettato da considerazioni elettoralistiche sfruttate dai terroristi che eccellono nella manipolazione dei media per amplificare le loro minacce. Perché si è inflessibili, puntigliosi, sul rispetto delle risoluzioni solo quando si tratta di applicarle contro gli altri, e di preferenza sul territorio di altri, e ci si piega invece quando la situazione sul campo impone altre scelte?


Pericolosa confusione

Diversi paesi europei hanno pagato riscatti per liberare degli ostaggi, incoraggiando di fatto nuovi sequestri. Perché dunque ci si meraviglia oggi delle armi pesanti e sofisticate di cui dispongono i terroristi del Sahel? Chi li ha armati? Con quale denaro? Si può sempre oggi, col senno di poi, scoprirsi delle virtù di “analista” e sbagliare bersaglio. Chi rende i gruppi terroristi più visibili sulla scena internazionale? Chi fa a gara a diffondere parola per parola la loro propaganda e creare una pericolosa confusione tra la missione informativa di una agenzia di stampa con “l’ufficio stampa” di un gruppo terrorista? Con questo sequestro di ostaggi a In Amenas, i gruppi armati non hanno fatto che rammentare due parametri: una guerra permanente contro il resto del mondo, Inglesi, Statunitensi, Norvegesi, Giapponesi… e dei “katiba” (unità leggere di miliziani armati, ndt) multinazionali, Malieni, Tunisini, Libici, Nigeriani, Mauritani, Egiziani e anche occidentali. Con la scelta di attaccare il sito di In Amenas, l’Algeria ha impedito che i terroristi si allontanassero con gli ostaggi presi, per trasferirli in luoghi diversi così rendendo impossibile la loro liberazione. Con la scelta di intervento rapido, l’Algeria ha impedito sia che questi gruppi si disperdessero, sia che restassero nel sito facendolo saltare. Cosa diranno gli “esperti” che ritengono che bisognava aprire un negoziato coi rapitori, aprire loro un corridoio di sicurezza attraverso il quale potessero andarsene liberi, armati e coi loro ostaggi, che cosa diranno gli “esperti” nel momento in cui i cadaveri degli ostaggi appariranno, giorno dopo giorno, disseminando il deserto che il Sahel ha infiammato? Domanderanno ai caccia rafale di cessare i bombardamenti?

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